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Governo giallo-verde: facciamo il punto della situazione

Postato il Febbraio 25, 2019 Attilio De Alberi 0

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Molte sono le critiche mosse nei confronti dell’attuale governo giallo-verde, pubblicizzato come “il governo del cambiamento”. Le critiche non vengono solo dall’opposizione, come è comprensibile, ma anche da non pochi elementi della componente pentastellata all’interno della coalizione al potere.

Al di là dei continui bisticci all’interno di questa coalizione, cosa non del tutto nuova nella storia politica italiana, bisogna tenere a mente la situazione economica del paese, che è attualmente in “recessione tecnica” e che, secondo i pronostici, sembra segnata, almeno nel breve termine, da un tasso di crescita piuttosto basso. Decrescita industriale, occupazione in negativo.

E poi, vi è la politica ordinaria, con l’ormai accettata deriva xenofobica e nazionalista – accettata da molti, troppi, italiani, e visibile a occhio nudo in tutte le parti del paese. Legata al tema dell’immigrazione, che ha visto nel caso Diciotti, e non solo, la sua manifestazione più palese. E più diminuiscono gli sbarchi, più si gonfia la retorica razzista – gratuita e rituale.

In questa cornice sociale e politica preoccupante, c’è da chiedersi cosa stia combinando l’opposizione e quali possono essere le alternative realistiche al presente governo.

Discute di questo con YOUng Nadia Urbinati, nota politologa e docente presso la Columbia University a New York.

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L’INTERVISTA

Qual è la tua impressione generale su questo governo?

E’ un governo che fa pasticci anche se, forse, in alcuni casi nella giusta direzione.

In che senso?

Fa pasticci nelle politiche sociali e distributive, però non possiamo pensare che non siano nella giusta direzione. Mi riferisco al reddito di cittadinanza, un’idea da anni presente in tutta l’Europa, in varie forme, teoriche e pratiche. In una situazione di ovvia precarietà, non sembrano esserci soluzioni alternative: a meno di rovesciare il capitalismo bisogna fare i conti con la grave decurtazione del lavoro non precario soprattutto nei paesi occidentali. Anche in attesa che si produca occupazione le persone devono comunque vivere – la povertà va affrontata subito.

E dov’è il pasticcio?

Il pasticcio viene da una mancanza spettacolare di una visione di giustizia sociale.

Perché?

Non si può istituire un cosiddetto ‘reddito di cittadinanza’ togliendo risorse alla scuola, alla sanità, ad altri servizi sociali. E invece così è. Per cui, il governo accetta pienamente la logica secondo la quale i poveri hanno una responsabilità e devono essere redarguiti, controllati, e puniti – ai soldi deve seguire una serie impressionante di costruzioni. Il reddito di cittadinanza è usato anche come una panacea per il sostegno ai poveri che sono comunque oggetto di diffidenza – come se preferiscano comunque “il divano” al lavoro. Secondo me è una visione molto problematica e offensiva della eguale dignità che la cittadinanza democratica presume.

Come, specificatamente?

I giovani ed i disoccupati vengono trattati come potenzialmente fannulloni, e perciò li stimolano a prendere un lavoro, qualunque esso sia, a cedere la loro libertà di scelta in cambio del sussidio, con una visione che è lesiva delle libertà individuali, e, secondo me, della dignità. Si può dare ai poveri la colpa della loro povertà, come se le persone abbiano interesse a vivere di stenti! Questa visione, presume che la gente non abbia voglia di lavorare, e vede il non-lavoro come un “peccato”, e non come un problema strutturale: una colpa del disoccupato! Questo peccato viene attribuito ai singoli che, si dice, non vogliono muoversi di casa, che non vogliono cambiare regione, che vogliono avere il lavoro che a loro piace. E’ la concezione che, a mio parere, è manchevole, e subalterna alla logica mercatistica anche quando viene proposto un reddito di cittadinanza. Quindi il problema i 5stelle lo vedono, ma lo interpretano e lo affrontano all’interno di una logica che è lesiva dei principi fondamentali di una cittadinanza sociale e dignitosa.

E cosa dire di questo clima di continuo bisticcio tra le due componenti della coalizione di governo?

Beh, a me non sembra anormale. Questa è un’obiezione che non capisco. Si tratta di un governo di coalizione, e noi veniamo da 50 e più anni di governi di coalizione: dopo tutto, i governi democristiani cadevano frequentemente ed erano litigiosissimi.   O si fa un governo monopartitico, e quindi non si litiga apparentemente perché si mercanteggia tra le fazioni interne al partito – e si deve dire che non vedendo da fuori la litigiosità è meno agevole metterla sotto i riflettori dell’opinione.

[sostieni]

La domanda che si ripete nei talk show finisce per essere sempre la stessa: quanto durerà questo governo?

Secondo me è una domanda stupida che dimostra la pochezza del discorso pubblico e del sistema di opinione pubblica. Innanzitutto perché nessuno può dire veramente quando questo governo finirà, e poi perché la domanda da porsi è: il problema è questo? Il vero problema è ciò che questo governo fa, non quando e se finirà. Compito del pubblico è monitorare il governo che c’è, non baloccarsi su quel che potrebbe avvenire. I media televisivi del resto preferiscono questo discorso stupido per dare spazio indiscusso a Salvini, al suo razzismo (che non viene discusso!), e poi a come gestisce il potere. Si parla dei suoi post su FB e nulla si dice del suo sistema di potere, a Roma e nel paese.

Beh, come i media americani hanno fatto con Trump.

Esatto. Ma negli Stati Uniti l’opposizione è molto più attiva ed efficace e i media non fanno eco, ma rilevano, e criticano. C’è una differenza notevole tra un Trump al potere ed un Salvini al potere.

Addentriamoci quindi in questioni più importanti, a cominciare dal tema dell’immigrazione.

Qui si può parlare di un governo para-fascista in relazione ai diritti umani, i diritti civili delle persone; anche dei nostri come “italiani”, perché il fatto che Salvini attacchi i “negri” e gli immigrati non vuol dire che è tollerante verso i “negri” italiani – ovvero coloro fra noi che non sono di destra e leghisti – il suo governo fa una propaganda vergognosa contro le famiglie non eterosessuali, contro le donne, contro l’educazione civile e la tolleranza.  E vi è il problema dell’identificazione delle questioni sociali con le questioni criminali: si parla di “legge ed ordine” come se il problema sociale fosse un problema di ordine – ecco allora la chiusa dei centri sociali (ma non delle case abusivamente occupate da Casa Pound), e dei centri di accoglienza. Siamo certi che lasciare a sé stessi i migranti non genererà microcriminalità? Ma forse è proprio questo che il poliziotto Salvini vuole – per poter giustificare la repressione e quindi aizzare la canea xenofobica e nazionalista.

E la questione dell’autonomia delle regioni?

Anche qui, si dice “prima gli italiani”, ma poi si discrimina tra italiani ed italiani. Quindi i “sovranisti” usano l’argomento dell’autonomia, tra l’altro in questo modo già introdotta dal governo precedente, e nello stesso tempo si giustifica la voglia di secessione fiscale delle regioni ricche, si giustificano politiche anti-unitarie mentre si gioca con l’argomento “prima gli italiani”.    L’autonomia proporzionale è gravissima. Da un lato ci sono gli italiani, e dall’altro gli italiani migliori. Ecco perché, dietro il discorso di Salvini sull’immigrazione c’è ben altro: qualcosa che a noi ci farà tantissimo male.

Quindi questo tuo ragionamento implica una critica del governo precedente…

Certo, ora si definiscono tutti buoni e bravi. E si usa una forchetta furba: da un lato si promuove l’autonomia regionale in proporzione alla forza economica e sociale; dall’altro si addossano alle ONG le responsabilità dei problemi occupazionali e d’ordine pubblico del paese. Come se la delinquenza e la camorra siano portati dagli scafisti! Quindi le due forchette della discriminazione verso i poveri e i diseredati dentro il paese (regioni ricche contro regioni povere) e politica anti-diritti umani fuori. Politiche approntate dai governi precedenti e perfezionate da questo.

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Al di là degli ultimi sondaggi, che danno la Lega più avanti del M5S di più di 10 punti, la componente pentastellata si trova in una posizione di debolezza nei confronti del partner di governo.

Beh, non a caso pensano di voler diventare “partito”. Non dimentichiamo che il movimento creato da Mussolini nel 1919 si presentava come un anti-partito. Poi, quando conquistò seggi in parlamento, e cominciò a pensare in termini di governo, allora trasformò il movimento in partito. Perché? Una volta preso un consenso, si tratta di difenderlo, e questo, come pensano adesso molti pentastellati, lo si può meglio fare se e quando radicati nei “territori”, ed organizzati per coltivare il consenso. Anche gli anti-partito sembrano aver capito che se non vogliono estinguersi come neve al sole devono consolidarsi in organizzazione partitica.

In ogni caso, anche a livello mediatico e demagogico, Salvini continua a fare la parte del leone.

Il problema è che, mentre la funzione e gli argomenti di Salvini sono immediati, soprattutto per ciò che riguarda l’immigrazione (il suo Ministero gli consente una continua campagna elettorale), il M5S con il suo progetto sociale, si è scelto i ministeri più ambiziosi, come quello della sanità e delle politiche sociali. Ministeri che hanno bisogno, innanzitutto, di una visione futura, cosa che i pentastellati spesso e volentieri non hanno. Le politiche sociali non sono solo qui e ora ma rivolte verso il futuro. E così quelli del M5S nel quotidiano perdono, e se non si adeguano – e Salvini ha addirittura proposto di fare una lista unica per le elezioni europee – sembrano destinati a diventare piccolini.

In ogni caso, pur avendo una forte base di sinistra, poi si adeguano a politiche di destra, come, per esempio, per ciò che riguarda l’immigrazione.

Assolutamente, perché così possono rappresentare la cosiddetta opinione generale. Da quando i partiti hanno smesso di promuovere un’educazione politica, da quando il popolo è solo, questo popolo si costruito soluzioni vicine nel tempo (qui e ora) e semplici.  Non ci sono più visioni, ma problemi immediati. D’altra parte anche il partito democratico sembra seguire a ruota. Nemmeno in questo fare campagna per il segretario usano un linguaggio diverso da Salvini: “contro” invece che “per”.

Quindi non si può parlare di una vera opposizione…

Per ora, non mi pare che ci sia.

Intanto Berlusconi continua a sperare in una coalizione di destra.

Cambierebbe ben poco: sarebbe più cattiva e più liberista, ma non molto diversa.  Al tempo stesso il PD ha recentemente abbracciato l’idea della divisione delle carriere dei magistrati, un cavallo di battaglia di Forza Italia. Mi ricorda un vecchio film dei tempi della Guerra Fredda, “Gli anti-corpi”: se non presti attenzione, diventi come il nemico. E prima o poi cambi pelle.

Però, nell’ambito del PD ci sono varie correnti, e per esempio Zingaretti sembra un po’ più progressista.

Sono d’accordo: Zingaretti sembrerebbe diverso nel senso che ha la consapevolezza di una visione non omologabile: parla di diseguaglianze da combattere e di diritti civili da difendere.

E comunque sembrerebbe che ci si cominci a distaccare dal renzismo.

Questo è un altro discorso: in realtà il PD al suo interno è molto diviso: sono popoli diversi. Il renzismo, come il berlusconismo, non è un fenomeno legato ad un partito, ma di mentalità e di costume. Per esempio, all’interno del PD c’è una vera e propria fazione, non facile da gestire. Soprattutto se vince Zingaretti il partito potrebbe trovarsi quasi in una situazione di guerra civile.

In che senso?

Bisognerà vedere quanta gente andrà a votare. Già adesso, i renziani stanno portando avanti la politica dello stare a casa. Perché meno gente va ai gazebo e più si potrà dire che Zingaretti non ha lo stesso appoggio popolare che aveva Renzi coi milioni di gente che lo votò. E’ un tentativo di delegittimare Zingaretti. E quindi sarà difficile per Zingaretti avere, se dovesse vincere, una vera unità del partito. Secondo me, o il PD si scinde o sarà soggetto ad una paralisi permanente.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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