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Il terrore della solitudine

Postato il Maggio 28, 2020 Attilio De Alberi 0

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Esiste un particolare pensiero che può assalire molte persone, soprattutto quando esiste il dubbio se vale la pena rimanere in una relazione o abbandonarla: il terrore di rimanere soli. Al tempo stesso questo può valere anche per situazioni di isolamento impostateci, per esempio, dalla quarantena del Coronavirus. Al tempo stesso esistono libri che lodano la solitudine: quelli che descrivono la vita di un divorziato che se n’è andato a vivere su un’isola o che ha fatto il giro del mondo in barca da solo. Ma ci sono anche situazioni in cui una vacanza solitaria si è dimostrata per certe persone come una catastrofe.

Tuttavia, secondo The School of Life, il centro britannico di studi filosofici e psicologici ci sono delle cose che possiamo imparare per diminuire la paura della solitudine.

La prima osservazione è che, tendenzialmente, ci si sente peggio, per esempio, se si rimane soli il sabato sera invece del lunedì sera. Questo perché il lunedì è associato, mentalmente, con l’inizio di una settimana piena di impegni, mentre il sabato è, di solito, associato, con la movida o con feste a casa propria o a casa di amici o con qualche forma di movida. Se rimaniamo soli un sabato sera possiamo avere una reazione psicologica che ci fa sentire come non-voluti, squallidi, disgustosi o emozionalmente malati.

L’idea di fondo è di lavorare su noi stessi per evitare questo tipo di reazioni, magari ricordando anche come abbiamo passato un’ottima vacanza da soli o di come, da bambini, eravamo capaci di passare molto tempo da soli, magari giocando o lavorando su qualche particolare progetto, senza sentirci tristi o assaliti da uno stato di vergogna.

Non è detto che per superare le nostre ansie legate alla solitudine dobbiamo per forza entrare in una relazione amorosa. Vale invece la pena fare una serie di considerazioni che possono aiutarci a superare il terrore della solitudine.

La prima cosa sulla quale possiamo riflettere è che la nostra solitudine è voluta. Al di là delle voci interiori che possono tormentarci, siamo noi stessi a voler stare da soli. In altre parole, siamo noi che, se volessimo, potremmo stare in compagnia. Quindi la nostra solitudine è voluta, piuttosto che imposta in qualche maniera. Siamo noi che preferiamo stare da soli, invece che con una compagnia non piacevole. Preferiamo magari portare avanti una conversazione interiore. Non è che il mondo ci ha rifiutato, ma siamo stati noi a rifiutare certe relazioni.

Dobbiamo poi stare attenti alle relazioni con l’esterno. Possiamo considerare la bellezza di una festa, quella di un ristorante pieno di persone che comunicano tra loro, quella di una coppia che cammina mano nella mano, quella di una famiglia che parte per un eccitante viaggio all’estero. Ma, al tempo stesso, grazie ad un’attitudine di sobrietà possiamo prendere in considerazione che tutte le situazioni elencate potrebbero contenere elementi di alienazione. Tutte le persone che abbiamo visto in compagnia mantengono comunque una forma di solitudine, al di là delle piacevoli apparenze. E’ un modo di dire che la solitudine può essere non solo una caratteristica della nostra vita, ma, semplicemente, una caratteristica essenziale e comune a tutta l’umanità. Anche avere un partner non esclude la possibilità di vivere una forma di vuoto nella nostra esistenza. La sofferenza e la solitudine fanno parte dell’esperienza umana, al di là delle apparenze esteriori.

Inoltre ci sbagliamo con le nostre “statistiche”. Pensiamo che tutti quelli che circondano siano felici, ma non abbiamo preso in considerazione quello che veramente accade, sia a noi che agli altri. Il disgusto verso noi stessi sembra avere più forza rispetto alle considerazioni su cosa è la cosiddetta normalità. Se facciamo un’analisi più approfondita ci rendiamo conto che molte persone attorno a noi hanno qualcosa di cui lamentarsi. Quindi l’insoddisfazione interiore può essere un sentimento comune a molte più individui di quanto possiamo pensare.

Un altro aspetto da valutare è che non c’è nulla di vergognoso in quello che facciamo. L’idea di stare da soli ci può apparire come qualcosa che manca di dignità. Non tutti quelli che passano del tempo da soli sono dei modelli negativi. Molte persone hanno volutamente scelto di stare da soli. Basti pensare a scienziati o a scrittori in generale che passano anni a scrivere un libro, a musicisti che passano molto tempo da soli, magari a comporre e suonare musica. Quindi quelli che stanno da soli non sono necessariamente disperati.

Infine, bisogna comprendere il proprio passato. La sensazione di vergogna che nasce nel passare il tempo da soli può provenire dalla nostra infanzia, ed in particolare da una visione non amabile di noi stessi che abbiamo sviluppato nei primi anni della nostra esistenza. Qualcuno, in questo passato, può averci fatto sentire degli esseri indegni, e quando, ora, nel presente della nostra vita, soffriamo una qualche forma di capovolgimento, quella sensazione di essere indegni può riaffiorare, e può farci sentire che non meritiamo di esistere.

Quindi, alla fin fine, non è che abbiamo paura di esser soli, ma che, in realtà, non ci piacciamo molto. E per questo che vale la pena introdurre un elemento di simpatia ed una comprensione psicoterapeutica, piuttosto che la compagnia di un partner che non c’interessa più. In altre parole, se ci piacciamo non dobbiamo aver paura a stare da soli, proprio perché apprezziamo l’amicizia con noi stessi. Comprendiamo quindi che possiamo tranquillamente sia stare in nostra compagnia ed essere al tempo stesso degni membri della comunità umana. A questo punto potremo valutare con calma e saggezza se vale la pena rimanere in una relazione o semplicemente rinunciarvi.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#psicologia#solitudine

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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