[citazione cit=”Non possiamo consegnare ai nostri figli un pianeta divenuto ormai incurabile: il momento di agire sul clima è questo” fonte=” Barack Obama, agosto 2015″]
I cambiamenti dell’intero pianeta sono così repentini che l’adattamento dei popoli, e di tutto ciò che ad essi afferisce, dall’ambiente all’economia, prevedono tempi non brevissimi. Come si può stare al passo col mondo che cambia intorno a noi a ritmi vertiginosi? Uomo, tecnologia, natura: in che modo possono convivere armonicamente nell’era del climate change?
A queste e a tante altre domande risponde “Adaptation”, un progetto giornalistico particolare ed originale perché riguarda un tema di grande attualità, quello del cambiamento climatico, ma con un approccio nuovo: l’adattamento.
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Anche nell’espressione inglese “climate change” siamo abituati a fermarci unicamente su queste due parole, quelle che troviamo più spesso sui social e che i media usano maggiormente. Parole che però sono legate ad un certo modo di raccontare questo tema, un modo che è quasi sempre a tinte fosche. Gli articoli sul cambiamento climatico presentano il più delle volte scenari già disastrosi oggi, e che saranno apocalittici domani. Il che non è necessariamente falso: il problema è che poi la narrazione si ferma lì, senza accompagnare il fruitore fino alla fine di tutto il discorso.
Manca insomma un pezzo importante: la risposta che il mondo darà, anzi sta dando, al cambiamento climatico, senza cedere a preventive rassegnazioni ad un futuro che sembra quasi non dare alcuna chance in termini di ambiente e tutto ciò che ad esso sottende.
Si pone dunque sempre più forte l’esigenza di un “constructive journalism“, che non discuta solo di catastrofi legate al cambiamento climatico, ma anche – e soprattutto – di soluzioni.
Questa è la filosofia che ha spinto il giornalista e divulgatore scientifico Marco Merola, insieme al collega Lorenzo Colantoni, a lanciare Adaptation. A tal proposito, abbiamo voluto coinvolgere in un’intervista proprio Marco Merola, per scoprire i dettagli di questo progetto.
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L’INTERVISTA
Il suo progetto fa emergere istantaneamente tutta la parte relativa alla risposta che il mondo sta dando ai cambiamenti climatici, concentrandola in una sola emblematica parola: ADAPTATION. Ma cosa sta facendo questo mondo?
Il mondo sta trovando delle soluzioni, anche molto geniali, che provengono da studi e da test fatti nel corso degli anni, che ci potranno, e ci dovranno, consentire la vita anche quando le condizioni climatiche saranno effettivamente e definitivamente mutate. Adaptation ha davanti a sé una sfida, che è un onere e un onore allo stesso tempo: fare un’opera di informazione a larga scala su temi che non sono di uso comune.
In che modo il giornalismo e più in generale la comunicazione possono contribuire in maniera fattiva e lungimirante alla comprensione di questi temi che non sono appunto di uso comune? Lei infatti sa bene che la “massa” spesso fruisce acriticamente di certi contenuti, non approfondendo e accontentandosi di notizie/non notizie preconfezionate.
Le azioni da mettere in atto sono varie. Il primo obiettivo è quello di far capire che adattamento, sul quale fanno spesso confusione anche i giornalisti stessi, non equivale a parlare ad esempio di energie rinnovabili. Quelle infatti rientrano nella cosiddetta “mitigation”, cioè la mitigazione del rischio climatico (uso di energie verdi per produrre un’economia “carbon free”, il contenimento dell’immissione di CO2 nell’atmosfera, ecc…).
La sensibilizzazione strutturata invece, portata avanti con prove (filmati, foto, interviste) e con documentazione fatta di contributi giornalistici di alto livello, contempla un’operazione a largo raggio che si rivolge allo stesso tempo al pubblico ampio, a chi si occupa di stampa e media, ai politici, ai governanti, a quelli che insomma a vario titolo manovrano delle leve importanti dalle quali possono partire azioni altrettanto rilevanti.
Il meccanismo con cui ciò avviene è abbastanza facile, chiamiamolo “effetto domino”: guardando alle buone pratiche di altri paesi, di altre realtà, noi speriamo, e crediamo soprattutto, che anche paesi che non hanno una cultura sviluppata della prevenzione del rischio, non dotati dunque di uno sguardo ad ampio spettro (l’Italia purtroppo è in fondo in questa “speciale” classifica) ne siano positivamente e proattivamente influenzate.
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Parlare di “adattamento” significa dunque parlare di azioni concrete che vengono fatte nei paesi e sui territori per adattarsi ad una situazione che è cambiata e che rischia di cambiare ancora di più.
Giusto. E qui entra in campo il progetto. Quel che oggi è vissuto come un’emergenza, può mutare rapidamente in opportunità di sviluppo sostenibile. Ci sono tante storie virtuose che il mondo deve conoscere. L’innalzamento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci, la siccità sono fatti incontrovertibili. L’adattamento è la risposta di cui il mondo ha bisogno per continuare a sperare, a vivere, a progredire. Portare l’acqua dove non c’è, creare nuova terra da coltivare, costruire case che si muovano con il terreno o siano in grado di galleggiare, gustare cibi prodotti e concepiti per sfamare popoli che vivono in condizioni estreme.
Dall’Olanda a Israele, dall’Etiopia all’Alaska, senza dimenticare l’Italia che è consapevole di quanto la ‘bellezza che tutto il mondo ci invidia’ sia vulnerabile, ADAPTATION racconta storie di persone, di luoghi che cambiano, di terre che rifioriscono.
In una sua intervista parla del fatto che gli esperti individuano l’era in cui stiamo vivendo come Antropocene. Il concetto ci affascina. Ci spieghi meglio…
Lo dice la parola stessa. L’Antropocene è un’era nuova in cui l’uomo si è posto al centro di tutto, di una serie di meccanismi e processi che prima invece erano indipendenti dalla presenza umana. Di fatto l’uomo con la sua sola presenza ha cominciato a cambiare il pianeta da quando vi è comparso, facendo tutte attività assolutamente eco-insostenibili. Fin quando però era l’uomo della pietra, l’impatto era molto minore. Dalle prime rivoluzioni industriali c’è stato uno scatto in avanti delle società occidentali: in quel momento ha preso avvio l’era individuata come Antropocene, che non a caso coincide con i primi veri cambiamenti climatici. Se si osservano le timeline dei cambiamenti climatici verificatisi negli ultimi 200 anni, ci si rende conto che il trend è abbastanza continuo: ciò significa che esiste un rapporto strettissimo tra lo scatto di progresso scientifico e ingegnerizzazione del contesto che circondava l’uomo, e questo ormai inarrestabile cambiamento climatico. E visto che l’uomo si è messo al centro di tutto, adesso è lui che deve operare per mettere un po’ indietro le lancette dell’orologio.
La razza umana si è evoluta al punto da riuscire a piegare la natura ai suoi bisogni. Ora deve fare un passo di lato, permettendo finalmente alla natura stessa di riappropriarsi dei sui ritmi e dei suoi domini.
Salutiamo infine Marco Merola (potete seguirlo sul suo account Twitter @reportingMerola), il quale conclude così:
“È motivo di vanto il fatto che proprio in Italia stia nascendo un webdoc interamente dedicato al ‘tema dei temi: l’adattamento al cambiamento climatico”.
Qui di seguito il teaser video della I puntata.
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