Qualche giorno fa Cuba ha vissuto un momento storico importante: la “dinastia” dei Castro ha lasciato il testimone ad un nuovo presidente. Si tratta di Miguel Diaz-Canel, età 58 anni, e nato quindi dopo la revolucion. E’ stato lo stesso Raúl Castro, che aveva sostituito il fratello maggiore Fidel prima della sua morte, a fare un passo indietro e a scegliere quest’uomo, anche se, presumibilmente, rimarrà in carica come segretario del partito comunista fino al 2021, anno in cui si terrà il prossimo Congresso. Notare che già a partire dal 2012, Diaz-Canel era già stato scelto, sempre da Raul, come vice-presidente.
L’approvazione è avvenuta grazie ad una votazione bulgara (99,83%) da parte dell’assemblea dei deputati. Diaz-Canel ha fatto un discorso assai emotivo ma efficace ed anche relativamente breve (20’), soprattutto se paragonato a quelli del suo noto predecessore Fidel.
Egli ha soprattutto difeso la legittimità della “democrazia socialista” cubana, ossia il lungo processo elettorale a tutti i livelli (municipio, provincia, nazione) che ha portato alla formazione della nuova Assemblea nazionale: questa, secondo lui, più che mai riflette per età (49 anni in media), composizione sociale, genere e colore (gli afro-cubani) la società dell’isola. Chiaramente quest’affermazione era rivolta alla Casa Bianca, che facendo eco alle posizioni radicalmente anti-castriste dei cubani in Florida, ha asserito che le elezioni sono state una farsa.
Ma l’aspetto più importante del discorso fatto dal neo-presidente è stato probabilmente quello relativo alla “modernizzazione del sistema economico e sociale”, ossia alle riforme volte ad instaurare “un socialismo prospero e sostenibile”, pur ribadendo “che non vi sarà la restaurazione del capitalismo a Cuba”. Quindi, pur con le necessarie riforme, la rivoluzione continua imperterrita.
E, vista soprattutto la decisione di Trump di fare un passo indietro, rispetto al “disgelo” inaugurato da Obama con Cuba, Diaz-Canel ha dichiarato che Cuba manterrà fede alla sua politica estera, ossia la disponibilità alla pace ed al dialogo, senza però abbandonare la “difesa della sovranità e dell’indipendenza”, che, non dimentichiamo, è stata, al di là delle ideologie, una delle carte vincenti per Fidel Castro, visto come strenuo ed efficace difensore dell’isola contro l’arroganza del “gigante nordamericano” (così molti cubani chiamano i vicini USA).
Vale la pena osservare che, secondo certi analisti, la scelta di un presidente che non appartiene alla famiglia Castro, oltre al rinnovo generazionale, nasce dall’intenzione di riprendere, in qualche modo, le trattative con Washington.
Ma intanto Marco Rubio, l’ex-candidato presidenziale repubblicano della Florida, ed ora assai ascoltato da Trump per ciò che riguarda la politica verso l’America Latina, suggerisce di lanciare una strategia non solo contro il Venezuela di Maduro attraverso sanzioni economiche, ma una anche contro Cuba, colpendo gli interessi economici – turismo, grande distribuzione, import-export, assicurazioni – gestiti dalle Forze Armate.
Non dovrebbe sorprendere il fatto che sia Mike Pompeo che John Bolton, i due nuovi falchi scelti da Trump, rispettivamente come Segretario di Stato e come Consigliere per la Sicurezza Nazionale, diano ascolto ai suggerimenti di Rubio. Bolton addirittura ritiene che il socialismo sia un “pericolo interno” per gli USA.
Maduro, il presidente del Venezuela è appena volato a L’Avana, e poco dopo arriverà anche Morales, capo di Stato della Bolivia. Sembra impellente la necessità, da parte delle poche forze progressiste rimaste in America Latina, di far quadrato di fronte a questa rinnovata offensiva nordamericana,
Discute di queste novità a Cuba con YOUng, Antonio Moscato, storico specializzato nelle vicende di Cuba e dell’America Latina.
L’INTERVISTA:
Cosa si può dire in particolare di questo nuovo leader per Cuba?
E’ il primo collaboratore più giovane dei fratelli Castro. che ha lavorato con loro per molti anni, senza assumere un profilo individuale e magari “pericoloso” come altri che i cubanologi avevano individuato come “delfini” di Fidel. Ad esempio due brillanti ex dirigenti dell’organizzione giovanile, divenuti Ministri degli Esteri, Roberto Robaina e Felipe Pérez Roque. Altri dirigenti come Carlos Aldana o Carlos Lage Dávila che sembravano prescelti per la successione erano stati bruscamente sostituiti.
Perché?
Nel caso di Robaina per aver ricevuto una telefonata di congratulazioni di un Ministro degli Esteri spagnolo, negli altri in genere l’eccessiva passione per il potere.
Ma rispetto a questi predecessori cosa lo contraddistingue Diaz-Canel?
Non è facile capirlo. Come tutti i predecessori Diaz-Canel è arrivato dov’è arrivato dopo una fase di transizione controllata, laddove l’organo di decisione supremo rimane il partito comunista. Questo è scritto nella costituzione: la direzione della società e dello stato è nelle mani del partito.
Quindi, visto che Raul Castro rimane segretario del partito, alla fin fine, chi è che comanda?
Si può dire questo: in ogni caso non sarebbe stato possibile un passaggio tranquillo non concordato. Il problema è che rimangono nell’establishment del partito personaggi conservatori come Machado Ventura, una figura ingombrante, a parte il fatto che ha 88 anni. Ma Diaz-Canel ha un altro problema.
Quale?
Che non lo conosce quasi nessuno al di fuori dell’apparato, e non ha la popolarità che aveva una figura come Fidel.
Però l’assemblea dei deputati l’ha eletto alla stragrande maggioranza.
Sì, ma essa è stata a sua volta creata con selezionatissimi criteri e non riflette esattamente il paese.
Ma al tempo stesso, nel suo discorso inaugurale, Diaz-Canel ha detto che essa riflette sempre di più il paese a vari livelli?
Certo, ma questa è la retorica ufficiale che ha sempre esaltato la presunta “originalità” del sistema elettorale cubano, che invece ricalca quella che era in vigore nell’URSS, sicché rimane il fatto che la sua elezione è stata alla fin fine preparata al tavolino.
Al di là di tutto questo, il nuovo presidente ha annunciato che si darà da fare per attuare delle riforme del sistema.
Il problema vero è che se nascono dei problemi, essi nascono fuori da Cuba. Una riforma importante in cui sperano i cubani è l’eliminazione del doppio mercato dollaro/peso. Ma questo non potrà avvenire in tempi prevedibili, visto che i partner internazionali di Cuba stanno nei guai.
Quali partner?
Mi riferisco al Brasile ed al Venezuela in particolare. Ma anche l’Equador ha i suoi problemi e la Bolivia di Morales è troppo piccola per essere di aiuto.
E, dopo tutto, l’intera America Latina sta attraversando una fase di revanscismo conservatore.
Certo… Si erano create, con Obama, tante illusioni che gli Stati Uniti potessero cambiare la loro politica verso questo continente.
Chiaramente Trump ha dato il via a una svolta.
Sì, in particolare il processo di normalizzazione con Cuba è stato rallentato e poi bloccato, anche se certi settori politici ed economici USA erano favorevoli. In ogni caso, la maggioranza della popolazione cubana, anche senza i Castro al potere, rimane determinata nel rifiutare un ritorno all’ingerenza americana tipica del periodo pre-rivoluzionario.
Ritornando alle riforme interne, Raúl Castro ha lasciato al nuovo presidente il compito di andare avanti con la politica che vede come legittima la piccola proprietà privata, il cosiddetto cuentapropismo.
In realtà questo è stato introdotto, seppure in forma limitata, già nel lontano 1994, sotto forma di liberalizzazione di lavoretti vari. Una politica che finì per coinvolgere moltissime persone: fino a 1.200.000 persone. Questo poi si è esteso alla gastronomia, con la nascita di banchetti per la vendita di cibo in strada.
Quindi ormai il cuentapropismo è praticamente una norma?
Sì, ma ha avuto delle battute d’arresto periodiche provocate da interventi repressivi o pesanti restrizioni.
Per esempio?
I ristorantini privati non potevano avere più di 4 tavolini. Ma poi s’insinuava una forma di corruzione, per cui questi luoghi di ristoro trovavano “rifugio” in appartamenti privati. In pratica, il cuentapropismo non è mai stato rinnegato, ma è stato spesso “terrorizzato” appunto nella lotta alla corruzione che esso a volte comportava.
Nel suo discorso comunque Diaz-Canel ha promesso l’implementazione di riforme volte a compensare una forma d’insoddisfazione sociale esistente.
Questo potrebbe avvenire: una delle cose per cui Diaz-Canel aveva attirato l’attenzione quando era segretario di partito a Santa Clara e collaborava con la figlia di Raul Castro, Mariela, era la lotta all’omofobia.
Quindi è un liberal, da un certo punto di vista?
Sì, su queste cose sì, ma per il resto rimane attaccato ad un certo processo di selezione della classe politica cubana.
E’ interessante il fatto che sia nato dopo la rivoluzione.
Certo, ma non è stato il solo: molti altri, della sua generazione, hanno avuto briglia sciolta per portare innovazione, per poi essere bloccati. Questa è una vecchia tecnica di chi, in realtà, tiene il coltello dalla parte del manico.
Sembrerebbe che tu sia un po’ “negativo” sulla situazione cubana…
Non sono tanto negativo, ma più che altro preoccupato per il futuro di Cuba.
In che senso?
Molto dipende non tanto dalla buona volontà riformatrice di Diaz-Canel, ma da tutta una serie di fattori, a cominciare dai rapporti internazionali. Per esempio, è stata avallata la corruzione che c’è stata in Brasile sotto Lula, come anche lo sperpero delle risorse petrolifere che c’è stato in Venezuela sotto la leadership di Chavez.
Al di là di questo rimane un buon rapporto, per esempio, con la Russia e la Cina?
In realtà questi paesi badano ai fatti loro, e riescono ad essere d’aiuto in maniera intermittente.
Quindi, in nuce, il problema fondamentale di Cuba, indipendentemente dalla leadership, è quello dell’isolamento?
Sì, questa rimane una preoccupazione precipua. In quanto a Diaz-Chanel bisognerà vedere con quale autonomia potrà operare rispetto alla vecchia guardia.
Quindi stai dicendo che il nuovo presidente è una novità, ma poi bisognerà vedere fino a che punto è veramente una novità?
Una novità vera ed importante è che il gruppo dirigente abbia rifiutato di trasformare il castrismo in una dinastia ad oltranza. I vari figli di Fidel e Raúl sono rimasti in disparte. Ora la sfida più grossa è vedere se Diaz-Chanel riuscirà a portare avanti una mobilitazione politica per attuare un vero rinnovamento.