Da diverse settimane ormai non si fa che parlare della crescente tensione tra USA e Iran che secondo non pochi analisti potrebbe portare ad un vero e proprio conflitto militare, anche se, dopo il recente abbattimento del drone americano Donald Trump ha deciso di darsi una calmata, rifiutando una ritorsione che, secondo i suoi esperti, sarebbe costate 150 vite umane.
Bisogna comunque tenere a mente alcuni dati importanti nell’analisi di questa tensione.
Innanzitutto non possiamo dimenticare che sono stati proprio gli USA, per iniziativa di Trump, ad uscire all’accordo sul nucleare in Iran (JCPOA) siglato dal suo predecessore Obama a Vienna il 14 luglio 2014. Tale accordo si prefiggeva di limitare un programma che aveva comunque scopi civili e non militari. L’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha certificato che l’Iran ha rispettato pienamente il JCPOA.
A questo punto, anche se Rouhani, il Primo Ministro iraniano, ha lanciato un ultimatum l’8 maggio scorso annunciando un possibile piccolo passo indietro rispetto al JCPOA, questo non implica l’uscita dall’accordo. In pratica, questo passo indietro implicherebbe il non rispetto dei limiti sulle scorte di uranio arricchito e di acqua pesante, che l’Iran continua comunque a produrre anche sotto il trattato.
L’ultimatum scade il 7 luglio, mentre il 28 giugno ci sarà un incontro di tutte le potenze firmatarie del JCPOA, per fare il punto della situazione sulle tensioni nel Golfo Persico, ma anche per permettere, idealmente, agli stati europei di rendere operativo l’INSTEX, il canale commerciale alternativo che servirebbe ad aggirare le sanzioni imposte da Trump all’Iran dopo l’uscita dal trattato.
Il punto chiave è che anche se Rouhani volesse andare oltre il limite delle scorte di uranio, passando dal 3,67% (la soglia imposta dal JCPOA) al 20%, ciò non permetterebbe all’Iran di costruire un’arma atomica per la quale bisognerebbe arrivare fin al 90%.
Bisogna poi tener conto delle responsabilità degli ultimi incidenti, ossia l’attacco alle petroliere nel Golfo Persico e l’abbattimento del drone americano.
Nel caso delle petroliere non vi è certezza che la responsabilità sia iraniana, come la stessa compagnia giapponese proprietaria di una delle due navi ha ammesso.
Per quanto riguarda l’abbattimento del drone USA da parte iraniana ci sono due versioni: secondo quella americana il velivolo viaggiava in uno spazio aereo internazionale, mentre secondo gli iraniani era entrato nel loro spazio aereo. In ogni caso, anche se il drone si fosse trovato a volare su acque internazionali, quello iraniano potrebbe essere stato un semplice errore.
In generale si può comunque dire che il maggiore responsabile dell’aumento della tensione tra i due paesi sono gli USA che, come sappiamo, hanno inviato la portaerei Abraham Lincoln nel Golfo Persico, insieme a bombardieri B52 ed una batteria di missili Patriot. A questo si aggiunge l’invio di 1500 soldati in Iraq, ai quali se ne aggiungeranno presto altri 1000.
Sappiamo che dietro questa politica aggressiva ci sono il Segretario di Stato Mike Pompeo e soprattutto il Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton, noto guerrafondaio.
Invece dal lato democratico si alzano voci scandalizzate dalla politica di Trump. “Le menzogne del presidente hanno distrutto la credibilità degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali. Gli americani devono alzarsi in piedi ora e opporsi alla marcia verso la guerra con l’Iran”, ha scritto su Twitter Jay Inslee, governatore dello Stato di Washington e candidato alle primarie per la Casa Bianca.
Al tempo stesso Nancy Pelosi, la speaker democratica alla Camera dei Rappresentanti ha sottolineato che eventuali ostilità contro l’Iran “non devono essere avviate senza l’approvazione del Congresso”. Ma Trump non sembra badare a tutto ciò, e proprio ieri ha dichiarato in un’intervista a The Hill di non aver bisogno di un’approvazione del Congresso per un attacco all’Iran.
La realtà è che, indipendentemente dal fatto che all’interno dell’Iran ci sono senz’altro fazioni magari favorevoli ad un conflitto, questo paese si sente piuttosto isolato, o se vogliamo, accerchiato nel quadro mediorientale. Tutti sappiamo che i suoi principali nemici sono l’Arabia Saudita ed Israele, che a loro volta sono molto vicini agli USA di Trump. E questo spiega l’appoggio agli Hezbollah e la presenza iraniana in Siria, anche se vale la pena ricordare il ruolo molto importante svolto proprio dall’Iran nella lotta contro l’ISIS.
Chiaramente uno può criticare l’Iran per la mancanza di diritti civili nel paese. Ma critiche simili si potrebbero muovere contro l’Arabia Saudita ed altri stati del golfo come anche, in parte, contro Israele, con la sua politica di apartheid nei confronti dei palestinesi. Inoltre vale la pena ricordare che in Iran stesso esiste una società civile alla ricerca attiva di un sistema più equo. Un’eventuale entrata in guerra non aiuterebbe certamente l’Iran a evolversi. Invece il contrario potrebbe avvenire.
Sappiamo anche che sia la Russia che la Cina sono contrari ad un eventuale guerra contro l’Iran. Sarà interessante vedere se in occasione del prossimo G20 ad Osaka, laddove “The Donald” s’incontrerà sia con Putin che con Xi Jinping, la “questione iraniana” verrà affrontata in maniera pacata e matura. Ma l’imprevedibilità di Trump, insieme all’energia guerrafondaia che lo circonda, continueranno probabilmente ad essere fattori da prendere in considerazione.
Per chi ama la satira ecco un video del The Daily Show sulla tensione USA-Iran: