Gli analisti che poco avevano capito di Emmanuel Macron e della sua elezione rischiano di comprendere ancora meno della marea gialla che ha scosso gli Champs-Élysées. L’Italia del populismo bicefalo, di lotta e di governo, è stata subito classificata come un pericoloso fattore destabilizzante per tutta l’Europa; e se, da un lato, la trattativa con la Commissione europea in merito alla Legge di Bilancio non si sta rivelando affatto facile, dall’altro nubi minacciose si sono addensate lontano da Roma.
La presidenza Macron, ritenuta una sorta di ancora di salvezza non solo per la Francia ma per tutta la zoppicante Unione europea contro l’avanzare dei “populisti” e dei sovranisti, sta diventando il vero anello debole che rischia di terremotare il continente molto più di qualche decimale di troppo nei conti italiani.
I tempi della politica si misurano, ormai, con la velocità di un click. Così, può capitare che il presidente più giovane della storia francese, eletto con più del 65% dei voti solo a maggio del 2017 e nettamente vittorioso anche nelle elezioni legislative del giugno seguente, sia sprofondato rapidamente in una crisi di consenso e di legittimità che all’Eliseo non ha eguali.
L’homo novus, costruito a tavolino insieme al suo partito En marche! nei salotti della tecnocrazia e nei laboratori degli spin-doctor, ha mostrato evidenti limiti caratteriali e gestionali, sia nell’organizzare internamente il partito, sia nel rapportarsi con la sua stessa squadra di governo. L’astro nascente della politica francese si sta bruciando in fretta, scontando non solo un’eccessiva arroganza ma finendo col compiere i medesimi errori dei partiti tradizionali tanto criticati nel corso della sua campagna elettorale. Molti, anche in Italia, sempre alla ricerca di un Papa straniero al quale affidare servilmente i destini del Paese, credevano di aver trovato in Macron l’antidoto alle forze destabilizzanti: una specie di anti-populista dal volto umano e carismatico, in grado di ricucire lo strappo tra le istituzioni e i cittadini, e di rilanciare il progetto europeo.
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Si ritrovano un professionista della gaffe, inviso ai suoi stessi colleghi di partito, isolato a Bruxelles, e con un consenso in caduta libera: una parabola discendente che ricorda molto da vicino quella di Matteo Renzi. Il problema, per Macron, è che i gilet gialli non sono i folkloristici forconi all’italiana maniera.
La protesta francese è iniziata contro uno dei provvedimenti-simbolo di questa presidenza: un rincaro delle accise sui carburanti (0,76 euro per il gasolio, 0,39 per la benzina), la cosiddetta “eco-tassa”. Questa proposta si inserisce all’interno di un piano energetico più ampio – materia di un ministero ad hoc, quello per la Transizione Ecologica – che prevede la chiusura delle centrali a carbone entro il 2022 e il contestuale passaggio alle energie rinnovabili, nonché la riduzione del 50% della quota di energia nucleare entro il 2035. I balzelli sul carburante che hanno scatenato la reazione popolare dovrebbero incentivare, nel contesto di questo approccio ecologico, il passaggio alle auto ibride ed elettriche. Si è innescata, invece, la scintilla che è divenuta un incendio sociale di proporzioni inaspettate.
Tuttavia, non è corretto approcciarsi a questo fenomeno tentando di carpirne il grado di “fascismo”, di “sovranismo”, di “populismo”, o persino di “liberismo”.
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Questa non è una protesta di colore politico né coerente dal punto di vista delle richieste, poiché ormai nel calderone delle rivendicazioni è stato inserito tutto e il contrario di tutto, riassunto in un’improvvisata piattaforma programmatica distribuita sul web. Invero, la protesta dei gilet gialli sintetizza le fratture socio-economiche che stanno caratterizzando la politica contemporanea, in particolare l’avversione verso quello storytelling progressista che tra le sue priorità ha la salvaguardia dell’ambiente a scapito della tutela dei posti di lavoro o di una diminuzione della pressione fiscale. Per un pendolare, un operaio o un autotrasportatore la priorità è arrivare a fine mese, non rispettare l’Accordo sul clima di Parigi – dal quale, invece, si è tirato fuori lo scaltro Donald Trump. Non è un caso che la protesta francese abbia attecchito da subito nelle aree rurali e più lontane dalle grandi città. Macron, più che un salvatore dell’Europa, pare dunque essere l’ultimo esponente di quella terza via tanto cara a Blair, Schroeder, Clinton e Obama e già dimostratasi fallimentare ovunque, avendo mostrato l’inadeguatezza del modello socialdemocratico nel tentare di governare la globalizzazione. Gli osservatori che auspicavano il “momento Tsipras” in l’Italia si ritroveranno a fare i conti con un “momento Weimar” in Francia.
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