Ha creato non poche controversie negli ultimi giorni la decisione da parte di Donald Trump di alzare le tariffe per acciaio e alluminio, rispettivamente del 25% e dl 10%, anche se, come ha specificato in un recente incontro alla Casa Bianca con Stefan Löfven, il primo ministro svedese, questa operazione sarà portata avanti “in maniera amorevole”. Ma uscite contraddittorie di questo tipo ormai non dovrebbero sorprendere nessuno, conoscendo The Donald.
Per giunta ora Trump, nonostante le richieste ufficiali da parte della UE di discutere questa sua decisione, magari per arrivare ad un compromesso, proprio nel corso del weekend, ha alzato il tiro, minacciando tariffe per l’industria automobilistica, in particolare quella tedesca. Si parla in particolare della Mercedes-Benz e della BMW. Tutto questo tralasciando un dettaglio non da poco: i due colossi hanno importanti stabilimenti, nella Carolina del Sud ed in Alabama, che danno lavoro a un bel po’ di operai americani. Le eventuali ritorsioni potrebbero danneggiarli, proprio in due stati tradizionalmente repubblicani.
L’iniziativa di Trump nasce chiaramente dalle promesse fatte in campagna elettorale, in questo caso specifico quelle fatte ai lavoratori disoccupati, o comunque sottoprivilegiati della cosiddetta Rust Belt, quella regione degli USA che da tempo sta attraversando una profonda crisi economica proprio a causa della caduta nella produzione di acciaio e alluminio.
Ma a parte la considerazione generale, e storica, per cui le trade war, le guerre commerciali, non hanno mai portato bene, è chiaro che Trump ha fatto i conti senza l’oste. Immediata e molto negativa è stata soprattutto la reazione dell’Europa, dalla Merkel a Macron, che promette ritorsioni, ma anche della Cina, sebbene un po’ più moderata.
Un’altra conseguenza non di poco conto è stata la dipartita di Gary Cohn, il Consigliere Economico del presidente, noto uomo di Goldman Sachs e legato ai circoli di Wall Street. Si era controllato, pur essendo ebreo, quando The Donald aveva detto che tra i neo-nazisti nella dimostrazione suprematista bianca a Charlottesville c’era anche “brava gente”. Ma questa volta non ce l’ha fatta. Trump spera che ritorni, e forse per questo non ha ancora nominato il suo successore. Ma è una speranza piuttosto flebile. Vale la pena notare che subito dopo le dimissioni di Cohn il Dow Jones è sceso di 300 punti.
Infine, a parte le reazioni all’estero, ben 103 repubblicani nel Congresso si sono dichiarati contrari a quest’ultima iniziativa presidenziale, e questo conferma, almeno in parte, il suo relativo isolamento politico.
Quasi contemporaneamente alla sortita sui dazi è arrivata la notizia secondo la quale Trump e Kim Jong-un, hanno programmato d’incontrarsi a maggio (forse in Svizzera). Sarebbe il primo incontro tra un presidente USA e un leader della Corea del Nord. Appare come una notizia positiva, soprattutto visto le recenti tensioni, ma c’è da chiedersi se porterà veramente a un reale détente tra i due paesi, soprattutto visto che non sarà necessariamente precedute da serie trattative. Chi potrebbe avvantaggiarsi di questo incontro potrebbe essere proprio “the rocket man”, come Trump aveva definito in uno dei suoi tweet il giovane dittatore nordcoreano.
Parla di questo a YOUng Giampiero Gramaglia, consigliere presso l’IAI (Istituto Affari Internazionali) di Roma. Con una guerra dei dazi, dice Gramaglia “Hai degli attori che ne escono contenti ed altri che ne escono scontenti: non puoi rendere contenti tutti.”
L’INTERVISTA:
Cosa dire sull’effetto boomerang della decisione di Trump sui dazi, di cui tutti parlano?
Qualsiasi decisione commerciale che impone dei dazi comporta delle ritorsioni sotto forma di altri dazi di segno uguale e opposto da parte dei paesi interlocutori colpiti.
Quindi, specificatamente, quali potrebbero essere le conseguenze?
Grazie a questo esercizio ci possono essere delle regioni negli USA che si sentono protette dai dazi, in questo caso le aree vetero-industriali degli USA (Pennsylvania, Ohio e parte dei Grandi Laghi), ma al tempo stesso hai delle aree che vengono colpite dalle contromisure dei tuoi partner commerciali.
Per esempio?
Le grandi pianure del Mid West note per l’esportazione di grano e soprattutto di mais.
Ma, a parte l’idea di soddisfare parte del suo elettorato, appunto la costituency della Rust Belt, sembra che questa mossa di Trump sia una forma di ritorsione per il fatto che i paesi europei della NATO non s’impegnano abbastanza nelle spese militari.
Come spesso succede a Trump, lui mescola diversi argomenti. E’ vero che da parte di paesi NATO, come la Germania, ma anche la stessa Italia, l’impegno di spendere almeno il 2% del PIL nella difesa non viene rispettato, quindi, da questo punto di vista gli USA potrebbero aver ragione, ma questo c’entra poco o nulla con i dazi.
In che senso?
Prendersela con l’Europa significa prendersela con un’area ormai relativamente marginale nella produzione di acciaio e di alluminio, rispetto a paesi come Cina, India e Brasile.
Se vogliamo, il “nemico” principale in questa “guerra” non è forse, dopo tutto, la Cina?
Guerre sull’acciaio ne sono state già combattute a più riprese tra USA ed Europa negli ultimi 40 anni, ma ora sì, il “nemico” principale è proprio la Cina. Ma anche in questo caso non dobbiamo poi sorprenderci se anche questa poi prenda delle contromisure magari di carattere finanziario o limitando i servizi che gli USA vendono nel paese.
In generale comunque il bilancio commerciale USA è in rosso da un bel po’ di tempo.
Questo è vero e non vuol dire che gli USA debbano accettare questa situazione, ma ci sono anche i dati relativi al valore del dollaro. Per molti anni, fino alla crisi del 2009, l’euro è stata una valuta forte rispetto a quella americana, e questo a vantaggio degli USA. Ma poi la situazione si è invertita. Ora l’amministrazione Trump, seppure in maniera contraddittoria, sta cercando d’indebolire di nuovo il dollaro.
Ma dal punto di vista meramente politico-legale questa mossa sui dazi non deve poi passare al vaglio del Congresso, dove, tra l’altro, ben 103 repubblicani sono in disaccordo?
Attenzione: la decisione di Trump, giustificata sulla base della sicurezza nazionale, gli permette di procedere comunque, anche se ci vogliono poi 15 giorni prima che entri formalmente in vigore.
Il Congresso potrebbe fare qualcosa?
Potrebbe votare per una legge che contrasti questa decisione. In realtà un’iniziativa è già partita nella Camera dei Rappresentanti. Se il Congresso, ed in particolare il Senato, si mette di punta contro Trump, la sua iniziativa potrebbe anche essere bloccata.
Qualche commento sulle dimissioni di Gary Cohn?
Per certi versi, Cohn era fin dall’inizio la persona sbagliata nel posto sbagliato.
Perché?
Cohn è fondamentalmente un globalista ed un liberista nel filone della tradizione economica moderata repubblicana, e si è trovato a fare il consigliere per un’amministrazione isolazionista, nazionalista e protezionista.
A parte il fatto che Cohn viene da Goldman Sachs, Wall Street non sembra aver reagito molto bene alle sue dimissioni e, in generale, all’iniziativa protezionistica trumpiana.
Sì, e questo riflette anche il fatto che il mercato finanziario è più legato alle nuove industrie dei servizi ed alle nuove tecnologie che alla siderurgia, quindi, anche se qualche titolo in questo settore dovesse risalire, ciò non farebbe di per sé salire il Dow Jones in generale. E comunque la finanza, nel suo insieme, non è favorevole al protezionismo.
Tornando ai repubblicani, si nota che pur soffrendone, questi finiscono sempre per far quadrato attorno al presidente che, dopo tutto, si sono scelti.
Beh, fino ad un certo punto: l’unica mossa che hanno appoggiato all’unanimità è stata, in realtà, la riforma fiscale. Non si può dire lo stesso sul rovesciamento dell’Obamacare o sulla riforma delle norme relative all’immigrazione, laddove non si è trovata una maggioranza sufficiente.
Si parla spesso non solo dell’imprevedibilità di Trump, ma anche della sua insistenza nell’andare avanti con le sue idee. C’è addirittura stato uno psichiatra presso l’università di Yale che ha comunicato al Congresso i suoi forti dubbi circa la sua sanità mentale tout court.
Analisi psichiatriche su Trump ne sono state fatte molte e, politicamente parlando, lasciano un po’ il tempo che trovano. Ma senz’altro, come personalità, come carattere, Trump è una persona soggetta a sbalzi di umore: s’inquieta facilmente e reagisce spesso in maniera virulenta – i suoi tweet ne sono una prova. Per il resto, cerca di portare avanti le sue idee: dal protezionismo al muro col Messico, al trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme. Indipendentemente dai danni che certe sue iniziative possono poi provocare, lui, caparbiamente, cerca di mantenere le sue promesse elettorali.
Ma nella sua “battaglia” Trump appare in qualche modo sempre più isolato.
Sì, tranne Kellyanne Conway, con lui fin dall’inizio della sua avventura presidenziale, si sono defilati un po’ tutti, o perché cacciati o perché si sono dimessi. A far parte della sua corte ci sono ora solo persone che gli danno ragione. Ci sono poi il genero Jared Kushner, che l’ha ispirato nella politica su Gerusalemme, e la figlia Ivanka, che sembra aver un effetto moderatore nei suoi confronti, nel senso che lo spinge al compromesso ed al dialogo.
Intanto, in politica estera, sembra essere un successo questa prospettiva di un incontro con Kim Jong-un, anche se, per certi osservatori, potrebbe rivelarsi un’altra farsa.
Vedo questo nuovo sviluppo in primo luogo come un successo del presidente sudcoreano Moon Jae-in, eletto proprio per riaprire un dialogo con la Corea del Nord, e che ha ripetutamente tirato la giacca a Trump, durante tutta la serie di suoi battibecchi con Kim Jong-un. Soprattutto dopo le olimpiadi invernali ha praticamente messo Trump di fronte al fatto compiuto. Intanto Kim Jong-un ha capito che non poteva alzare la posta più di tanto. Ora, non sapendo esattamente cosa vogliono le due parti, esiste il rischio che questo incontro al vertice si risolva in un buco nell’acqua. Chiaramente se Trump va al meeting pretendendo la denuclearizzazione della Corea del Nord, senza però dar nulla in cambio, sarà un fallimento.
Che dire dell’appena avvenuto siluramento di Rex Tillerson come Segretario di Stato, e della sostituzione con Mike Pompeo?
Trump e Tillerson non si sono mai davvero amati, mentre tra Trump a Mike Pompeo è stato amore a prima vista…Per Trump, Tillerson è troppo ‘per bene’, troppo ‘establishment’… Ed avevano visioni differenti sull’Iran, sulla Corea, sui dazi. Quando il segretario di Stato parlò di dialogo con Kim, Trump lo zittì. Salvo poi accettare il dialogo quando Moon glielo ha servito caldo. Ma forse Tillerson ha varcato la linea rossa quando ha criticato la Russia, giudicandola responsabile dell’avvelenamento della ex-spia Sergei Skripal. Certamente, il cambio della guardia al Dipartimento di Stato prelude a una svolta ‘muscolare’ della politica estera degli Stati Uniti: la rozzezza diplomatica contagia Foggy Bottom (ndr. quartiere di Washington DC dove ha sede il Dipartimento di Stato), dopo essersi impadronita di 1600 Pennsylvania Avenue (ndr. indirizzo civico della Casa Bianca).