Forse quello in cui speriamo si realizzerà tra molto tempo. Tra molti mesi o tra molte decadi, o magari mai. Esempi: completare la stesura di un romanzo, accumulare abbastanza soldi in modo da comprare una casa, cominciare una nuova carriera, la conoscenza di un partner giusto per noi, il trasferimento in un altro paese sulla Terra. Poche delle cose in cui poniamo molte delle nostre speranze si realizzano in questa stagione, per non parlare di stasera stessa.
Ma, occasionalmente, la nostra vita ci pone in una situazione nella quale il nostro normale modo di pensare ad obiettivi di lungo termine diventa impossibile. Immaginiamo di aver avuto un terribile incidente d’auto. Siamo in uno stato di coma in un ospedale e poi magari rimaniamo per settimane bloccati in casa, con le ossa rotte e pesanti emicranie. Non è chiaro quando potremo ritornare a lavorare, se mai potremo. Se uno ci chiedesse come vanno le cose la risposta potrebbe (o dovrebbe) essere: “Stiamo vivendo un giorno alla volta”.
O immaginiamo che una persona di 89 anni mentalmente agile, ma lenta nel camminare e piena di acciacchi, abbia appena sofferto una caduta ed abbia il ginocchio sinistro artritico. Oggi potrebbe aver fatto un po’ di giardinaggio, ed il giorno dopo può essere andato, per la prima volta dopo molto tempo, a fare spese nel più vicino negozio. Se chiediamo a chi si prende cura di questa persona come vanno le cose, la risposta, di nuovo potrebbe essere: “Stiamo vivendo un giorno alla volta”.
Altro esempio: siamo appena diventati genitori, il parto è stato difficile ed il neonato, che soffriva d’itterizia, ha avuto bisogno di una trasfusione di sangue. Ora madre e bambino sono finalmente a casa, e la creatura la notte tende a piangere molto a causa di una medicina che prende per lo stomaco. Ma finalmente il neonato ha smesso di piangere, e quindi c’è la possibilità di portarlo a fare una passeggiata nella natura. Come vanno le cose? La risposta rimane: “Stiamo vivendo un giorno alla volta”.
Gli scenari elencati sono un po’ estremi, ed ognuno di noi spera che non abbiano mai luogo, ma secondo The School of Life, il centro inglese di studi psicologici e filosofici, possono contenere dei validi insegnamenti per chiunque.
Il “pensare un giorno alla volta” ci ricorda che in molti casi il nostro più grande nemico è quel nettare critico chiamato speranza e la sconcertante emozione che porta con sé: l’impazienza.
Se limitiamo i nostri orizzonti alla fine della giornata ci prepariamo ad un lungo tragitto, e ci ricordiamo che un miglioramento nelle nostre vite può essere raggiunto quando non lo aspettiamo troppo ardentemente. Il nostro stato d’animo più produttivo potrebbe una calma malinconia, con la quale possiamo allontanare la tentazione della rabbia o della mania, e pienamente nutrire quella moderata determinazione necessaria per fare cose delicate o complicate: scrivere un libro, allevare un bambino, riparare un matrimonio o trovare una via fuori da un esaurimento nervoso.
Vivere le cose un giorno alla volta significa ridurre il livello di controllo che ci aspettiamo di introdurre in un futuro incerto. Significa riconoscere che non abbiamo alcuna seria capacità di esercitare la nostra volontà nell’arco di alcuni anni, e che non dovremmo quindi disdegnare la chance di assicurarci uno o due minori risultati o vittorie nel giro delle ore a venire.
Alla fin fine dovremmo essere immensamente grati se, entro sera, non siamo stati vittime di ulteriori problematiche. Man mano che la vita diventa più complicata possiamo ricordarci che è possibile rilassarci e sorridere nel nostro viaggio, invece di gestire con parsimonia le nostre riserve di gioia per un finale ad una distanza piuttosto nebulosa.
Vista la portata di quello che dobbiamo affrontare, e sapendo che la perfezione non potrebbe mai materializzarsi, possiamo piegarci ad accettare con fresca gratitudine alcuni dei doni minori che sono già a nostra portata di mano. Possiamo guardare e godere con fresca energia una nuvola, un uccello, una farfalla o un fiore.
Quando siamo giovani siamo tentati di schernire simili suggerimenti, visto che ci sono cose più vaste in cui sperare rispetto a tali manifestazioni evanescenti della natura: un amore romantico, il perseguimento di una carriera o un cambiamento politico. Ma col tempo quasi tutte queste maggiori aspirazioni tendono a prendere un colpo, forse anche grande.
Ci si può scontrare con alcuni degli intrattabili problemi di una relazione intima. Si può soffrire per il divario tra le proprie speranze professionali e le realtà a disposizione. Si ha la possibilità di osservare quanto lentamente ed in modo irregolare il mondo cambia in una direzione positiva. Ci si rende conto dell’entità della cattiveria e della follia umana – come anche della propria eccentricità, follia ed egoismo.
E’ a questo punto che la bellezza della natura può assumere una sfumatura diversa: non appare più come una futile distrazione rispetto ad un imponente destino, non più un insulto alla nostra ambizione, ma un genuino piacere nel bel mezzo di una litania di difficoltà, un invito a mettere tra parentesi le proprie ansietà e tenere sotto controllo l’autocritica, una piccola isola dove far riposare la speranza, in un mare di delusioni, un’appropriata consolazione, per la quale uno può essere finalmente pronto, nel corso di una passeggiata pomeridiana, ad essere appropriatamente grato.
Un esempio che può ispirarci è quello di Van Gogh, che nel maggio del 1889 venne rinchiuso in un asilo psichiatrico a Saint-Remy, nella Francia del sud, dopo aver perso la ragione ed aver cercato di recidersi un orecchio. All’inizio della sua permanenza passò molto tempo a letto. Dopo alcuni mesi divenne più forte e fu in grado di uscire nel giardino della struttura. E fu qui, che in un leggendario stato di assorbimento estetico, notò le radici contorte di un pino marittimo, la fioritura di un melo, un bruco che attraversava una foglia, e – cosa più famosa – la fioritura di una serie di iris viola. Nelle sue mani di pittore queste divennero i simboli totemici di una nuova religione orientata verso la celebrazione della bellezza trascendente della vita di ogni giorno.
Il suo noto vaso di iris non è lo studio sentimentale di un fiore comune, ma l’opera di una figura centrale della cultura occidentale che lotta per arrivare alla fine della giornata senza farsi fuori, afferrandosi saldamente, con le mani di un genio, ad una ragione per cui vivere.
E’ normale non cedere rispetto a tutto quello che desideriamo. Perché zoppicare se possiamo correre? Perché accettare un’amicizia quando bramiamo per la passione? Ma se arriviamo alla fine della giornata e nessuno è morto, nessun arto si è rotto, qualche riga è stata scritta ed una o due cose incoraggianti ci sono state dette, questo è già un risultato degno di un posto sull’altare della sanità mentale.
Quanto è naturale la tentazione di riporre la propria fede nella generosa abbondanza degli anni a venire, ma al tempo stesso quanto più saggio potrebbe essere condurre tutte le facoltà di apprezzamento e di amore verso quel più modesto e più facilmente trascurato degli incrementi: il giorno già nelle nostre mani.