Venerdì 4 agosto, i cittadini del Ruanda, piccola repubblica dell’Africa orientale priva di sbocchi sul mare, sono stati chiamati alle urne per le elezioni presidenziali, che si sono risolte in un vero e proprio plebiscito (un tempo si sarebbe parlato di “percentuali bulgare”) per il presidente in carica, il cinquantanovenne Paul Kagame, al potere dal 2000.
ANTEFATTO: IL REFERENDUM DEL 2015
Già vicepresidente del Ruanda dal 1994 al 2000, Paul Kagame venne eletto quell’anno come capo di stato per succedere al dimissionario Pasteur Bizimungu. Nel 2003, Kagame si presentò alle elezioni, ottenendo il primo mandato per volontà popolare, seguito da un secondo mandato nel 2010. Secondo la precedente costituzione, Kagame sarebbe stato impossibilitato a concorrere alle elezioni presidenziali di quest’anno, ma nel 2015 lo stesso capo di stato ha indetto un referendum per modificare alcuni aspetti della legge fondamentale e rimuovere il divieto di un terzo mandato presidenziale consecutivo.
Gli emendamenti costituzionali effettuati all’articolo 101, votati prima dalle due camere del parlamento e poi sottoposti ad un referendum popolare, hanno permesso a Kagame di presentarsi nuovamente quest’anno. In quell’occasione, le proposte di Kagame incontrarono una forte opposizione sia fra i suoi avversari del Parti Démocratique Vert du Rwanda (PDVR) che da parte degli osservatori internazionali. Gli Stati Uniti si erano infatti detti favorevoli all’elezione di un nuovo presidente, nonostante il governo di Washington sia stato uno dei maggiori sostenitori di Kagame sin dalla sua ascesa al potere. Probabilmente gli Stati Uniti si aspettavano che a vincere, indipendentemente dal nome, sarebbe stato comunque un membro del Front Patriotique Rwandais (FPR), il partito quasi egemone nella vita politica ruandese, il che avrebbe ad ogni modo permesso di mantenere i buoni rapporti con il piccolo stato africano.
Non va infatti dimenticato che lo stesso FPR domina la scena politica del Ruanda sin dal 1994, data della fine della sanguinosa guerra civile tra hutu e tutsi, mentre per le altre forze partitiche è quasi impossibile organizzare una vera e propria opposizione e presentarsi alle elezioni.
I RISULTATI DELLE PRESIDENZIALI
Secondo i dati ufficiali forniti dalla commissione nazionale elettorale, si sarebbero recati alle rune quasi tutti i 6.9 milioni di aventi diritto, con un’affluenza del 98.15%, un dato da fare invidia a qualsiasi Paese del mondo. Di questi, il 98.79% hanno deciso di votare in favore del presidente in carica Paul Kagame, che resterà dunque alla guida del Ruanda per altri sette anni, fino al 2024, quando la durata del mandato presidenziale verrà ridotto a cinque anni, altra novità che si deve al referendum costituzionale tenutosi due anni fa. Il mandato settennale, che molti Paesi africani hanno adottato riprendendolo dalla costituzione francese, sta infatti progressivamente cadendo in disuso dopo che la stessa Francia ha portato a cinque anni la durata dello stesso nel periodo della presidenza di Jacques Chirac.
Per quanto riguarda gli oppositori, Philippe Mpayimana, un giornalista che ha a lungo vissuto all’estero, si è presentato da indipendente ottenendo lo 0.73% delle preferenze. Lo 0.48% dei votanti ha invece optato per Frank Habineza, il candidato del Parti Vert Démocratique du Rwanda, unica forza politica del Paese che si dichiara apertamente contraria a Kagame, che è stata autorizzata per la prima volta in assoluto a concorrere regolarmente alle elezioni. Tra i candidati si era inizialmente presentata anche l’attivista per i diritti delle donne Diane Rwigara, che è stata però costretta a ritirarsi dopo aver ricevuto pesanti minacce per la sua incolumità.
Il plebiscito in favore di Kagame lascia sicuramente qualche dubbio sulla regolarità delle operazioni di voto e di spoglio, ma non c’è invece dubbio alcuno sul fatto che la grande maggioranza del Paese sia effettivamente a sostegno dello stesso presidente. Dopo il terribile conflitto etnico tra hutu e tutsi, uno dei più sanguinosi che si siano registrati nel mondo dalla fine della seconda guerra mondiale, infatti, il Paese ha ritrovato il clima di pace con l’ascesa al potere del predecessore di Kagame, Pasteur Bizimungu, e del Front Patriotique Rwandais. I cittadini ruandesi, di conseguenza, collegano il potere del FPR e dello stesso Kagame con il mantenimento della pace e la convivenza tra i due principali gruppi etnici del Paese, anche a costo di non avere una reale libertà politica.
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