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Dopo l’assalto dell’esercito turco, i curdi chiedono aiuto ad Assad

Postato il Ottobre 14, 2019 Attilio De Alberi 0

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Da ormai sei giorni le truppe dell’esercito turco hanno oltrepassato il confine siriano e si sono scatenate contro le forze curde. Essendo la Turchia del “sultano” Erdogan, il secondo paese della NATO per potenza militare, i curdi si trovano in una situazione di grande svantaggio, anche se in un’eventuale fase successiva questi potrebbero attuare un’azione di guerriglia, nella quale sono specializzati. Nel frattempo un certo numero di civili sono già morti a causa dei bombardamenti turchi, ed è in crescita il numero di sfollati che fuggono dalla fascia nel nord-est della Siria, al confine con la Turchia.

Ma ora c’è una grossa novità: i curdi hanno deciso di chiedere aiuto al regime di Assad, il raiss della Siria, sostenuto, notoriamente, da Russia ed Iran. Ed hanno ottenuto il suo appoggio contro l’esercito di Erdogan.

La situazione si sta facendo complicata a vari livelli e vale la pena analizzarla in tutte le sue sfaccettature, vista anche la continua incertezza che coinvolge il teatro mediorientale nel suo complesso.

Innanzitutto bisogna considerare la posizione di Trump, che dopo aver usato proprio le milizie curde per anni, e con successo, contro l’ISIS, ha fatto un voltafaccia pesante con la sua decisione di ritirare le truppe americane, dando la luce verde ad Erdogan. Con la sua classica retorica contraddittoria, da un lato ha dichiarato di apprezzare il cruciale contributo dei curdi nella lotta al califfato islamico, ma poi ha ricordato che i curdi non hanno aiutato gli USA nel corso della Seconda Guerra Mondiale più di settant’anni fa. Ridicolo a dir poco. Poi, forse per pulirsi la coscienza, ha minacciato, almeno verbalmente, sanzioni economiche contro la Turchia come punizione contro il loro sforamento in territorio siriano. Ma finora queste sanzioni non si sono viste.

Intanto Jens Stoltenberg, il segretario generale della NATO si è espresso molto cautamente nei confronti della Turchia, premettendo che l’uscita di questo paese dall’alleanza atlantica è da escludere, ed il massimo che ha saputo dire alla Turchia è di muoversi “con moderazione”. E’ chiaro che questo paese è molto importante per la NATO e che l’organizzazione vuole tenerselo buono, anche tenendo in considerazione i recenti acquisti di armi dalla Russia. No, non conviene perderlo.

C’è poi da analizzare le motivazioni di Erdogan dietro il suo attacco. E’ in buona parte un tentativo di recuperare il consenso popolare che è ultimamente in discesa, come si è notato anche nella sconfitta alle elezioni comunali di Istanbul, attraverso una forma di militarismo nazionalista. E poi fa sempre comodo attaccare il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, presente nel sud-est del paese (dove vive l’etnia curda), considerato un’organizzazione terrorista. E naturalmente, nel linguaggio di Erdogan, i curdi della Siria, sostanzialmente pacifici e progressivi, vengono a loro volta bollati come “terroristi”. Pura propaganda, ovviamente.

Naturalmente c’è poi da prendere in considerazione la reazione europea all’attacco russo. Da un lato Macron suggerisce di interrompere la vendita di armi alla Turchia. Più moderata la Merkel che sembra tentata più da un tentativo di discussione con Erdogan. Chiaramente critica la posizione italiana, anche se l’Italia, da sola non può fare molto. Si attende per giovedì un incontro collettivo europeo nel Lussemburgo per trovare una posizione comune. Naturalmente c’è di mezzo il ricatto di Erdogan, che minaccia di spedire in Europa i milioni di rifugiati siriani presenti in territorio turco, dopo aver ricevuto miliardi di euro dalla UE per tenerli fermi lì. Al tempo stesso, Erdogan vuole rimandare molti di questi rifugiati nella zona siriana che sta cercando di occupare, anche se, bisogna ricordare che questi rifugiati provengono dalla parte occidentale e non curda del paese.

Bisogna poi prendere in considerazione il problema dell’ISIS. A parte i molti prigionieri del califfato che sono riusciti a fuggire dalle prigioni curde proprio grazie all’attacco turco, non bisogna dimenticare che esistono moltissime cellule nascoste dell’ISIS (ed anche di Al Qaeda) e queste potrebbero passare all’azione grazie all’indebolimento curdo. Questo sarebbe chiaramente uno sviluppo assai pericoloso.

Infine bisogna analizzare il significato della recente promessa di aiuto da parte di Assad nei confronti dei curdi contro la Turchia. Se da un lato ciò è positivo, dall’altro bisognerà vedere quali saranno le conseguenze geo-politiche. Non dobbiamo dimenticare che il cosiddetto Rojava è una specie di cantone indipendente nell’ambito dello stato siriano, caratterizzato da tutta una serie di politiche autonome laiche, progressive, nei confronti sia dei lavoratori che delle donne. La domanda è questa: potrebbe Assad approfittare del suo intervento per poi ridurre, nel lungo termine, l’autonomia dei curdi?

L’intervento siriano potrebbe bloccare l’avanzata turca, considerando il fatto che Erdogan vuole creare una fascia di controllo profonda 30 chilometri e lunga centinaia di chilometri a sud del confine turco-siriano, ma poi forse si dovrà scendere a delle trattative, sul modello di quelle svoltesi ad Astana tra Turchia, Russia ed Iran, questi due ultimi paesi noti alleati di Assad.

Non rimane a questo punto che vedere quali saranno gli sviluppi nelle prossime settimane, sia a livello locale che internazionale e geopolitico.

  

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#assad#curdi#esercito turco

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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