Prendiamoci un piccolo break dai soliti bizantinismi che, tipicamente, infestano la democrazia italiana e guardiamo le cose con un distacco filosofico, ma anche storico, nel tentativo di capire cosa sta succedendo nel nostro mondo politico popolato da personaggi come Donald Trump o come Matteo Renzi, e magari immaginare un mondo non popolato da essi, o perlomeno un mondo nel quale sarebbe impensabile che a questi personaggi venisse affidata la conduzione della società.
L’ispirazione nasce da un breve video in inglese intitolato “Perché Socrate odiava la democrazia” il cui link potete trovare alla fine di questo articolo.
Forse il verbo ‘odiare’ è un po’ un’esagerazione e bisognerebbe parlare più di cautela, di vigilanza dinanzi ai fenomeni che la democrazia può produrre. Se Socrate, preoccupato per l’arrivo al potere di un Alcibiade nella sua Atene, fosse tra noi oggi direbbe forse qualcosa di diverso contro i pericoli della demagogia imperante? Credo proprio di no, e troverebbe un’inquietante conferma dei suoi timori a più di due millenni dopo averli espressi.
Uno degli elementi chiave del pensiero socratico e poi platonico (che, non dimentichiamo, ha prodotto La Repubblica con i suoi re filosofi) è l’educazione. L’educazione di chi governa e l’educazione di chi viene governato. Chi governa deve sapere cosa sta facendo e chi viene governato deve avere dei parametri conoscitivi per giudicare se chi governa sa quello che sta facendo.
A proposito di educazione trovo scandaloso che la storia venga spesso insegnata nelle scuole superiori in maniera piatta, nozionistica e quindi noiosa, invece di legarla a quello che succede nella quotidianità attuale. Non sto dicendo che una lezione di storia debba diventare un comizio politico, ma che almeno si faccia qualcosa per preparare dei futuri cittadini votanti, rendendoli consapevoli di quanto accade nel proprio paese e nel mondo in generale. A questo dovrebbe aggiungersi un’educazione specifica sul vero significato della costituzione e quindi dei propri diritti. E comunque bisogna permettere alla storia d’insegnarci qualcosa attraverso i suoi errori.
No, nel complesso le cosiddette masse sono più in-educate che mai. La loro educazione – finita la scuola – proviene per lo più dai media laddove lo scandalismo e il sensazionalismo dei tabloid e gli interessi di parte che controlla i mezzi di comunicazione imperano.
Sì, ci sono ora anche i famosi social media, ma occhio, perché questi spesso sono un’arma a doppio taglio. Se da un lato è bello trovare informazione alternativa, o poter partecipare a certe discussioni online, dall’altro possono dilagare non solo le bufale ma anche le ingiurie ignoranti e il qualunquismo più becero assunto a fonte di verità. E a questo proposito, aggiungerò un altro video di Saturday Night Live nel quale si satirizza il tweeting compulsivo di The Donald.
Il discorso sulla demagogia, che può essere descritta anche come il tentativo di accaparrarsi il favore popolare attraverso depistaggi sui capri espiatori del momento (vedi i Trump o i Salvini del caso), o attraverso promesse e fanfaronate varie (vedi i Renzi del caso), si lega a quello sul populismo.
Ormai il termine populismo è diventato un termine vago e mal definito applicato a chiunque si opponga al Sistema. Quindi sono populisti sia Salvini che Bernie Sanders, sia il M5S che Podemos.
Bisogna chiarire che il populismo può esser visto come un’ideologia solo in parte (l’idea del rapporto diretto, istintivo tra il leader e il popolo), ma che per il resto è principalmente una strategia di potere alla quale poi bisogna aggiungere un’ideologia, una visione del mondo e della storia specifici.
Certi hanno paventato e poi analizzato la vittoria del NO al recente referendum costituzionale come una pericolosa vittoria del populismo, come se, per fare un esempio estremo, la Meloni e l’ANPI possan essere messi nella stessa categoria. In realtà, in positivo, al di là delle ovvie strumentalizzazioni politiche da entrambi i fronti, nel caso specifico del referendum c’è stato proprio quello sforzo all’educazione che è l’unico modo per avere una democrazia organica e funzionante nell’interesse del demos, il popolo.
Ma il demos oggi, in Italia e nel mondo, è insoddisfatto per un motivo molto semplice: la crisi economica, la crescente sperequazione sociale, il dominio della finanza speculativa, ecc. ecc. E qui s’innesta un approccio di tipo storico. I partiti che tradizionalmente dovrebbero difendere gli interessi delle classi disagiate e bistrattate da un capitalismo tanto per cambiare attanagliato dalle problematiche che esso stesso ha creato, in realtà hanno fatto e continuano a fare una scelta di campo proprio a favore del Sistema. Un sistema coi suoi J.P. Morgan che si lamentano perché le democrazie dell’Europa meridionale sono troppo inclini al socialismo. Così capiamo come certi lavoratori “bianchi arrabbiati” preferiscano un Trump a una Hillary rappresentante di un Partito Democratico blairizzato (come il nostro PD). O vediamo un Gabriel, segretario dell’SPD in coalizione con la Merkel pro-austerity, scagliarsi come i suoi alleati destrorsi contro Tsipras.
Varoufakis, l’ex Ministro della Finanza nel primo governo Tsipras e creatore di DIEM25, (Democracy in Europe Movement) paragona il nostro attuale periodo, post crisi del 2008, agli anni ’30, quando la crisi del 1929 non risolta o mal risolta dalle democrazie liberali al potere generò i mostri che ben conosciamo.
La giustificata rabbia popolare trova una via d’uscita a destra rispetto a una via d’uscita a sinistra (d’altra parte bisogna ricordare che sia Trump che Sanders si sono scagliati contro la delocalizzazione), incantata non solo da certe promesse concrete, ma anche dai soliti depistaggi xenofobi e razzisti.
Dovrebbe essere il ruolo responsabile dei partiti e dei movimenti educare le masse in modo che facciano una scelta consapevole e informata, lontano da facili strumentalizzazioni imbevute da ignoranza e da false notizie. Ma questo ruolo è tramontato da molto tempo ormai e l’evoluzione del PD e del Democratic Party negli USA ne sono la triste esemplificazione. Se Gramsci, il fondatore de L’Unità, leggesse questo giornale, divenuto ultimamente organo del renzismo, si rivolterebbe nella tomba. Lo stesso Gramsci che dava così grande importanza alla preparazione culturale del popolo, grazie al ruolo dell’intellettuale organico.
I conti tornano, o meglio tornano, ma tornano piuttosto male. E mi rende triste vedere personaggi come Di Battista, che peraltro stimo per una serie di motivi, insistere sull’idea di andare oltre il concetto di destra e sinistra (per chi avesse dei dubbi quello che distingue la vera sinistra è l’idea di solidarietà) o addirittura un potenziale futuro primo ministro come Di Maio dire pubblicamente che Pinochet era dittatore in Venezuela.
Voi magari direte: non sono cose così gravi, dopo tutto. Può darsi, ma una vera vigilanza democratica c’impone di tenerle in considerazione, in questo oscuro momento della nostra storia, nel quale usare la ragione e la conoscenza potrà rivelarsi più utile che usare solo la pancia.
“Perché Socrate odiava la democrazia”
Video satirico su Donald Trump