Continua imperterrito il dibattito sull’Europa, reso più che mai aspro dal cosiddetto “problema immigrazione” e condito da certe spinte nazional-populiste che tendono a minarne le basi unitarie a favore di posizioni autonomiste. Al tempo stesso, dai centri di potere della UE arrivano i soliti warning a paesi come l’Italia affinché non venga sforato il famoso tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL. L’ultimo è appena arrivato da Pierre Moscovici, commissario europeo all’economia (il cui paese di origine, la Francia, ironicamente, lo sforava regolarmente quando lui era ministro).
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Nel frattempo continua, altrettanto imperterrito, il lavoro di DIEM25 (Democracy in Europe Movement), il movimento creato quasi due anni fa da Yanis Varoufakis, il combattivo e marxista ex-ministro delle finanze greco con Alexis Tsipras, prima che i diktat della Troika prendessero il sopravvento sullo spirito innovatore del suo governo, e volto non al paventato smembramento dell’Unione Europea, bensì al suo rafforzamento, ma su basi più democratiche e di maggiore giustizia sociale e distributiva.
Tra gli obiettivi di DIEM25 è la creazione di un’assemblea costituente europea e la presentazione di una lista transnazionale nel 2019, anno delle prossime elezioni europee.
Parla a YOUng degli sviluppi di DIEM25 e delle sfide della crisi europea Lorenzo Marsili, rappresentante del movimento e co-autore, insieme a Varoufakis di “Il terzo spazio” (Laterza editore). Il titolo del libro la dice tutta sull’impostazione ideale che offre DIEM25: una terza via tra il dogma del neo-liberalismo e dell’austerity e quello del dilagante nazionalismo xenofobo.
L’INTERVISTA:
Puoi parlarci della proposta di DIEM25 di un’assemblea costituente per l’Europa?
Finora tutte le energie di chi vorrebbe riformare l’Europa sono state spese per costruire l’identikit dell’Europa perfetta. Noi crediamo che queste energie debbano essere rivolte alla creazione di condizioni politiche per avere un’Europa democratica guidata dalla cittadinanza, e quindi abbiamo messo l’accento sulla necessità di restituire la parola ai cittadini attraverso la formazione di un’assemblea costituente.
Cosa significherebbe?
Equivarrebbe a quello che si è fatto per tutte le costituzioni, anche in Italia: dar vita ad un’assemblea per la creazione di un patto effettivamente rappresentativo della cittadinanza. Quindi quello per cui ci batteremo nel 2019 sarebbe la rimessa ai popoli europei della definizione del tipo di Europa in cui vogliono vivere. L’obiettivo di base per DIEM25 è che nel 2024, in occasione delle elezioni per il parlamento europeo successive a quelle del 2019, si possa eleggere un’assemblea costituente.
In che senso questa sarebbe una vera alternativa allo stato attuale delle cose?
Questa sarebbe una maniera molto diversa di trasformare i trattati europei rispetto allo spettacolo, per esempio, di un Macron e una Merkel che si siedono in una stanza buia e perseguono, alla fin fine, i loro rispettivi interessi nazionali.
Intanto mentre Moscovici bacchetta l’Italia nel timore di uno sforamento del 3% nel rapporto si è arrivato a un accordo Merkel-Schulz per una nuova Grosse Koalition: in ogni caso il trend dell’austerity non sembra essere sostanzialmente diminuito.
Sì, fa molto ridere sentire Moscovici parlare delle elezioni italiane come rischio sistemico per l’Europa per almeno due motivi.
Quali?
Il primo è che uscite di questo tipo provocano di solito l’effetto opposto: il “progetto paura”, questa strategia fallimentare dell’establishment che ti dice: “Continuate a votare per noi, altrimenti ci sarà il disastro”, ormai non funziona più. Penso che l’uscita di Moscovici abbia fatto guadagnare supporto alla Lega Nord. Ma soprattutto le politiche di cui Moscovici è rappresentate, le politiche di questo Consiglio Europeo, sono la prima causa dell’insorgenza nazionalista, xenofoba e del rischio di implosione della UE. Da un lato fa bene Moscovici a parlare di pericolo sistemico, ma questa potenziale disintegrazione trova le sue cause non nelle elezioni italiane, ma proprio nelle politiche che lui stesso e i suoi compagni hanno implementato nel corso degli ultimi dieci anni di crisi.
Qual è il punto chiave?
E’ che forse dobbiamo uscire da questa falsa scelta per cui o si vota questo establishment, questa élite, oppure l’unica alternativa sarebbe il nazionalismo xenofobo, coi vari rigurgiti stile anni ’30 dei vari Le Pen e Salvini. L’establishment insiste su questa scelta binaria per porsi come unica alternativa, mentre noi di DIEM25 pensiamo che una terza strada sia possibile: sì a un’Europa che superi le divisioni degli stati nazionali, ma con una visione fondamentalmente socialista, che porti ad una vera emancipazione delle persone.
Secondo certi studiosi la caduta delle frontiere e l’immigrazione, a parte l’aspetto positivo dal punto di vista etico, aumenterebbe addirittura il PIL. Che ne pensi?
Sì, anche The Economist ne ha parlato in qualche maniera, dicendo che il passaggio di forza lavoro da paesi a bassa produttività a paesi con maggiore produttività porterebbe a una maggiore produzione. Ma questi sono discorsi che lasciano un po’ il tempo che trovano.
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In che senso?
Noi dobbiamo assolutamente uscire dalla logica per cui il nostro obiettivo è l’aumento del PIL, il che significa sostanzialmente l’aumento della ricchezza di un piccolo gruppo di oligarchi all’interno di un 1% globale.
L’alternativa quindi?
Dobbiamo invece tornare a parlare del nostro dovere umano, gettar via le frontiere anche per il nostro “interesse di bottega”, perché se c’è una cosa che questi anni ci hanno dimostrato è che quando si parla di muri, di una frontiera per chi fugge dalla guerra in Medio Oriente o per chi fugge dalla fame in Africa, questa logica del muro alla fine si ritorce contro gli stessi cittadini italiani ed europei, per cui ora un muro è in via di costruzione tra la Gran Bretagna e il resto del continente: in pratica i 3 milioni di cittadini europei nel paese si troveranno sempre più in difficoltà man mano che va avanti il processo della Brexit. E pensiamo anche allo scontro tra Italia e Austria per il confine del Brennero. Questa logica alla fine porterà a murarci vivi noi stessi, in una capsula in cui ci troveremo soli, tutti preda di un individualismo che ci trasformerà in merce in vendita sul mercato: parlo di una reificazione delle nostre stesse vite, che poi è l’idea stessa del neo-liberismo. L’idea che quest’ultimo vada di pari passo con le frontiere aperte è una boutade.
Perché?
Il neo-liberalismo gode dell’esistenza di frontiere interne, per cui arriva il migrante, ma la “frontiera interna” lo mette a lavorare in una posizione irregolare e quindi più subordinata.
Intanto Macron e la May su sono incontrati per giungere a un accordo sul fatidico passaggio di Calais per i rifugiati.
Beh, quando si tratta di creare dei muri per tenere fuori la povera gente si trova sempre un accordo: c’è un un’alleanza di classe nell’establishment molto più coesa di quanto non sia tra le persone che si trovano in basso. Quindi non mi stupisce affatto che Macron e la May si trovino d’accordo sull’esclusione dei migranti, come non mi stupisce che la May e Juncker si trovino d’accordo per il mantenimento dei paradisi fiscali.
Una delle maggiori minacce alla coesione europea, soprattutto in tema di immigrazione, rimane la cocciuta opposizione del gruppo di Visegrad (ndr Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia). L’Europa è così attenta e rigida sul famoso tetto del 3% nel rapporto debito/PIL, ma non riesce ad imporsi su questi paesi proprio nella politica dell’immigrazione.
Innanzitutto si può dire che le politiche del gruppo di Visegrad sulla crisi migratoria fanno totalmente comodo a certe élite europee, in particolare a quella francese, inglese e spagnola. Se non si dà una risposta più assertiva a questa crisi, questo non è dovuto ai diktat di personaggi quali il leader ungherese Orban, ma alla mancanza di volontà di leader come Macron e Rajoy di portare avanti un’effettiva redistribuzione dei rifugiati e dei migranti all’interno della UE. Il programma di redistribuzione dei rifugiati non è stato bloccato solo da Ungheria e Slovacchia: è stata la stessa Spagna a prenderne solo poche centinaia a fronte delle migliaia di sua competenza.
Beh, la Spagna ha mostrato una forte chiusura già da molto tempo.
Sì, ma anche la Francia: Macron fa tanto il liberale, però ha recentemente inasprito la legislazione in Francia sui cosiddetti migranti economici. In pratica, paesi come Spagna e Francia usano il gruppo di Visegrad come paravento.
DIEM25 insiste molto sul tema della municipalità: puoi espandere su questo.
Noi pensiamo che in questi anni ci sia stato un risveglio della volontà di partecipazione a livello di prossimità: un esempio è Barcellona, ma ciò è visibile in molte altre città europee. Democratizzare l’Europa significa anche portare più democrazia laddove si è più vicini al cittadino.
Cosa significa in pratica?
Dare più competenze alle municipalità, alle comunità locali e collegarle direttamente a una dimensione europea, creando una politica transnazionale con un’implementazione prettamente locale.
Esempi?
Prendiamo il fenomeno migratorio: serve qui una politica unica, umana ed efficace, sviluppata a livello europeo. Ma tale politica dovrebbe essere implementata in primo luogo dalle realtà locali, dai sindaci che sono poi in prima fila nell’accoglienza e nell’integrazione. Parliamo poi di investimenti europei: oltre che agli stati nazionali e alle regioni, parte dei fondi dovrebbero essere elargiti direttamente alle municipalità e comunità locali. Quindi crediamo che oltre ad una politica democratica transnazionale, ad esempio nel campo dell’economia e della migrazione, sia anche importante la gestione diretta di questi temi nei comuni e tra i cittadini.
Come procede l’opera di DIEM25 a quasi due anni dalla sua nascita?
Per esser partiti dal nulla e senza soldi, nel giro di due anni credo che abbiamo ottenuto quello a cui aspiravamo: anche se a livello embrionale, l’esistenza di un movimento politico paneuropeo, presente in tutto il continente, con centinaia di gruppi locali, oltre 80.000 attivisti, e una capacità di portare una sfida politica da Lisbona a Varsavia. La prossima sfida sono le elezioni europee del 2019.
I media, con qualche eccezione, non parlano molto di tutto questo sviluppo…
Questo dipende un po’ dai momenti e dai paesi: per esempio, in Gran Bretagna la BBC e The Guardian ne parlano regolarmente, e lo stesso vale per la Spagna dove El Diario e El Pais offrono una copertura abbastanza costante.
Non avete pensato di partecipare alle elezioni italiane?
Non l’abbiamo fatto perché pensiamo che si debba prima costruire dal basso un programma coerente, serio, accompagnato da un’infrastruttura di partecipazione, insomma una struttura politica che sia in grado di cambiare veramente le cose. Tra pochi mesi, in primavera, avverrà il lancio della nostra campagna elettorale, che ci porterà dritti alle elezioni europee del 2019.
Avete qualche alleato?
Tanti. Ad esempio ci siamo recentemente incontrati a Parigi con Benoit Hamon, già candidato alle presidenziali francesi e che ha lasciato i socialisti per creare un nuovo partito, Generations. E’ stato annunciato in conferenza stampa una sua partecipazione insieme a DIEM25 alle elezioni europee del 2019. All’incontro era presente anche Eleonora De Majo che ha portato la prospettiva municipalista da Napoli: non è un segreto che stiamo lavorando con il movimento DemA (Democrazia e Autonomia) creato dal sindaco della città De Magistris, all’interno di una comune campagna paneuropea sempre in vista del 2019. E poi il partito polacco Razem, il partito olandese Alternativet. E abbiamo alleati anche in Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna. Con loro e tanti altri stiamo lavorando per realizzare ciò che non è mai stato fatto prima d’ora: costruire un vero movimento politico transnazionale, con un programma unico e un’unica lista di candidati, che nel 2019 si presenti alle elezioni europee in tutto il continente. Portando un’alternativa credibile e concreta tanto all’establishment in bancarotta quanto al nazionalismo xenofobo che ne è la diretta conseguenza.