Ho deciso di scrivere questo editoriale dopo aver letto dello storico sciopero di ben 61 università britanniche contro la privatizzazione selvaggia dell’Istruzione e delle pensioni. Un evento come detto epocale e rivoluzionario, che potrebbe rappresentare un precedente importante e del quale si è parlato e detto sicuramente troppo poco.
Una delle principali critiche esposte dall’University and College Union (UCU), il sindacato dei lavoratori dell’educazione superiore, è stata infatti la deriva aziendalista che l’Università britannica ha preso a partire dagli anni 90, con spinta crescente, trasformando gli studenti in clienti/consumatori da soddisfare in ogni modo possibile.
Del resto, come recita un ottuso quanto noto adagio che andrebbe cancellato dal libro delle frasi fatte (per gli imbecilli), “Il cliente ha sempre ragione”. Bene, anzi male: possiamo concordare tutti nel dire che, il declino di una nazione e di una società, parte proprio dal suo sistema di educazione primaria, secondaria e terziaria.
Personalmente frequento spesso come formatore proprio scuole medie, superiori ed università. Tengo lezioni di educazione digitale e comunicazione ai ragazzi e conosco anche salvifiche eccezioni, con classi disciplinate e curiose, docenti preparati e dirigenti scolastici responsabili ed aperti all’innovazione che porta reale valore, senza limitarsi ad abbassare l’asticella per rendere il percorso scolastico una discesa sempre più facile e confortevole da percorrere.
Per lavoro, comunque, mi occupo ancora più spesso di ricerca e selezione del personale e non porto più il conto della mole di candidati ultra 25enni esaminati (e scartati) a partire da cv tra il patetico e l’indecente, lettere motivazionali inesistenti (sostituite da dicitura: “Si prega di visionare cv allegato”) o scritte come un temino conformista di terza media.
C’è da sottolineare un’altra costante, poi, che è oramai drammatica quanto innegabile: i laureati in marketing e comunicazione, nel 90% dei casi, non sanno assolutamente nulla di concreto ed utile di queste materie. Nel restante 10%, lo sanno perché hanno studiato da autodidatti certi temi, avevano già doti e vocazioni particolari ed hanno così sfruttato il percorso accademico come “potenziamento”, iniziando anche a lavorare fin da subito e non solo dopo aver concluso gli studi accademici. Insomma, chi come si suol dire “ce l’ha”, può trovare nell’Università qualche interessante spunto di miglioramento. Chi invece non ha fatto buone scuole, non ha particolari doti o un carattere sufficientemente temprato e critico, diventerà un “dottore in qualcosa” rimanendo però più incapace e meno colto di un diplomato degli anni 60-70-80 e 90.
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LO DICONO I DOCENTI: “QUALITÀ DI PROGRAMMI E STUDENTI IN COSTANTE CALO”
Ho madre, compagna e parenti di primo e secondo grado suddivisi tra scuole superiori ed università di diverso tipo: dai licei ai cosiddetti “istituti tecnici”, passando per facoltà umanistiche e scientifiche. Tutti, nessuno escluso, ripetono come un mantra demotivante ciò che del resto potete leggere da qualsiasi altro docente: il livello degli studenti è sempre più basso. La loro capacità di scrittura e di esposizione decresce costantemente da decenni e non sembra conoscere un limite di fondo. Parimenti, crescono l’insicurezza e l’incapacità di affrontare il fallimento e qualsiasi tipo di critica e/o prova di forza. Alfieri di questa agghiacciante involuzione sono senza dubbio molti genitori, convinti che, far crescere i propri inetti pargoli in una bolla di giustificazioni perenni e protezioni ossessive dal mondo esterno, non sia una scelta da sospensione della patria potestà ma il modo migliore per renderli felici.
UNA SCUOLA SEMPRE PIÙ SEMPLICE IN UN MONDO SEMPRE PIÙ COMPLESSO
A questi genitori, però, andrebbe spiegato che stanno condannando i propri amatissimi e viziatissimi figli ad un futuro di sofferenze indicibili. Che generazione potrà mai essere, infatti, quella cresciuta in una scuola sempre più semplificata e buonista, dove la bocciatura è oramai un divieto categorico, il debito formativo è visto come un fallimento a prescindere del docente e le istituzioni che dovrebbero educare prendono fondi in base ad iscritti e promossi? I ragazzi di oggi, abituati a frequentare scuole ed università sempre più semplici nei programmi e nelle pretese d’eccellenza, come affronteranno un mondo del lavoro che al contrario è molto più complesso ed esigente? Una società esclusiva che si contrappone ad un sistema d’istruzione che si auto-impone inclusione coatta ed anti-meritocratica.
A quanto pare, queste domande forse finanche retoriche non assillano diversi dirigenti e genitori, convinti che copiare un compito sia addirittura un diritto e che si debba vietare ogni forma di stress anche minimo agli studenti/clienti/consumatori di nozionismo sempre più dozzinale e sempliciotto.
UN SISTEMA CHE FORMA PER LO PIÙ IMPIEGATI DI BASSO LIVELLO
A parte le sacrosante eccezioni ed eccellenze già citate precedentemente, possibile che genitori e figli ancora non si siano resi conto, dopo anni di lauree da 110 e lode e conseguenti stage/garanzia giovani come regola base d’impiego, che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato e perverso nel sistema formativo che si ostinano a foraggiare senza fare/si domande?
Possibile che nessuno si sia reso conto della forma mentis da irriducibile impiegato fantozziano che, in particolare alcune “facoltà innovative”, evidentemente trasferiscono agli studenti? Se è così raro trovare un laureato in “Marketing e Comunicazione” che non miri al contrattino d’agenzia dopo gli stage pluriennali, perché non si inizia a mettere in discussione chi dovrebbe formarlo per pensare come un libero professionista di successo, un creativo formidabile, un imprenditore visionario? Sembrano quasi tutti proiettati verso due alternative, comunque intrise di rassegnazione: di fuggire all’estero in cerca di chissà quale Eldorado della meritocrazia, o restare a casa di mamma e papà fino a 40 anni facendosi integrare la paghetta che prendono come stipendio. I primi eroi, i secondi bamboccioni; in entrambi i casi figli traditi da un madre che li ha assillati con consigli sbagliati ed ignoranti, retrogradi e demotivanti. La colpa, insomma, pende sicuramente di più dalla parte degli adulti e delle loro provinciali miopie e borghesi ambizioni.
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COME SI FA A NON ESSERE UN PO’ COMPLOTTISTI?
Ed ora consentitemi una riflessione che, nella sua chiara intenzione provocatoria, potrebbe rivelare qualche cedimento al complottismo: come è possibile che, da decenni, si tenda a privatizzare ed “aziendalizzare” le scuole, suggerendo in maniera sempre più evidente un mix rancido di maratone nozionistiche a buon mercato e semplificazioni didattiche con spolverata finale di buonismo esasperato nei giudizi. Il tutto senza fornire ai discenti i giusti strumenti di lettura, analisi e comprensione di un mondo incredibilmente più fluido (nel male ma anche nel bene) ed ampio rispetto a quello dei loro genitori e dei loro nonni? Com’è possibile che non si sia ancora introdotta l’educazione finanziaria di base all’interno dei programmi delle scuole superiori, considerando l’ossessione compulsiva proprio per gli elementi economico-finanziari che è insita nella società odierna? In un mondo liquido, chi non sa nuotare ed ha al massimo usato i braccioli fino a 30 anni, è destinato a fallire.
Perché si continuano a tagliare fondi e programmi, precarizzando sempre di più i docenti di ogni livello e relegando l’istruzione a spesa pubblica infruttuosa e non meritevole di investimenti? L’Università, soprattutto in Italia, ha smesso oramai da tempo di essere un ascensore sociale e culturale di rilievo e sembra quasi, in maniera beffarda, che i laureati in certe discipline siano destinati a fare da carne da macello per un sistema che li vuole consumatori e pagatori di tasse/indebitati ben prima che liberi pensatori.
Parliamo ogni giorno di cose come “deficit”, “pil”, “debito”, “spread”, “tassi d’interesse”, ma l’educazione finanziaria continua ad essere quasi del tutto esclusa dai programmi didattici. Eppure sarebbe una delle prime chiavi da forgiare per aiutare gli individui a liberarsi da certe catene e da certe isterie di massa. Un sistema scolastico che utilizza il marketing spinto per attrarre nuovi iscritti e viene valutato in base a criteri quantitativi e non qualitativi, è già morto. Un paese che non rivoluziona tale sistema, sarà culturalmente distrutto entro un paio di generazioni.
E quale potrebbe essere l’obiettivo finale di una simile involuzione? Magari, volendo spingersi in avanti con le suggestioni, la creazione di un esercito docile ed insicuro, oltre che precario e fisiologicamente indebitato; bombardato da frivolezze e destinato a rappresentare con drammatico realismo quel futuro distopico descritto in film come Idiocracy.
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