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Immigrazione: qualcosa si muove

Postato il Ottobre 9, 2019 Attilio De Alberi 0

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Con la fine del governo giallo-verde e con alcune mosse prese a livello europeo qualcosa si sta muovendo, relativamente all’immigrazione, per cambiare le cose in maniera positiva. Non bisogna dimenticare che secondo vari studi, noi in Europa, a causa dell’invecchiamento medio della popolazione, in realtà abbiamo bisogno di nuova e giovane forza lavoro: in tal senso l’immigrazione potrebbe essere vista come un fenomeno positivo. Purtroppo molte persone continuano a morire nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per sbarcare sul continente. Al tempo stesso, nonostante le continue denunce da parte delle Nazioni Unite, gli orridi campi di detenzione in Libia continuano ad esistere.

Intanto, notizia fresca, da Lussemburgo: la conclusione raggiunta a Malta due settimane fa nel meeting di un ristretto numero di Ministri degli Interni europei per la distribuzione dei migranti sul continente ha ricevuto un appoggio molto limitato a livello europeo, con la prevedibile opposizione del famigerato gruppo di Visegrad.

Discute di tutto ciò con YOUng Don Luca Favarin, il noto sacerdote umanitario, autore del volume Animali da Circo (Edizioni Paoline), che gestisce a Padova e dintorni 10 centri di accoglienza per migranti attraverso la sua onlus Percorso Vita, e che da anni si è dato da fare per impiegare i migranti in attività produttive, che ha lottato contro il caporalato e contro la prostituzione nelle strade di molte donne africane.

L’INTERVISTA

Con il nuovo governo senti che la situazione dell’immigrazione sta un po’ migliorando?

E’ un po’ presto per capire cosa questo nuovo governo, al di là dei proclami, poi concretamente farà. Certo che il rischio è quello di avere buonissime intenzioni, ma poi di non cambiare nulla. L’unica strada è quella di rivedere il Decreto Minniti e i Decreti di Sicurezza. Se non viene fatta questa cosa c’è il rischio che rimanga una grande, bella intenzione, ma che poi non si realizzi niente.

A quanto pare, anche se magari si tratta di semplici proclami, secondo il recente incontro a Malta dei Ministri degli Interni europei, qualcosa si muove nella UE. Cosa ne pensi?

Indubbiamente un respiro europeo sul tema dei migranti è una conditio sine qua non per poter fare un discorso serio su questo argomento, altrimenti tutto rischia d’incepparsi. L’Europa è una condizione imprescindibile per qualunque ragionamento, che sia corretto dal punto di vista etico, politico e anche del rispetto dei diritti umani nei confronti dell’immigrazione. Detto questo bisogna andare a concretizzare le cose.

In che senso?

Nel senso che tutti sono d’accordo che il Trattato di Dublino va rivisto, ma anche che è giunto il momento di farlo. Se c’è una visione condivisa sul tema della Libia, oltre che la visione serve anche l’azione. Dobbiamo stare molto attenti: abbiamo bisogno di un tipo di decantazione, soprattutto sui toni, sulla polemica, su quella che è la narrazione fatta a proposito dei migranti. Però questa decantazione non deve essere il tempo del sonno. E’ invece il tempo dello studio, della strategia. Che il nuovo Ministro degli Interni dica che sta studiando i fascicoli sta bene, però mentre lei fa questo la gente continua a morire in mare. In pratica bisogna che la riflessione diventi azione, e che la strategia diventi politica concreta, su alcune direttive ben precise, altrimenti rischiamo di ritrovarci tra tre anni con una bella serie d’incontri, ma con un pugno di mosche in mano.

Cosa ne pensi invece dell’annuncio fatto recentemente da Di Maio e sul tema del rimpatrio?

Il rimpatrio non è la prima strategia, nel senso che la domanda è: rimpatriamo chi? La questione dei rimpatri è legata a quella becera distinzione tra migranti economici e migranti politici. Fin tanto che restiamo ancorati a tale distinzione, siamo fallimentari. Dobbiamo distinguere sì, ma tra migranti che vogliono integrarsi e migranti che non vogliono integrarsi. Questi ultimi vanno rimpatriati. Ma i migranti che sono qua, sia per motivi economici che ambientali che personali o politici, e vogliono integrarsi, vanno regolarizzati. La politica del rimpatrio ha senso esclusivamente se, accanto a questa, c’è una politica di regolarizzare chi ha un contratto di lavoro. Noi abbiamo centinaia di ragazzi, in Veneto e non solo, che hanno un contratto di lavoro regolarissimo, e contemporaneamente sono richiedenti asilo, quindi con un documento provvisorio a rischio clandestinità. Questi potrebbero essere regolarizzati. Se non regolarizziamo quelli che sono già de facto regolarizzati, rischiamo di creare nuovi clandestini, dove invece dovremmo avere gente che gira per l’Italia con un documento, un nome, una foto, un codice: questa si chiama sicurezza

Mi pare positivo l’intervento di Karola Rachete al Parlamento Europeo, laddove il suo discorso è stato accolto con una standing ovation.

Sì, ma lei giustamente ha puntato il dito contro un’Europa che è assente, che l’ha lasciata sola. Ed è questo il paradosso: un’Europa che se ne frega, mentre la gente muore in mare, ma poi ti fa la standing ovation quando vai a parlarci. Questo gap dev’essere colmato.

Qualche osservazione specifica su centri di accoglienza che gestisci? Come vanno le cose?

Noi stiamo vivendo in queste settimane, come in tutta Italia, l’attivazione dei nuovi bandi. Questo significa fare l’accoglienza dell’immigrato in condizioni disperate.

Perché?

I famosi €35 a migrante che garantiva l’integrazione, che garantivano la presenza degli operatori, l’insegnamento della lingua italiana e tutta una serie di cose non ci sono più. Ora sono disponibili €18 che garantiscono al migrante la possibilità di mangiare e di dormire, ma senza integrazione, senza la possibilità di acquisto dei farmaci, senza corsi di lingua italiana. Pensa che in Italia se tu porti un cane al canile devi pagare €22 più €3 per le crocchette. Noi trattiamo i migranti peggio dei cani in un canile. In tutta Europa, la prima cosa che si fa con i migranti è l’insegnamento della lingua locale. Ed il governo cosa fa? Toglie questa opzione. E’ una vera situazione paradossale da magazzino delle scorie radioattive: i centri di accoglienza sono diventati come dei magazzini di scorie radioattive. I migranti sono diventati come delle scorie radioattive, da tenere stipati in un centro, garantendo il minimo indispensabile perché non muoiano. Anche questa è una cosa che assolutamente deve cambiare, perché noi non possiamo tenere i migranti nei centri di accoglienza sotto questa pressione disumanizzante.

Ma poi dovrebbe esserci l’eliminazione di quella specie di campi di concentramento esistenti in Libia.

Sì, chiaro, l’altro grande tema è proprio la Libia, dalla quale i migranti cercano di scappare. Hanno accusato le ONG di essere in collusione coi trafficanti, pur non essendoci uno straccio di prova. Invece ci sono molte prove che gli stessi scafisti che ora indossano la giacca del navigante sono connessi con le guardie e la guardia costiera libica. Ad essere colluse non sono le ONG, ma sono proprio le guardie libiche, pagate dall’Italia per mandare avanti i centri di detenzione, a rispedire la gente in Libia e che, contemporaneamente fanno partire questa gente. E’ ridicolo: la gente che fa partire è la stessa che li riporta indietro e li tortura nelle galere: l’abnegazione più reietta di ogni dignità- Ed avviene con il compiacimento dei governi europei che finanziano con centinaia di migliaia di euro. Il problema di tutto questo è che non serve una grande intelligenza, basta aprire gli occhi. Bisogna però aiutare a risolvere queste cose, visto che ormai siamo tutti consapevoli delle orride violenze che avvengono nei campi di detenzione in Libia. Credo che sia l’Europa e l’Italia abbiano voglia di mettere mano a questo tema.

Altri aspetti cruciali?

Sì, c’è quello del diritto ai documenti per chi lavora. Questa è una porta da abbattere in questo momento.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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