Non si parla di un villaggio sperduto nella savana, ma di Città del Capo, la seconda metropoli in Sud Africa, dopo Johannesburg, ed ambita meta turistica a livello internazionale, che sta attraversando una tremenda crisi idrica. Si è parlato, drammaticamente, di un ‘Day Zero’, il giorno in cui non ci sarà più un goccio d’acqua disponibile per la popolazione. Se prima questo era fissato per il 22 di aprile, la data è stata poi spostata al 12 di aprile.
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Cosa c’è dietro questa crisi? Oltre al rapido aumento della popolazione nell’area metropolitana (4 milioni di persone, ma in crescita), si è assistito alla più grande siccità in più di un secolo. E poi, cosa che, soprattutto in Africa, non dovrebbe sorprendere, c’è ovviamente l’effetto serra causato dai cambiamenti climatici. Non è un caso che la principale riserva d’acqua, quella della diga di Theewaterskloof, si sia quasi completamente inaridita.
L’amministrazione comunale si lamenta per il fatto che la popolazione usa più acqua di quella a disposizione – si parla di 86 milioni di litri in più del target previsto – ed ha quindi introdotto, a partire dal 1 febbraio, una quota massima per l’uso dell’acqua, ossia 50 litri al giorno a persona. Ciò significa, tra le altre cose, che una doccia non può durare più di 90 secondi.
Altro fatto inquietante è che l’acqua ancora disponibile non sembra essere di grande qualità. Se da un lato può sembrare potabile, molti bambini soffrono di mal di pancia dopo averla bevuta.
La gente si dà da fare per reagire a questa emergenza accaparrando rapidamente riserve d’acqua nei negozi, riciclandola il più possibile (per esempio utilizzando quella usata nel lavare i piatti per innaffiare le piante), ma anche attingendo a fonti pubbliche, laddove le file per la raccolta si fanno sempre più lunghe. Altri, i più agiati, possono permettersi di lasciare la città, ma questo non vale per le sezioni più impoverite della popolazione, per non parlare di vecchi e disabili.
Comprensibilmente, serpeggia una rabbia crescente in giro, e le autorità preposte sono accusate di aver fatto poco, o nulla, per prevenire, o perlomeno compensare, la grave crisi idrica.
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Parla a YOUng di questo disastro Penny-Jane Cooke, responsabile per Greenpeace a Johannesburg.
L’INTERVISTA:
C’è qualche novità riguardo questa crisi idrica?
Il ‘Zero Day’ è stato spostato all’inizio di giugno.
Come mai?
Da un lato il limite massimo di uso personale a 50 litri giornalieri sembra aver avuto un minimo effetto. Inoltre, gli agricoltori nella zona extra-urbana hanno limitato l’uso dell’acqua, implementando delle misure di riciclaggio.
Nel caso il ‘Day Zero’ arrivasse, che sia in aprile o in giugno, cosa succederebbe?
La popolazione sarebbe costretta più che mai a usare punti di rifornimento strategici, ossia fonti pubbliche.
Potrebbero esserci dei sollevamenti tra la popolazione?
La situazione è tuttora molto tesa, ma lo spostamento del ‘Day Zero’ a giugno l’ha un po’ allentata, anche perché in quel periodo comincia la stagione delle piogge.
Rimane comunque una crisi mai vista e si sono levate molte critiche verso le autorità.
Sì, e ciò nasce da una mancanza di coordinazione tra le varie competenze volte a risolvere il problema.
Si può quindi parlare di una forma d’inefficienza burocratica?
Direi di sì. Un’altra complicazione è di natura politica. A Città del Capo c’è al potere la Democratic Alliance, il partito di opposizione a quello che guida il paese, ossia l’ANC (African National Congress).
Qual è la maggiore differenza tra queste due forze politiche?
La Democratic Alliance è fondamentalmente un partito di bianchi e di destra, e che rappresenta la classe media e medio-alta, mentre l’ANC è il partito di Nelson Mandela, che ha portato fine all’apartheid, e in pratica il partito del popolo e delle classi basse.
Come si è mossa Greenpeace in questa situazione così drammatica?
In primo luogo abbiamo spinto affinché il governo centrale dichiarasse Città del Capo e tutta la zona circostante come area di emergenza naturale. Non dimentichiamo che non è solo a rischio la metropoli, ma due intere provincie, e si aggiunge a questo anche Port Elizabeth.
Ma al di là della mancanza di coordinazione burocratica o politica, c’è anche il fattore del riscaldamento globale.
Chiaramente il cambiamento climatico porta a una varietà di conseguenze negative e tutti sappiamo come l’Africa sia uno dei continenti che più ne soffre. Mi riferisco al fenomeno siccità, un fenomeno destinato ad aumentare, a meno che ci sia una reversione dell’effetto serra. Quindi ciò implica la necessità di una più attenta pianificazione.
Il Sud Africa ha firmato l’Accordo di Parigi sul Cambiamento Climatico?
Sì, ma chiaramente non basta.
Inevitabilmente è un problema globale, ma c’è qualcosa che può esser fatto a livello locale per contrastare il fenomeno?
Senz’altro, e, come dicevo, è necessaria una qualche forma di pianificazione. Per esempio, la nostra politica energetica è ormai datata. L’ultimo update è avvenuto nel 2010, mentre in realtà dovrebbe avvenire ogni due anni.
Cosa propone Greenpeace a riguardo?
Noi di Greenpeace ci concentriamo molto sulle energie rinnovabili, e critichiamo l’uso dei carburanti fossili, in particolare su quello del carbone. In Sud Africa abbiamo il 95% dell’estrazione di carbone rispetto all’intero continente. Noi ci muoviamo per una graduale eliminazione di questa fonte energetica, che oltre ai danni connessi con il riscaldamento globale, nel nostro paese genera grossi danni ambientali, sia per la natura che per le popolazioni.
L’industria che produce energia grazie all’uso del carbone è privata o appartiene allo stato?
E’ un’industria statale.
Quindi teoricamente lo stato potrebbe intervenire.
Esatto. Per giunta, molte delle centrali stanno usando vecchia tecnologia e questo sarebbe un motivo in più per passare alle fonti di energia rinnovabili.
Cosa c’è quindi dietro questa mancanza di cambiamento? Interessi politici? Corruzione?
Ci sono interessi particolari dietro questa industria statale, mentre le rinnovabili sono private e non ci sarebbe spazio qui per tali interessi e per tutta la corruzione che invece vediamo nella produzione energetica tramite l’uso del carbone. E questo è uno dei motivi principali per cui si è fatto poco per abbandonarla.
Com’è invece la situazione ambientale a Johannesburg, la più grande città in Sud Africa?
E’ diventata ormai una delle metropoli più inquinate del pianeta e questo è sempre legato al problema delle centrali a carbone, e ad un’altra industria in particolare, che lavora sulla trasformazione del carbone in carburante, ed è uno degli impianti più inquinanti al mondo.