A più di cent’anni dal famoso accordo segreto tra Regno Unito e Francia, siglato nel maggio del 1916, e noto come accordo Sykes-Picot, che cercava di riorganizzare, a tavolino, l’assetto mediorientale in previsione dell’imminente caduta dell’Impero Ottomano, la situazione in questo importante scacchiere geostrategico rimane a dir poco complicata ed altamente fluida, mentre, al tempo stesso, l’annosa ‘questione curda’ non trova una soluzione operativa e pacifica.
Dopo la sconfitta, almeno a livello di controllo territoriale, del sedicente Stato Islamico, l’offensiva lanciata dal premier turco Erdogan contro l’enclave curda di Afrin, nella parte nord-occidentale della Siria, e, il che sembra una triste ironia, battezzata “Operazione Ramoscello d’Olivo”, non fa altro che complicare le cose, e, inevitabilmente, non può non coinvolgere tutti gli altri attori di questo dramma infinito: non solo la Siria, con Assad, tuttora saldamente al potere, ma, ovviamente gli USA, la Russia e l’Iran.
Nei prossimi giorni si terrà a Soci l’ennesimo incontro, presentato come dialogo di pace, tra Russia, Turchia ed Iran, e si hanno non pochi dubbi se esso riuscirà a risolvere i nodi presenti sul tappeto. Tutto questo mentre le Nazioni Unite, chiamate a dire la loro sull’ennesimo attacco turco contro i curdi, che de facto comporta, non dimentichiamo, un’invasione, seppure limitata, in un paese straniero, sembrano aver assunto un atteggiamento di semplice attesa, per vedere quali possono essere i possibili sviluppi.
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Chiara Lovotti, ricercatrice presso l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) a Milano, ed esperta di Medio Oriente parla con YOUng di questa nuova offensiva turca e delle sue implicazioni in questa parte del mondo, ancora ben lontana dal trovare pace ed armonia.
L’INTERVISTA:
A quanto pare le forze turche non si concentrano particolarmente sulla città di Afrin, ma si muovono di più nelle zone circostanti, una mossa forse volta a disperdere le forze curde, mentre si dice che Erdogan, in realtà, non ci tenga particolarmente ad espugnare la città, ma che la sua sia, più che altro, una prova di forza.
Afrin rimane al centro della questione, perché dopo tutto è lì che è stato sferrato l’attacco turco, e qui le cose stanno cambiando: fino a pochi giorni fa, questa era una cittadina assolutamente tranquilla, dove non c’era nessun tipo di problema. E’ stata una mossa del tutto inaspettata, probabilmente concertata segretamente ad Ankara, Mosca e, indirettamente, Damasco. Questa mossa senz’altro cambia le carte in tavola, ma non è solo Afrin al centro vero della questione, bensì l’intera regione del Rojava (ndr, il cantone autonomo curdo in Siria), che rimane una delle ossessioni di Erdogan, che da sempre teme la formazione di uno stato curdo proprio al confine con la Turchia, che si avvicini pericolosamente alle istanze autonomiste dei curdi di Turhia. In ogni caso, anche nella prospettiva dell’imminente incontro di Soci, Erdogan diventa, forse più che in passato, un attore determinante nella crisi siriana.
Però Erdogan aveva già sferrato un attacco contro i curdi nella regione più vicina all’Eufrate tra il 2016 e il 2017.
Sì, e a maggior ragione ora con la sconfitta territoriale dell’ISIS il ruolo dei curdi non è più così indispensabile. Sono stati degli ottimi combattenti contro gli uomini di al Baghdadi, sia in Siria che in Iraq, ma ora, detto brutalmente, sembrano tornati a essere “fumo negli occhi” per gli attori regionali, un elemento di impiccio che non fa altro che complicare il quadro. Questo dopo che, per anni, sono stati, a livello militare, una delle forze più efficaci contro l’ISIS. Adesso più che mai è tornata a galla l’ossessione di Erdogan nei loro confronti.
D’altra parte lo stesso Assad sembrava esser pronto a concedere ai curdi del Rojava, se non uno stato a parte, e quindi una secessione, almeno una certa autonomia nell’ambito di un nuovo assetto federale. Oppure si trattava di puro pragmatismo opportunista in funzione anti-ISIS?
Sì, si ventilava questa ipotesi, ma ha riscontrato opposizione del regime di Assad e ora questo tipo di soluzione alla ‘questione curda’ appare più che mai difficile. Di pari passo, infatti, anche l’attenzione di Erdogan potrebbe spostarsi oltre l’enclave di Afrin, verso il nord est, contro lo zoccolo duro del cantone curdo.
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Al tempo stesso certi osservatori ipotizzano che Assad, non esattamente un caro amico di Erdogan, finisca in qualche modo per aiutare gli stessi curdi in funzione anti-Turchia.
E’ forse prematuro valutare tale ipotesi. Una cosa è certa: non c’è stata una risposta chiara da parte del governo siriano di fronte all’offensiva turca, forse per strategia, perché voleva aspettare di valutare gli sviluppi sul campo, o forse perché in questo momento ha la mente altrove.
E dove?
Ai colloqui di Soci, che peraltro sembra verranno boicottati dalle forze dell’opposizione ad Assad.
Cosa ci si può aspettare da quest’incontro?
Temo che finirà per essere l’ennesimo dialogo dal quale non uscirà nulla di risolutivo per la crisi siriana. Intanto quello che è certo è che si è creato una sorta di paradosso: se prima i curdi avevano rifiutato di cedere Afrin al regime di Assad, ora si sono trovati a dovergli chiedere di difenderli dall’attacco turco. La richiesta curda però non ha avuto risposta, proprio perché Assad non può rischiare ora di esporsi né di compromettere la propria posizione e rischiare di entrare in rotta di collisione con Putin, che è l’attore che più di tutti gli ha consentito di rimanere saldo al potere.
Intanto è stata un po’ una sorpresa il fatto che la Russia, alleato chiave di Assad e in controllo dello spazio aereo siriano abbia praticamente dato la luce verde all’Operazione Ramoscello d’Olivo di Erdogan. Una mossa in qualche modo volta ad accattivarsi la Turchia che rimane parte della NATO?
Credo di più ad un’altra spiegazione: la mossa è stata più a favore di Assad per aiutarlo a liberare l’enclave curda di Afrin dalla solida presenza curda e riprenderne il controllo. In altre parole, l’obiettivo è quello di semplificare l’intricato quadro nella Siria settentrionale a favore del regime.
Ma al tempo stesso è impossibile non osservare il graduale riavvicinamento tra Russia e Turchia, laddove la prima ha venduto recentemente un bel po’ di armi ad Erdogan, e che è molto interessata ad utilizzare la Turchia per il passaggio del gasdotto che non può più transitare via Ucraina.
Esiste questo fattore, ma oltre a questo Putin ha interesse a una graduale ripresa del controllo territoriale da parte dell’alleato Assad, anche perché, come ha dichiarato a sorpresa il novembre scorso, intende gradualmente sganciare militarmente la Russia dalla Siria ritirando le proprie truppe.
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Quindi la prospettiva è questa: la Turchia, dopo aver spazzato i curdi, si ritirerebbe.
È difficile da dire, tuttavia quelle di Erdogan non sembrano mire “espansionistiche” in Siria. L’attacco contro i curdi è legato più che altro ai presunti legami di questi ultimi col PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi, considerato illegale in Turchia e grande nemico interno del neo-sultano. Fondamentalmente Erdogan vuole indebolire i curdi dovunque si trovino – in Siria, in Iraq ed anche in Iran – in funzione principalmente domestica.
Sempre a livello domestico l’operazione di Erdogan contro i curdi di Afrin sembra aver ottenuto un certo supporto popolare. Oppure la crescente censura e repressione dell’opposizione interna, ormai tipica del regime di Erdogan, ha messo a tacere le voci contrarie?
Certamente, dopo il tentativo di golpe, la censura e le limitazioni alla libertà di espressione hanno avuto un peso in questo contesto – ultimamente, per esempio, molti think-tank e centri di studi sono stati chiusi – ma al tempo stesso, forse anche per una forma di paura, si è creato un certo consenso intorno a Erdogan, sia in Turchia che nelle comunità di emigrati presenti nei paesi europei e occidentali. Inoltre rimane, in buona parte dell’opinione pubblica, una forma di immagine negativa nei confronti del PKK, responsabile di attentati. E quindi l’attacco ai curdi di Afrin, legati al PKK, per associazione mentale viene presentato, e forse accettato, come un attacco contro il “male”.
Al tempo stesso si pensa che se la cosiddetta Operazione Ramoscello d’Olivo non dovesse andare a buon termine entro un certo lasso di tempo – e si parla dell’estate come limite massimo – questa potrebbe ritorcersi contro il suo autore.
Come tutte le operazioni di questo tipo, quella di Erdogan implica, inevitabilmente, dei rischi. Pur essendo obiettivamente troppo presto per fare dei pronostici precisi, tuttavia l’effetto boomerang rimane una potenzialità.
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Come mai l’ONU si è praticamente defilata da tutto questo?
Da un lato si pone attenzione al delicato asse Ankara-Washington, essendo la Turchia alleato prezioso per la NATO. E qui c’è un paradosso.
Quale?
Gli USA sono stati molto vicini ai curdi ultimamente, in funzione anti-ISIS. Questo per sottolineare che si tratta di una situazione delicata, e quindi una posizione attendista è comprensibile, considerando anche il prossimo incontro di Soci.
Ma questi incontri di Soci non hanno finora sortito grandi progressi verso una rappacificazione dell’area. Cosa ci si può aspettare da quest’incontro?
Temo che finirà per essere l’ennesimo dialogo dal quale non uscirà nulla di risolutivo per la crisi siriana. Al tempo stesso, l’ONU, a parte gli interventi umanitari attraverso, per esempio, l’UNHCR (ndr. l’agenzia per i rifugiati) – si parla già di 5000 sfollati ad Afrin negli ultimi giorni – ed anche grazie ai veti di singoli stati chiave, non si espone troppo dal punto di vista politico e quindi, purtroppo, spesso rimane un attore minore o comunque non determinante in molte gravi situazioni a livello mondiale.
In ogni caso, viste le vaste differenze ideologiche tra i curdi del Rojava, a loro modo comunisti, e Donald Trump in particolare, si può dire che questa “strana alleanza” nasce da motivi pragmatici ed opportunisti?
Certo: i curdi hanno fatto comodo agli USA in funzione anti-ISIS, e rimangono comunque una spina sul fianco di Assad, con il quale gli USA non hanno proprio il migliore dei rapporti.
E poi anche l’Iran, altro importante attore nel gioco mediorientale, ha problemi con i curdi.
Sì, esiste, dopo tutto, una forte comunità curda in Iran, soprattutto nella parte occidentale del paese, e poi, naturalmente anche il vicino Iraq teme l’ingrossamento del fenomeno curdo. Al tempo stesso l’Iran soffre meno delle tendenze autonomiste curde, rispetto a paesi come Siria, Iraq e Turchia.
Qual è quindi il suo interesse principale?
Mantenere saldo l’asse con Assad, soprattutto in funzione pro-sciita, ed alla fin fine agire più che in funzione anti-curda, in semplice funzione pro-Iraniana.
Nel caso di una sconfitta sul territorio dei curdi in Siria con la repressione del cantone di Rojava, non sarebbe immaginabile il passaggio ad una forma estesa di guerriglia, un po’ stile Vietnam, vista soprattutto le capacità militare dei combattenti curdi?
Come dicevo, è difficile fare delle previsioni sul futuro in questo momento. In Iraq, per esempio, dopo il grande successo del referendum indetto da Barzani per l’indipendenza del Kurdistan dall’Iraq, Baghdad non solo non ha accettato i risultati, ma è anche intervenuta per rimuovere i curdi da certe parti del paese, come Kirkuk. A ciò però non è seguita una reazione militare in loco da parte curda.
Sì, ma i curdi di Barzani non sono i curdi del Rojava.
Questo è vero, ma intanto è recente la dichiarazione di un gruppo di peshmerga nel Kurdistan di voler raggiungere Afrin per aiutare i loro “fratelli” in Siria.
In generale, questo attacco ad Afrin che effetto ha sulla causa curda?
E’ una causa che regolarmente s’infiamma, ma che non riesce a trovare una soluzione e viene sopita dai soliti giochi internazionali, nel senso che le varie potenze non hanno alcun interesse a stabilizzare la regione curda e a lavorare per uno sbocco positivo e conclusivo.
Comunque nonostante la vittoria, almeno a livello territoriale, sull’ISIS permane, nella sua gravità, il problema dell’assetto politico-strategico in Medio Oriente, al quale, come ben sappiamo, si aggiunge il ben noto vespaio israeliano-palestinese.
Purtroppo è così. Lo stato islamico aveva in qualche modo riunito varie forze e vari attori, uniti tutti da una causa comune. Ora si è tornati a una gara tra queste forze e questi attori, ognuno con interessi diversi.
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