Nel mondo moderno, grazie alla nota ideologia del Romanticismo, esiste la tendenza a fidarsi dei propri sentimenti e dei propri istinti nella scelta del partner. L’amore appare una forma di estasi reciproca grazie alla quale troviamo un partner visto come una persona bella, sia dentro che fuori, con la rara capacità di renderci felici.
Questo tipo di attitudine è stata apprezzata soprattutto perché in contrasto con quella dominante che la precedeva, basata sui matrimoni combinati: questi erano spesso una forzatura che portava infelicità, anche se magari repressa.
In realtà, secondo il pensiero di The School of Life, il centro di studi inglese di filosofia e psicologia, l’approccio romantico ha prodotto spesso dei disastri. In altre parole, gli istinti ed i sentimenti si sono rivelati non particolarmente migliori dei vari calcoli sottintesi nei matrimoni combinati nella scelta del partner amoroso giusto.
Esiste invece un’altra scuola di pensiero, influenzata soprattutto dalla psicoterapia, secondo la quale fidarsi di sentimenti e istinti personali non conduce necessariamente alla felicità amorosa. Questo approccio fa notare che tendenzialmente non siamo attratti da persone che potrebbero renderci felici in maniera ideale, c’innamoriamo invece di quelli che ci rendono felici in maniera familiare.
Spesso l’amore adulto è influenzato da schemi che risalgono alla nostra infanzia, e questo può rendere più difficile la nostra crescita come esseri umani che amano in modo serio e maturo. Grazie a questi schemi è facile confondere la felicità con una familiarità di certi modelli che ci portiamo dietro da quando eravamo bambini, come se volessimo, subconsciamente, ricreare in una relazione adulta i sentimenti che provavamo durante l’infanzia, e che non sono solo necessariamente solo quelli legati alla tenerezza e all’attenzione.
Nello schema che ci portiamo dietro fin dall’infanzia potrebbero infatti esserci anche altre dinamiche potenzialmente distruttive. Per esempio, il desiderio di aiutare un adulto che ha perso il controllo di se stesso, o l’essere privato del calore idealmente offerto dai nostri genitori, o l’essere spaventati dalla rabbia del papà o della mamma, o l’essere incapace di esprimere i nostri desideri più complicati.
Tutto questo può portarci, da adulti, a rifiutare un ‘candidato amoroso’ non perché è sbagliato per noi, ma perché, ironicamente, è un po’ troppo giusto, nel senso che può apparire troppo equilibrato, maturo, comprensivo ed affidabile. Tutte queste belle qualità al nostro cuore potrebbero sembrare estranee e potremmo sentire di non meritarle.
In fondo il meccanismo è il seguente: nella scelta del nostro partner dobbiamo diventare consapevoli di certe compulsioni alla sofferenza che giocano un ruolo subconscio nei nostri sentimenti di attrazione.
Sarebbe utile rimanere soli con noi stessi e chiederci quali persone, in astratto, ci irritano e quali ci eccitano. Potremmo scoprire magari che persone un po’ distanti e sadiche ci appaiono più interessanti di quelle solitamente descritte come ‘carine’. Questo di per sé dovrebbe farci riflettere un attimo. Le reazioni che osserviamo in noi stessi sono in realtà dei retaggi, che rivelano dei presupposti di fondo che abbiamo acquisito sul come sentire e vivere l’amore.
Un’analisi più approfondita ci fa scoprire che la gamma di attrazioni è forse piuttosto limitata, e questo proprio a causa di quello che è accaduto nel nostro passato. Probabilmente non è facile uscire da questi modelli di attrazione, ma è comunque utile essere consapevoli del fatto che ci portiamo dietro una palla di ferro legata al nostro essere da una catena. Questo può farci fermare un attimo e chiederci se abbiamo veramente trovato la persona giusta, magari solo dopo aver fatto un paio di chiacchiere con questa in un bar, mentre una persona che percepiamo come “noiosa” è invece più giusta per noi, grazie a tutta una serie di qualità interiori.
Alla fin fine, pian piano, veniamo a scoprire che le persone che possono farci felici si trovano in costellazioni diverse da quelle alle quali il nostro cuore, e quindi i nostri sentimenti, sono abituati fin dall’infanzia. Un’infanzia che dovremmo sforzarci di capire. Questo però non basta: dovremmo anche sforzarci, in qualche modo, di liberarcene.
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