Nei giorni scorsi è saltata alla ribalta la spinosa situazione sviluppatasi a Hong Kong in rapporto all’intenzione del governo locale di mettere in atto un processo di estradizione di eventuali imputati dalla ex-colonia britannica alla Cina continentale. Questa nuova legge sull’estradizione è stata vista subito molto male dalla popolazione locale, perché considerata una palese contraddizione rispetto alla nota autonomia di Hong Kong rispetto alla Repubblica Popolare Cinese. Anche perché il sistema giuridico cinese è noto per essere precario e non esattamente rispettoso dei diritti civili.
Appena la legge è stata annunciata si è riversato in strada un grandissimo numero di persone e ci sono stati anche degli scontri con la polizia con i dimostranti.
Ma poi Carrie Lam, capo dell’esecutivo, sull’onda della reazione popolare, ha deciso di rimandare sine die la messa in pratica della legge. Questo però non ha evitato una nuova dimostrazione in strada di due milioni di persone – un numero altissimo, se si pensa che la popolazione di Hong Kong ammonta a 7,4 milioni di abitanti – che richiedevano l’abolizione della legge tout court.
Alla dimostrazione hanno partecipato giovani ed anziani, operai ed imprenditori, ed anche un certo numero di bambini, visto che era la Festa del Papà quel giorno. I manifestanti sono stati invitati ad indossare una maglietta nera in segno di lutto. Molti domandavano le dimissioni di Carrie Lam che aveva definito i giovani – la maggioranza dei manifestanti – dei “rivoltosi”, giustificando così l’eccesso di violenza da parte della polizia nelle dimostrazioni precedenti.
La manifestazione si è comunque svolta in maniera pacifica, ma purtroppo c’è stata una vittima: il signor Leung è caduto da un balcone del Pacific Palace, di fronte agli uffici governativi, mentre appendeva uno striscione contro la legge sull’estradizione.
Sei ore dopo l’inizio della manifestazione, Carrie Lam ha diffuso una dichiarazione del governo in cui chiedeva scusa e prometteva di adottare un’attitudine più sincera e umile, accentando le critiche e migliorando il servizio del pubblico.
In contrasto poi con la violenza dei giorni precedenti, alla fine della dimostrazione, in tardissima serata la polizia ha “chiesto, non imposto” l’evacuazione della zona occupata. I manifestanti non hanno obbedito immediatamente, ma entro l’alba del giorno dopo hanno fatto ritorno a casa, non senza aver prima ripulito completamente tutte le strade e le piazze occupate nei giorni precedenti.
Però le dimostrazioni non sono finite. Centinaia di persone si sono oggi ritrovate davanti al parlamento di Hong Kong, accogliendo la chiamata alla mobilitazione di otto gruppi pro-democrazia in gran parte rappresentati da studenti. La nuova protesta punta come sempre al ritiro della legge sulle estradizioni in Cina, ma anche ad un’indagine sui metodi duri usati dalla polizia mercoledì quando, per disperdere la folla, ha fatto ricorso a lacrimogeni, spray al peperoncino e ai proiettili di gomma.
Si può dire quindi che, alla fin fine, la tensione si è smussata. Rimane tuttavia in ballo, nel lungo termine, lo status di autonomia di Hong Kong rispetto alla Cina continentale: in base all’accordo siglato nel 1997 dalla signora Thatcher e da Deng Hsiaoping, nel 2047 la città – che attualmente gode ancora di uno status speciale – passerà sotto la piena sovranità di Pechino.
Discute di tutto questo con YOUng Pio d’Emilia, giornalista e scrittore esperto dell’Asia e corrispondente per Skytg24 per l’Asia Orientale.
L’INTERVISTA
Sembrerebbe che Carrie Lam, forse su “consiglio” di Xi Jinping, si sia un po’ “rilassata”.
Diciamo che il più rilassato di tutti è Xi Jinping, e questo per vari motivi. Primo perché è riuscito a risolvere la crisi senza nemmeno, apparentemente, occuparsene direttamente. Alcuni giornali cinesi, soprattutto di Hong Kong, parlano di una crisi risolta da uno dei suoi vice, Han Zheng, responsabile nel Politburo per gli affari di Hong Kong, il quale avrebbe convocato di notte Carrie Lam, a Shenzen, la principale città cinese aldilà del confine, manifestandole le perplessità di Pechino per come la vicenda era stata gestita.
Quindi stai dicendo che la legge sull’estradizione è stata un’iniziativa della Lam?
Tutta l’attività legislativa di Hong Kong non può prescindere da Pechino, ma il voler imprimere un’accelerazione senza un dibattito, senza una discussione con le varie istanze popolari, sembra sia stata una sua iniziativa, neanche sollecitata. E infatti ne pagherà le conseguenze. La sua carriera politica è finita.
Ma torniamo un attimo a Xi Jinping…
Xi Jinping ha saputo della “ritirata strategica” di Carrie Lam mentre si trovava in Kajikistan per una conferenza asiatica con l’amichetto Putin, e sembra che lì si sia parlato solo della pace nel mondo, degli scambi commerciali e dell’imminente G20. Questo per dire che l’emergenza Hong Kong è stata vissuta soprattutto nei media occidentali. In realtà le priorità della Cina sono ben altre. Penso che la crisi di Hong Kong non abbia mai rischiato di diventare una nuova Tienanmen, e soprattutto non penso che questo sia un pericoloso segnale che Hong Kong passi sotto la sovranità assoluta di Pechino: questo è già deciso. Il problema è capire sotto quale sistema avverrà la riunificazione finale, ma questo avverrà nel 2047. C’è tempo. Nei prossimi 30 anni può succedere di tutto.
In che senso?
Sono ottimista, penso che tutti questi anni serviranno a far progredire il processo di democratizzazione in Cina. In altre parole non saranno i cittadini di Hong King a dover rinunciare a Facebook e agli attuali social. Saranno piuttosto i cittadini cinesi a poter utilizzare Facebook e quant’altro verrà fuori nei prossimi anni: magari un nuovo social cinese più veloce ed efficace.
Esiste la possibilità di una maggiore democrazia nella stessa Cina?
Penso proprio di sì. Ne sono fortemente convinto, e penso che questa sia la strada inesorabile. Sono convinto che sia in corso una nuova “lunga marcia” in Cina, solo che rispetto ai tempi di Mao, che ha finito per ordinare grandi e fallimentari “balzi in avanti”, questa è davvero una “marcia”. Passo dopo passo. Niente balzi. Bisogna poi pensare ad un altro elemento.
Quale?
Xi Jinping, a parte qualche leader africano, in Cambogia, qualche repubblica dell’Asia Centrale e lo stesso Kim Jong-un in Corea del Nord, è probabilmente l’unico leader mondiale ad avere un’aspettativa di potere ultra-ventennale, anche perché si è dotato di un Politburo mai così allineato come quello attuale. Per questo è in grado di pensare in termini imperiali, dinastici. E quando puoi ragionare in termini di decenni è più difficile commettere errori. E se anche li commetti, hai tutto il tempo per recuperare
A netto di tutto questo, immagino che la maggiore preoccupazione per Xi Jinping in questo momento sia la guerra dei dazi con Trump.
La guerra commerciale deve preoccupare tutti. Compreso Trump. Ma ad Osaka Xi Jinpin si presenta più forte: oltre ad aver rafforzato l’alleanza strategica con la Russia e confermato il suo ruolo di mediatore indispensabile per la questione coreana – reduce da una storica visita a Pyongyang – ha risolto, direttamente o indirettamente la crisi di Hong Kong. Una crisi sulla quale Trump contava, per mantenere la pressione.
Ad Osaka quindi ci sarà un incontro ufficiale tra Xi Jinping e Trump.
Sì, ci sarà un incontro bilaterale seguito da una cena, dal quale si spera possa scaturire una soluzione o quanto meno una temporanea via d’uscita da questa guerra dei dazi che sta danneggiando un po’ tutti, compresi gli Stati Uniti. E appunto, probabilmente, questo è uno dei motivi per cui Xi Jinping non ha voluto forzare le cose ad Hong Kong dando un segnale di distensione e di maturazione.
[immagine copertina © TgCom24]