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Il fascismo è morto o no?

Postato il Febbraio 19, 2018 Attilio De Alberi 0

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Si sta facendo assai vivo il dibattito in Italia sulla recrudescenza del neo-fascismo. Le posizioni chiaramente variano con Minniti secondo il quale il fascismo è morto, con Renzi che dichiara il PD orgogliosamente anti-fascista, mentre Giorgia Meloni in un recente talk-show, Piazzapulita su La7, si è virulentemente arrabbiata di fronte a una domanda sulle sue posizioni circa il fascismo, dicendo che era come parlare delle Guerre Puniche.

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Ultimo contributo quello della Presidente della Camera Laura Boldrini, candidata per Liberi e Uguali in Lombardia, che, di fronte al murale realizzato nel quartiere Niguarda a Milano dedicato ai partigiani e riempito di svastiche e croci celtiche, ha affermato con forza che “i gruppi che si rifanno a un’ideologia fascista vanno sciolti. Non c’è posto per loro nella nostra repubblica anti-fascista”. Poco dopo, da Fazio, l’ex-cavaliere Berlusconi ha praticamente replicato dicendo che “Il fascismo è morto e sepolto. mentre c’è un movimento dell’antifascismo che è pericoloso perché viene dai centri sociali”.

E mentre il PD, il M5S, nonché organizzazioni come l’ARCI, l’ANPI e la CGIL, sono state criticate per non aver partecipato alla manifestazione pacifica di Macerata, una settimana dopo il gesto di Luca Traini, ci sono anche stati scontri, piuttosto violenti, tra le forze dell’ordine e movimenti antagonisti e centri sociali, entrambi con dichiarate motivazioni anti-fasciste, prima a Piacenza e Bologna e, recentemente anche a Napoli.

Discute di tutto ciò con YOUng Matteo Albanese, storico particolarmente attento all’estremismo politico, e ricercatore presso l’ICS (Istituto di Scienze Sociali) a Lisbona.

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L’INTERVISTA:

Da varie parti dello spettro politico italiano, dalla Meloni a Minniti, viene dichiarato pubblicamente che il fascismo è morto. Qual è la tua reazione?

Sono d’accordo se per fascismo s’intende quella esperienza che l’Italia ha vissuto tra il 1922 e il 1945: dire che è morto è tautologico. Il fatto è che dal punto di vista ideologico il fascismo è sempre stato un animale strano.

In che senso?

Dentro il fascismo troviamo grandi ideologie nazionaliste, appoggi della grande borghesia industriale italiana, ma non solo italiana, anche di quella tedesca, e della grande proprietà terriera spagnola, se guardiamo al franchismo. Ora il fascismo in Italia muore ufficialmente il 25 aprile 1945, ma già nel dicembre del 1946 nasce il Movimento Sociale Italiano, che è il più grande partito dichiaratamente neo-fascista nel dopoguerra.

Ma molte cose sono cambiate da allora.

Chiaramente il fascismo si è adattato. Sarebbe sciocco pensare che i fascisti siano rimasti a pensare, in una specie di circolo vizioso nostalgico, agli ’30 e ’40. Rimangono comunque tre aspetti che accomunano il fenomeno neo-fascista in Europa.

Quali?

Un disprezzo per la democrazia, un fondo di razzismo, prima biologico negli anni ’30, oggi culturale, e l’idea di una comunità chiusa che si può ben vedere in vari movimenti nazionalisti nel continente. E qui basti pensare all’est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, ed alle posizioni di Alternative für Deutschland o del Front National. Queste sono le tre colonne ideologiche portanti, che chiaramente si sono sviluppate e non sono rimaste ferme nel tempo.

Ma se pensiamo, per esempio, alla Meloni ed al suo partito Fratelli d’Italia come gli eredi diretti del MSI, c’è da notare la sua dichiarazione continua di rispetto della norma democratica. Ed anche se cominciamo a viaggiare tra forze politiche più estreme, come Casa Pound e Forza Nuova, vediamo il loro sforzo ad entrare nella scena parlamentare o nelle amministrazioni comunali. C’è almeno una certa parvenza costituzionale.

Questa si è sempre avuta, e non è una parvenza. Dopo tutto, il Movimento Sociale Italiano, che era una forza chiaramente neo-fascista, si candidava regolarmente alle elezioni. E ricordiamo che persino lo stesso Mussolini e lo stesso Hitler si erano candidati alle elezioni. L’uso dello strumento elettorale per l’affermazione di un pensiero totalitario non è nulla di nuovo.

[newsletter]

Quindi c’è una tendenza al “doppiopettismo”, cioè il tentativo di presentarsi come figure dell’establishment, rispettose delle regole?

Il cosiddetto “doppiopettismo” non è nulla di nuovo. Dopo tutto La Russa negli anni ’70 era un picchiatore di marca fascista, e lo stesso Almirante, come leader del MSI, manteneva buoni rapporti con Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo. Per non dimenticare, poi, un personaggio come Pino Rauti, per un breve periodo segretario nazionale del MSI, in qualche modo collegato agli episodi di Piazza Fontana e della strage di Brescia.

Ma allora, nell’ipotesi di un sopravvento elettorale di queste forze, esiste la possibilità di un ritorno al totalitarismo?

Non credo proprio, ma al tempo stesso vorrei ricordare come Norberto Bobbio parlava della democrazia, descrivendola come un processo. Si tende invece a pensare alla democrazia come qualcosa che, una volta istituita, non si cambia. Storicamente l’umanità è vissuta gran parte della sua esistenza in sistemi che democratici non erano. Il fatto che negli ultimi 70 anni in Europa ci siamo liberati dei totalitarismi, compreso quello sovietico, non vuol dire che la democrazia possa esser data per scontata. Quindi bisogna mantenere una vigilanza ferma e continua. Non dico che riavremo sotto casa soldati che marciano col passo dell’oca, ma al tempo ci sono varie forme in cui si possono limitare le libertà democratiche.

Beh, basta pensare all’amministrazione Trump.

Sì, ma qui farei un grosso distinguo: molti dicono che Trump sia un fascista, ma in realtà, al di là delle sue chiare tendenze autoritarie, appartiene appieno alla cultura americana che si basa soprattutto sull’individualismo, mentre il fascismo vero e proprio è una “religione dello stato”. Trump è senz’altro misogino e razzista ed è un uomo di destra radicale, ma al tempo stesso, attinge a un fortissimo individualismo, che fa a pugni con lo statalismo fascista e non solo. Lo statalismo in generale, appartiene di più alla tradizione hegeliana e weberiana europea.

C’è da osservare che le forze d’ispirazione neo-fascista si atteggiano a difensori delle classi meno agiate, rubando voti a quelle di sinistra. E dopo tutto Mussolini stesso era originariamente socialista, ed il partito di Hitler si chiamava nazionalsocialista. Oggigiorno la Meloni ti parla, per esempio, di asili nidi gratuiti: una proposta che potrebbe essere catalogata come di sinistra.

Se è vero che il fascismo può avere delle ispirazioni di marca socialista, bisogna stare attenti e fare una puntualizzazione.

Quale?

Di fronte alla povertà una delle argomentazioni della destra estrema è: diamo agli immigrati €30 al giorno, mentre gli italiani poveri soffrono. E’ una contrapposizione chiaramente strumentale, propagandistica. Ma al di sotto di questa c’è una distinzione di fondo importante: la sinistra vuole, idealmente, eliminare la povertà, mentre per il fascismo, e la destra radicale in genere, la povertà è l’ordine naturale delle cose, quindi loro dicono: io sono “buono” e, sì, ti aiuterò, ma non farò mai nulla per eliminarla tout court.

Quindi stiamo parlando di una forma di paternalismo.

Assolutamente sì. Ci sono forti e deboli, ma poi i forti, per bontà e, appunto, per paternalismo, per tradizione, e, se vogliamo, nel nostro paese, anche per cattolicesimo, aiutano i deboli, senza superarne la debolezza. La sinistra, quella vera, invece si muove per una redistribuzione volta ad andare oltre questa debolezza di fondo che caratterizza la società capitalista.

Anche se un passaggio al totalitarismo è un’ipotesi che tu escludi, si sta affermando comunque una forte tensione di marca fascista, di cui l’episodio di Macerata con la tentata strage di Luca Traini è l’esempio più eclatante. La domanda: è come le forze non fasciste o anti-fasciste dovrebbero muoversi in questo contesto, tenendo a mente la polemica della non partecipazione di alcune di queste forze alla manifestazione pacifica a Macerata una settimana dopo quel violento episodio?

La domanda è complessa e farei a questo punto alcune distinzioni. Parlando dell’antifascismo del PD, bisogna capire che questo partito ha una solida base con una tradizione democratica, e mi fa piacere che Renzi abbia dichiarato pubblicamente che il suo partito è anti-fascista. Ma quello che mi lascia perplesso è questo: l’anti-fascismo non può essere semplicemente uno slogan.

Quindi come dovrebbe essere declinato?

L’antifascismo o è una pratica quotidiana che informa la tua azione politica, oppure non può essere una cosa che sbandieri quando c’è una tragedia. Personaggi come Luca Traini sono giovani che negli ultimi vent’anni un clima anti-fascista non l’hanno vissuto mai. Questo perché, a partire dall’inizio degli anni ’90 abbiamo assistito, fondamentalmente, a uno sdoganamento del neo-fascismo, attraverso una forma di revisionismo storico pieno di contraddizioni.

Come vedere allora, in questa prospettiva la Giornata della Memoria delle Foibe?

Quello è un episodio storico da contestualizzare in maniera più attenta, ossia senza dimenticare, pur condannando la violenza dei partigiani di Tito nell’episodio delle foibe, che fu il regime fascista a invadere in primis la Jugoslavia e a perpetrare tutta una serie di eccidi ai danni della popolazione locale.

Come vedi invece la posizione del M5S in questo contesto? Viene a mente il video in cui Grillo incontra il leader di Casa Pound Di Stefano e dichiara una posizione “ecumenica” nei confronti dei suoi follower.

Nel M5S ci sono diverse anime. Gente di sinistra, ma anche di destra che si è sentita tradita o insoddisfatta e ha deciso di supportare questo movimento. Rimane il fatto che il M5S ha delle posizioni essenzialmente di destra per ciò che riguarda gli immigrati e che non si è mai dichiarato anti-fascista.

I leader del M5S regolarmente rifiutano pubblicamente la distinzione tra destra e sinistra.

Questo in realtà è un antichissimo trucco della destra neo-fascista.

Cioè?

Se uno va a vedere i volantini di una piccola organizzazione, costituita da intellettuali, non da picchiatori, e nota come Giovane Europa, e di cui faceva parte, tra gli altri, Borghezio, si rende conto che già negli anni ’60, non si faceva distinzione tra fascismo ed anti-fascismo, tra destra e sinistra. Era un modo per attrarre la simpatia del maggior numero di persone possibili, senza però dichiararsi neo-fascisti.

Ma quest’attitudine non si può vedere anche tra le forze della cosiddetta sinistra, come se un’atteggiamento soft nei confronti di certe situazioni, o scelte come quella di Minniti per risolvere il “problema immigrati”, condannando non pochi di loro ai famigerati centri di detenzione libici, sia un semplice gioco politico per accattivare consensi nell’elettorato di destra?

Sono perfettamente d’accordo su questo, ma aggiungo che la scelta del PD di non andare a manifestare ufficialmente a Macerata altro non sia che l’ultimo in una serie di errori.

Come vedi d’altro canto, episodi, come quello più recente a Piacenza, di violenza perpetrata dalla sinistra estrema antagonista?

La fase armata del movimentismo radicale di sinistra ormai è finita da 30 anni, ossia con la fine delle Brigate Rosse.
Quello a cui assistiamo oggi sono degli episodi di rabbia e di violenza che rimangono comunque molto circoscritti, e che vanno senz’altro condannati. Detto questo, devo anche osservare che, a partire dal 2001, c’è in questo paese un grosso problema con le forze dell’ordine.

Quale?

Possiamo assistere a una costante violenza: queste sparano, picchiano e torturano. Basti pensare all’episodio della Diaz a Genova, per arrivare al recente caso Cucchi che ancora grida vendetta. Indicativo che l’Italia, oltre a non aver ancora firmato il trattato europeo anti-tortura, è uno dei pochi paesi nel quale gli agenti si muovono in libertà, senza un numero identificativo sui caschi. Abbiamo un’emergenza in questo contesto e bisogna fare qualcosa.

Al di là dell’incidenza relativa di vari tafferugli più o meno violenti, i gruppi antagonisti di sinistra radicale non sembrano delle forze organizzate come quelle di estrema destra.

Dico solo che in questi ultimi anni in questo paese c’è una pace sociale assordante, nel senso che non si può parlare di un movimento antagonista organizzato come si è potuto vedere in Grecia o in Spagna. A Piacenza, dopo i fatti di Macerata, gli antagonisti sono semplicemente andati a protestare di fronte alla sede di Casa Pound, e poi ci sono stati episodi di violenza con la polizia.

Un commento sui recenti scontri con la polizia a Bologna laddove i centri sociali hanno cercato di boicottare una manifestazione di Forza Nuova?

Di nuovo, com’è solo pensabile che un personaggio come Roberto Fiore, condannato in 3 gradi di giudizio, latitante per anni, amico della destra neonazista in UK e nel resto d’Europa, i cui amici e camerati di Terza Posizione furono invischiati nella strage di Bologna, vada a tenere un comizio proprio a Bologna? Come si può pensare che a FN non si applichi la XIII disposizione temporanea della Costituzione e la legge Mancino sulla ricostituzione del partito fascista? Ci si concentra sull’esplosione di rabbia di pochi, si guarda al dito e non alla luna.

D’altra parte si nota la differenza con quello che sta succedendo ora, e la partecipazione politica en masse contro il rigurgito neo-fascista dei “boia chi molla” a Reggio Calabria nel 1972, con il rischio di saltare in aria nel viaggio fin lì.

Insisto, c’è un problema di anti-fascismo. Sono felice che Renzi abbia dichiarato che il PD è orgogliosamente anti-fascista, ma a questo devono seguire dei fatti. Questa posizione non si può sbandierare solo il 25 aprile o a Sant’Anna di Stazzema (ndr. paese noto per un eccidio nazi-fascista nel 1944 e dove Renzi è andato a rendere omaggio alle vittime pochi giorni fa), o solo quando un singolo pazzo di estrema destra si mette a sparare. L’anti-fascismo va praticato ogni giorno.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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