Al di là delle dichiarazioni ufficiali del presidente americano Donald Trump, secondo il quale il suo recente incontro con il leader nord-coreano Kim Jong-un ad Hanoi è stato “produttivo”, in realtà quello che doveva essere un summit decisivo si è rivelato un enorme fiasco.
Dopo il primo summit avvenuto a Singapore nel giugno dell’anno scorso, questo nuovo incontro tra i due capi di stato era stato pubblicizzato, in stile tipicamente trumpiano come un nuovo grande eventuale successo nel campo della politica estera statunitense. Inoltre, dopo Singapore, “The Donald” aveva parlato molto bene di Kim Jong-un, descrivendolo come una persona molto simpatica ed intelligente. E, addirittura, in uno dei suoi comizi Trump aveva detto, a proposito del suo rapporto con Kim “noi ci amiamo”.
Invece questo nuovo summit, che, idealmente, avrebbe dovuto concludersi con una ratifica del programma definitivo di denuclearizzazione da parte della Corea del Nord e con la fine delle sanzioni imposte dagli USA sul paese, è terminato prima del previsto. Trump se ne ha andato in anticipo, ed i due leader non hanno firmato nessun accordo specifico. Quindi la tensione è destinata a continuare, salvo nuove potenziali negoziazioni a venire, di cui però non se ne parla ancora.
Parla di questo con Young, Lorenzo Mariani, ricercatore presso lo IAI (Istituto di Affari Internazionali) di Roma.
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L’INTERVISTA
La mancanza di un accordo definitivo tra Trump e Kim sembra dovuto al fatto che la Corea del Nord non sarebbe pronta a smantellare definitivamente il suo intero programma nucleare e quindi gli USA non sono pronti a togliere le sanzioni economiche. E’ questo il motivo del flop di Hanoi?
Da quello che emerge al momento direi di sì. C’è da dire che abbiamo sentito solo una campana. Bisogna ora vedere quello che ha da dire Kim Jong-un. La cosa strana è che due leader s’incontrano in un summit per siglare un accordo che è già stato redatto dai negoziatori, per cui non si capisce per quale motivo abbiano dovuto premere sull’acceleratore.
In che senso?
Non sappiamo chi dei due esattamente ha fatto la prima mossa, ossia se Trump abbia chiesto durante il colloquio alla Corea del Nord di accelerare, o almeno di fornire delle prove più concrete della risolutezza nord coreana a denuclearizzare il paese, oppure se sia stato Kim Jong-un ad avanzare la richiesta di sospensione delle sanzioni.
Sembra una specie di quello che in America chiamano un chicken game (ndr, gioco dei polli – una sfida per vedere chi ha più o meno coraggio).
Sì, e infatti non sappiamo chi dei due abbia fatto la prima mossa.
Ma a quanto pare il primo ad andarsene è stato Trump.
Sì, ma in realtà non abbiamo un resoconto completo, se non quello che ha detto Trump in conferenza stampa. La cosa che non si capisce è il motivo per il quale abbiano deviato dai binari di quello che avevano sottoscritto i negoziatori nelle passate settimane, ed abbiano deciso di fare del summit un vero e proprio tavolo negoziale. Una cosa un po’ strana a livello diplomatico.
Ma dopo il summit di giugno scorso a Singapore sono circolate delle voci per cui, a quanto pare, Kim Jong-un non è stato molto operativo per ciò che riguarda il processo di denuclearizzazione.
Non sono solo voci di corridoio. In realtà, i nord coreani hanno tutto l’interesse di rendere questa denuclearizzazione un processo lungo. E inoltre, è ovvio che non concederanno di abbandonare l’intero programma nucleare semplicemente per ottenere la sospensione delle sanzioni economiche.
Perché?
Dal punto strategico sarebbe un azzardo. Significherebbe togliersi dalle mani l’unica arma che la Corea del Nord ha per poter parlare con gli Stati Uniti.
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Al tempo stesso, Trump, prima del summit, aveva fatto un annuncio in cui diceva ai nord coreani che se si fossero denuclearizzati sarebbero poi potuti partire come grande potenza economica.
Sì, e l’ha ripetuto nel corso del suo incontro con Kim Jong-un, come anche in conferenza stampa. Ha parlato della volontà, da parte USA, di essere un elemento attivo nello sviluppo economico della Corea del Nord. Comunque queste sono promesse, come sono quelle di Kim Jong-un di far partire la denuclearizzazione.
Al tempo stesso questo summit sembrava servire a Trump come arma di distrazione di massa, visto i problemi che deve affrontare a livello domestico, a partire, proprio adesso, dalle denunce pubbliche del suo ex-legale Michael Cohen.
Non farei troppo dietrologia, anche se sì, Trump poteva far vedere che, almeno nel campo della politica estera, lui continua a riportare delle vittorie sul fronte coreano, Ma non credo che l’intento del summit fosse quello di distrarre l’opinione pubblica in patria.
E’ stato fatto notare come ultimamente almeno, Trump inneggiasse a Kim Jong-un. Questo non è un po’ strano, visto che prima gli dava addosso regolarmente.
Gli epiteti che usa Trump, sia che siano per insultare che per lodare, fanno parte del personaggio. Però, a prescindere da ciò, fin dall’inizio del suo mandato lui ha fatto della questione coreana uno dei primi dossier di politica estera. Nel primo anno della sua presidenza ha avuto un approccio forte, deciso e minaccioso, dopo di che la situazione si è totalmente capovolta, e sta cercando di sfruttarla nel senso opposto. Prima ha voluto mostrare i muscoli, ora vuole mostrare le abilità diplomatiche della sua amministrazione.
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Nel frattempo, come procede il processo di pacificazione tra Corea del Nord e Corea del Sud?
Al momento le cose stanno proseguendo, anche se negli ultimi mesi ci sono stati un po’ di problemi.
Di che tipo?
Proprio a causa delle sanzioni ONU ci sono stati dei rallentamenti per ciò che riguarda, per esempio, il progetto di ricongiungimento stradale e ferroviario tra i due paesi. Il problema principale è però il declino di Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud, in termini di sostegno da parte dei suoi cittadini, che secondo le ultime proiezioni registra un calo vertiginoso.
Come mai?
In parte questo calo è un po’ fisiologico, nel senso che Moon Jae-in ha dedicato la prima parte del suo mandato in un impegno in politica estera, specificatamente nei rapporti con la Corea del Nord, ed è quindi stato accusato di tralasciare le riforme promesse in termini di politica domestica nazionale. Ma c’è anche altro.
Cosa?
Il partito conservatore, noto come Grande Partito Nazionale, al potere prima dell’avvento di Moon Jae-in, dopo aver subito un crollo alle urne a causa dello scandalo che ha portato in prigione la sua leader Park Geun-hye nel 2016, dopo un impeachment, sta in parte rimontando. Nelle prossime settimane si svolgeranno le primarie, e c’è un grande interesse da parte dell’elettorale nel vedere chi potrà emergere, e, appunto, concorrere alle prossime presidenziali.