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Grandezza e limiti del trattato sulla proibizione delle armi nucleari

Postato il Novembre 3, 2020 Attilio De Alberi 0

Per leggere questo articolo ti servono: 2 minuti

Ci si sta avviando verso la ratificazione del Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons noto anche come TPNW (ossia il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari). La ratifica legale dovrebbe avvenire il 22 gennaio del 2021. Il fine ultimo di questo trattato sarebbe l’eliminazione totale delle armi nucleari. Ma esiste un problema: quanti dei paesi in possesso delle armi nucleari si avvieranno a firmare questo trattato?

Uno degli aspetti più importanti, come anche più preoccupanti, dell’investimento da parte di certi stati nella creazione e nella manutenzione delle testate nucleari è proprio l’ammontare delle spese necessarie, che potrebbero invece essere dirette ad altri settori dell’economia e della tutela dei cittadini. Basti tenere a mente che i nove stati possessori di armi nucleari hanno un totale di 13.400 armi di questo tipo, che costano loro 72,9 miliardi di dollari per mantenerle. Questo è il calcolo fatto nel 2019, quando c’è stato un aumento del 10% rispetto al 2018.

Una ricerca condotta dall’ICAN, la International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (la ‘Campagna Internazionale per Abolire le Armi Nucleari’) fa notare come la spesa portata avanti da ogni paese sulle armi nucleari avrebbe potuto pagare almeno 100.000 letti per le cure intensive o decine di migliaia di lavoratori nel campo sanitario. Basti pensare che i soli Stati Uniti hanno più testate nucleari che ospedali.

Sharan Burrow, Segretario Generale dell’ITUC, la International Trade Union Confederation (la ‘Confederazione Internazionale dei Sindacati’) ha fatto questa dichiarazione a proposito delle armi nucleari: “I governi non dovrebbero farsi ingannare dall’idea che le armi nucleari proteggono i loro cittadini. Grazie proprio alla loro natura sono una minaccia diretta alla sicurezza della gente, ed una minaccia indiretta a causa del denaro che costano. E’ ben chiaro che l’impatto economico e sociale legato al perpetuare le armi nucleari costa delle vite.” Ha poi aggiunto: “Il COVID-19 ha esposto il fallimento nel provvedere una vera sicurezza per la gente attraverso la mancanza di investimento nella protezione sociale, nelle garanzie sul reddito, nelle cure, nella salute e in una giusta transizione ad un mondo sicuro dal punto di vista climatico. Questo potrebbe cominciare ad essere corretto se i paesi che posseggono armi nucleari abolissero le loro armi e spendessero i soldi che hanno risparmiato in politiche sociali ed economiche significative”.

La questione rimane appunto questa: quanti paesi ratificheranno il trattato per il disarmo nucleare, e, ammesso che lo facciano, poi si muoveranno seriamente per abolire sul serio le armi nucleari?

Bisogna anche prendere in considerazione che, grazie all’amministrazione Trump gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Intermediate Nuclear Forces Treaty (il ‘Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie’) con la Russia che richiedeva ad entrambi i paesi di eliminare cerri missili nucleari.

Inoltre il Treaty on Measures for the Further Reduction and Limitation of Strategic Offensive Arms (il ‘Trattato sulle Misure per l’Ulteriore Riduzione delle Armi Strategiche Offensive) tra USA e Russia espirerà nel febbraio del 2021, e ciò porterà i due più grandi arsenali nucleari a livello mondiale a non avere più alcuna restrizione per la prima volta dagli anni ’70, quando Ronald Reagan e Mikhail Gorbachev si misero d’accordo proprio su questo delicato soggetto.  

Tutto questo va a confermare che ci vuole una seria volontà politica per giungere ad una vera e propria eliminazione delle pericolose armi nucleari.  

#armi nucleari#trattato proibizione armi nucleari

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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