Il braccio di ferro tra Gran Bretagna e Russia dopo l’avvelenamento dell’ex spia doppiogiochista Skripal e della figlia Yulia, che ha ormai raggiunto toni da Nuova Guerra Fredda, va a situarsi in un gioco di specchi fatto di sospetti e di recriminazioni che coinvolge inevitabilmente i servizi d’intelligence. Un gioco in cui nessuno, quasi per definizione, può essere definito come “innocente”.
Già prima dello spinoso “caso Skripal” è diventato oggetto di attacchi e contro-attacchi l’uso indiscriminato dell’hackeraggio di cui vengono sospettati i russi nei confronti degli USA e non solo.
Ed ora, grossa ciliegina sulla torta, si è aggiunta la nuova pesante accusa americana contro la Russia di aver disposto dei potenziali attacchi cibernetici alle reti energetiche USA, usando come precedente un’azione lanciata tempo fa dal Cremlino contro l’Ucraina, che aveva lasciato 250.000 cittadini senza luce.
Naturalmente, nell’ambito delle nuove tecnologie telematiche, l’hacking è diventata un’arma quasi scontata nella lotta nascosta tra le grandi potenze, per cui non ci si deve sorprendere se anche gli USA e i suoi alleati la possano eventualmente usare indiscriminatamente.
Lo scenario si complica se si tiene conto anche della funzione dell’intelligence nella prevenzione di attacchi terroristici, in fattispecie di marca islamica. Ed anche qui i sospetti si accumulano e spesso viene da chiedersi fino a che punto l’intelligence abbia mostrato una certa dose di negligenza.
A rendere le cose più complicate, ma fino a un certo punto, si è appena aggiunto, in questi ultimi giorni, lo scandalo Facebook/Cambridge Analytica, un altro tassello nel perverso rapporto tra le informazioni nel web e la politica.
Infine, in tutto questo scenario, non bisogna trascurare il ruolo dei servizi segreti israeliani, in funzione sia difensiva che offensiva, mentre, in questo contesto, continua a rimanere un mistero la morte dello storico leader palestinese Arafat.
Discute questi sviluppi con YOUng Mario Caligiuri, Direttore del Master dell’Intelligence all’Università della Calabria, autore insieme a Giorgio Galli di “Come si comanda il mondo. Teorie, volti, intrecci” (Rubbettino, 2017). Secondo Caligiuri “i fatti di questi giorni confermano lo sdoganamento della funzione dell’intelligence, che non è più un ambito riservato ai cosiddetti servizi segreti, ma rappresenta uno strumento di grande confronto tra gli stati e di straordinaria lotta politica”.
L’INTERVISTA:
Cosa ne pensa di questo nuovo conflitto anglo-russo?
Si colloca nell’ambito delle normali tensioni internazionali. Teniamo conto che già nel 19mo secolo il conflitto anglo-russo era evidente in Asia Centrale, e già allora si basava sull’azione dello spionaggio. Ora si sta esplicando con le forme della modernità. In particolare, la Gran Bretagna è stata scelta nel tempo da molti dissidenti russi come rifugio.
Il caso Skripal, come quello Litvinenko, fa pensare intuitivamente ad una classica vendetta contro un traditore, ma esistono delle prove solide, oppure, ipoteticamente, questo incidente potrebbe essere usato per dare addosso alla Russia?
Nel campo della politica internazionale tutto è possibile. Senz’altro esiste una tradizione russa che dice: i traditori devono morire. Eppure può anche essere il contrario. La May accusa i russi, mentre il presidente della Duma accusa i servizi segreti britannici, Lavrov parla di uno show da circo e Putin mette una pietra tombale invitando gli inglesi a schiarirsi le idee.
Se da un lato la Russia può essere accusata di arroganza, dall’altro lo stesso Corbyn in parlamento ha chiosato sulla posizione aggressiva della May, confermando che non c’è un’unità nazionale su questo specifico incidente.
E’ evidente che, quando si parla di politica internazionale, il bianco può essere nero ed il nero può essere bianco. Ci sono molte ombre, e in questo caso, che coinvolge i servizi segreti, le cose sembrano chiare, ma in realtà chiare non lo sono mai.
Ma i diplomatici russi in via di espulsione sono sospettati di essere a loro volta delle spie.
E’ la scoperta dell’acqua calda. In genere, i diplomatici, specialmente di certe nazioni, svolgono questo mestiere, uno dei più antichi del mondo.
Non è un po’ strano che le autorità inglesi abbiano negato ai russi di partecipare ufficialmente, con loro, alle indagini sul caso Skripal?
Questa è ormai diventata una polemica che va al di là dei fatti in sé.
Una polemica quindi di carattere preminentemente politico.
Non c’è dubbio.
Si osserva la presenza in Gran Bretagna di una colonia di investitori e di vari miliardari russi, a cominciare da Abramovic, il proprietario del Chelsea: una colonia, dopo tutto, ben accettata dalla classe politica. Non è un po’ come se si stessero usando verso i russi due pesi e due misure?
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Londra rimane uno dei maggiori centri finanziari e la City è la prima piazza di riciclaggio mondiale, e non a caso gode di un’autonomia speciale. Londra è stato scelta come territorio di elezione dai magnati russi, anche perché centro mondiale sia della finanza bianca, che di quella nera.
Ora gli USA appoggiano le mosse della May, ma al tempo stesso si dice che uno dei motivi per cui Trump ha silurato Tillerson è che quest’ultimo aveva subito attaccato la Russia sul caso Skripal.
Ultimamente la politica estera USA è molto umorale, però deve comunque seguire una logica. Bisogna vedere quale, e lo capiremo meglio nei prossimi mesi.
Si parla sempre dell’hackeraggio russo nei confronti degli USA. Ci sono delle prove tangibili?
In realtà no, ma se esiste questo hackeraggio, esso viene fatto anche dall’Occidente nei confronti dei russi: è di nuovo un gioco delle parti.
Qualche commento sul recente scandalo Facebook/Cambridge Analytica con le sue inquietanti riverberazioni politiche?
La scoperta dell’acqua calda. E’ noto che i dati degli utenti social rappresentino il motore dell’economia. Mi sembra una polemica retorica, ipocritica e tardiva. Evgeniy Morozov (ndr. sociologo e giornalista bielorusso, esperto di nuovi media) e tanti altri avevano denunciato da anni questa situazione che è davanti agli occhi di tutti. Adesso chiunque è messo in condizione di comprendere che: “Quando un servizio è gratis, il prodotto sei tu.”
Cosa dire in generale sul fenomeno diffuso dell’hackeraggio?
Dico solo che i servizi israeliani, per esempio, stanno assumendo hacker insieme a laureati in filosofia.
A questo proposito che dire di una recente accusa da parte dei repubblicani USA contro la Russia, di fomentare, attraverso una certa Internet Research Agency, che ha legami col governo, i movimenti ambientalisti nel paese?
Tutto è ormai possibile. Questo genere di cose avvenivano anche durante la Guerra Fredda e quindi è plausibile che avvengano anche ai nostri giorni.
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In generale, cosa sta cambiando nell’intelligence ai nostri giorni?
Stanno cambiando tante cose. Teniamo conto che oggi lo scontro è soprattutto a livello economico e culturale. Le guerre vengono poi combattute sul web e a base di informazioni. Al tempo stesso quello a cui assistiamo ora in Gran Bretagna sembra un ritorno al passato, ad un clima di Guerra Fredda, e conferma l’importanza di quella che si chiama “human intelligence” e che non potrà mai sostituire l’intelligenza del web o quella dei droni.
In che senso?
Ci sarà sempre un gioco delle ombre, il fiorire degli inganni, in cui lo spionaggio, presente dalla notte dei tempi, trova la sua giustificazione e la sua natura.
Quanto conta alla fin fine l’intelligence nel mondo contemporaneo?
Conta moltissimo e conta oggi più di ieri.
Perché?
Perché oggi le informazioni sono sempre più strategiche ed avere le informazioni, quelle più accurate, ed in tempo utile, fa la differenza. Il 21mo secolo sarà il secolo in cui sarà l’intelligence a determinare chi vincerà le battaglie del futuro.
Ai tempi del KGB si diceva che l’Italia fosse, insieme alla Germania, uno dei maggiori paesi al centro delle sue attività, e lo stesso si dice per quanto riguarda i nuovi servizi segreti russi.
Di nuovo, visto che si tratta di spionaggio, questa è una zona grigia in cui non si può provare nulla, ma in ogni caso, la posizione strategica del nostro paese spiegherebbe e giustificherebbe questa ipotesi.
I servizi segreti italiani sono cambiati?
L’aspetto tecnologico è stato molto potenziato grazie alla nomina del professor Roberto Baldoni come vice-direttore del DIS (Dipartimento Informazioni per la Sicurezza), il che mostra il collegamento che si è creato tra il mondo dell’intelligence e quello universitario.
Finora l’Italia non è stata oggetto di attacchi terroristici di marca islamica. Dimostra questo forse l’efficienza dei nostri servizi d’intelligence?
Potrebbe significare questo, come potrebbe significare che non c’è stato interesse a compiere attacchi sul nostro territorio. Una cosa è certa: il controllo del territorio è superiore in Italia rispetto ad altri paesi, sia per gli episodi di terrorismo che abbiamo avuto negli anni ’70, sia per la presenza della criminalità organizzata che penalizza la democrazia e l’economia del nostro paese.
Al di là delle varie teorie complottistiche, è stato osservato che in altri paesi, a cominciare dall’11 settembre, i servizi sembravano a conoscenza di certi attacchi terroristici.
Operando in un ambito così riservato si possono argomentare tutte le congetture, formulare tutte le ipotesi, e quindi richiamare le teorie del complotto. Bisogna comunque premettere che nel contesto dell’intelligence, fatti del genere sono perfettamente possibili. Quando ci sono i servizi, ribadisco, siamo sempre di fronte a un gioco di specchi.
Quindi il comune cittadino rimarrà sempre nell’oscurità.
Magari solo il comune cittadino. Solo pochissimi hanno le autentiche informazioni per individuare se certi fatti siano veri o falsi. Teniamo conto che prevale, in questo momento storico la teoria del complotto rispetto alla verità.
Lei è docente di un Master in Intelligence: di cosa si tratta?
E’ un approfondimento rivolto soprattutto a persone che lavorano tra le forze dell’ordine, ma anche a normali laureati, sui temi della sicurezza, ma anche su temi economici. Il corso venne promosso su suggerimento e con il sostegno del Presidente Cossiga.
Il succo del suo libro “Come si comanda il mondo” è che le decisioni principali nel mondo vengono assunte da 50 multinazionali.
Sì, e vale la pena specificare che in realtà queste multinazionali sono in competizione tra loro, ma operano per influire sulle decisioni politiche. Basti pensare al loro peso nelle elezioni americane, ed alla loro presenza nel capitale delle agenzie di rating. E tutto questo avviene sotto la luce del sole.
Ma nell’ambito di questo strapotere c’è anche qualche rapporto con l’intelligence?
In teoria non c’è, ma ovviamente esiste: visto il rapporto tra certi interessi nazionali e queste entità sovranazionali, è evidente che poi i servizi operino per favorire queste aziende. Il caso Echelon è emblematico.
Cade in questi giorni l’anniversario del rapimento di Aldo Moro e si parlava allora dell’esistenza di “servizi deviati”: cosa può dire su questo?
Non esistono servizi deviati: esistono semmai, all’interno dei servizi, persone che agiscono in maniera deviata. Ho affrontato questo tema in un breve testo che sto scrivendo e intitolato proprio “Aldo Moro e l’intelligence. Il senso dello stato e le responsabilità del potere”. Verrà presentato alla Camera dei Deputati il 9 di maggio.
Qualche anticipazione?
Il titolo nasce dal fatto, non troppo noto, che Moro era un grande conoscitore dei servizi d’intelligence e sapeva usarli nelle sue funzioni di Governo, sia da Presidente del Consiglio che da Ministro degli Esteri. Fu lui, per esempio, il “maestro” di Cossiga in questo settore.
In che direzione, per esempio?
Oltre ad usarlo nell’ambito degli equilibri nella Guerra Fredda, lo utilizzò anche per prevenire eventuali attacchi terroristici da parte dei palestinesi dell’OLP sul territorio italiano.
In un recente libro americano si parla dei servizi segreti israeliani e della loro disposizione all’assassinio, e si parla anche, in questo caso, della morte di Arafat.
I servizi segreti sono i più efficienti del mondo per una ragione ovvia: lo stato d’Israele è in guerra da decenni ogni giorno. Quindi l’uso dell’intelligence, per la raccolta delle informazioni da utilizzare per evitare che avvengano fatti negativi è proprio nel DNA della vita politica e nell’essenza stessa della nazione israeliana. La risposta agli attentatori dei giochi olimpici di Monaco è diventato un film di straordinaria suggestione. Nel caso specifico di Arafat, leader palestinese ufficialmente è scomparso per cause naturali. Un rapporto svizzero di otto anni dopo dichiarò che quasi sicuramente era morto per avvelenamento da polonio. Ipotesi nettamente smentita da due successivi rapporti francese e russo. In ogni caso, nell’alone del mistero che è stato creato, trovano spazio tutte le ipotesi, anche quelle più improbabili e verosimili.