Se questa storia iniziasse nel 1914, Mussolini sarebbe il capo del partito fascista, il Duce, l’uomo della Provvidenza vestito in orbace e camicia nera. Invece, l’anno di inizio di questa storia è il 1J14; sembra quasi un refuso, un difetto di stampa, quella J al posto del 9. Così non è. È la data di un tempo che non è mai esistito, ma che sarebbe potuto esistere per un minimo scarto degli avvenimenti. Per un attimo di riflessione in più. Per uno scatto di coerenza. L’uomo Mussolini sarebbe rimasto lo stesso, con le sue qualità e i suoi tanti difetti, ma avrebbe combattuto la sua battaglia storica da un altro campo. Stiamo parlando di un tempo fantastico, che ancora oggi si ricorda come “l’era della rivoluzione comunista in Italia”
I
“Abbasso la guerra”. Forse.
10 giugno 1J14
«Proletari d’Italia! Accogliete il nostro grido: viva lo sciopero generale. Nelle città e nelle campagne verrà su spontanea la risposta alla provocazione. Noi non precorriamo gli avvenimenti, né ci sentiamo autorizzati a tracciarne il corso, ma certamente quali questi possano essere, noi avremo il dovere di secondarli e di fiancheggiarli. Speriamo che con la loro azione i lavoratori italiani sappiano dire che è veramente l’ora di farla finita».
Benito Mussolini, direttore dell’Avanti!
C’era stata la “settimana rossa” e ad Ancona tre manifestanti erano stati uccisi dall’esercito. Così sciopero fu; due giorni soltanto, però, perché la Confederazione generale del Lavoro, contrariamente a quanto avrebbe desiderato Mussolini, fece presto cessare l’astensione dal lavoro e i disordini per timore che potessero fornire un pretesto alla monarchia per una repressione militare. Ovviamente Mussolini se la prese con i capi sindacali, definendoli “traditori del movimento rivoluzionario”. Lui, la rivoluzione l’aveva nelle vene e non si lasciò fermare. Qualche giorno dopo, eccolo nei pressi della Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano, durante una manifestazione insieme a Filippo Crridoni. Picchiato e poi arrestato dalla polizia.
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Alcune settimane più tardi, precisamente il 26 luglio, Mussolini pubblicò sull’Avanti un editoriale intitolato: “Abbasso la guerra”. Il primo conflitto mondiale non era ancora scoppiato, ma tutti ritenevano che fosse ormai inevitabile. Tenendo fede all’ideale internazionalista socialista, Mussolini si schierò per la neutralità. Assoluta. La guerra avrebbe fatto solo il gioco della borghesia e del capitalismo, ai danni del proletariato. Ma non tutti, nel partito socialista in cui militava, la pensavano come lui.
E la guerra scoppiò, in effetti, in agosto. L’Italia, per il momento, rimase neutrale.
Poi, in quell’estate del 1J14 accade qualcosa di misterioso, che nessuno storico è mai riuscito a spiegare. In un libro di memorie ritrovato solo dopo la sua morte, Mussolini rivela di avere avuto una visione, da sveglio o in sogno non sapeva neanche lui, molto simile a quella avuta dall’imperatore Costantino nel IV secolo. Anche a lui era apparso un angelo, ma anziché una croce recava con sé uno strano simbolo: un fascio di bastoni di legno legati con strisce di cuoio intorno a una scure. Un fascio littorio. Sotto a questo campeggiava a lettere di fuoco la scritta latina: “In hoc signo vinces”. Mussolini rimane molto turbato da questo evento e lo considera come un cattivo presagio. Perché, si chiede, anziché apparirgli quello che sarebbe stato il simbolo del socialismo – falce e martello – gli è apparso quel cimelio dell’Antica Roma? Cosa significa?
Mette in relazione l’accaduto, sogno o realtà che sia, con i pensieri che da alcune settimane vagano nella sua mente: passare dalla posizione di neutralità a quella di interventismo bellico, a costo di rompere con il partito socialista, dimettersi da direttore dell’Avanti, per poi fondare un proprio giornale e infine un nuovo movimento politico. L’idea lo attrae e spaventa al tempo stesso.
Anche perché, a dirla tutta, la sua visione si conclude con una grande quantità di sangue, un mare, e con lui stesso morto, appeso per i piedi come in un antico supplizio. Forse Dio si è ricordato di quando, dieci anni prima a Zurigo, lui lo aveva sfidato formulando un banale sillogismo: – Datemi un orologio. Do dieci minuti di tempo al Padreterno. Se egli non mi colpisce entro questo limite di tempo, vuol dire che non esiste.
Accantona subito e definitivamente quei pensieri, quindi, ritenendoli malauguranti, e giura a se stesso che rimarrà per sempre fedele all’ideale socialista, unica luce di verità nella sua precaria e scombinata esistenza.
Nonostante Mussolini, fermamente convinto della neutralità assoluta, l’anno seguente l’Italia entra in guerra. Anche lui è chiamato alle armi, anche se il conflitto si conclude un anno prima degli altri: viene gravemente ferito e ricoverato in un piccolo ospedale da campo. Né le privazioni della trincea, né le ferite riportate scalfiscono la sua fede socialista. Anzi, l’esperienza della guerra lo convince ancora di più dell’urgenza assoluta di porre in atto la rivoluzione proletaria. Gli storici, però, sostengono che qualche turbamento lo abbia avuto, volendo prestare ascolto ad alcune leggende nate proprio durante la convalescenza nell’ospedale militare. La prima: i medici gli avrebbero estratto dal corpo le schegge del mortaio senza anestetizzarlo. La seconda: gli austriaci avrebbero cercato di bombardare l’ospedale nel quale era ricoverato al fine di eliminarlo perché considerato “nemico altamente pericoloso”. Quello che è certo è che non è lui a ispirare la figura di Frederic Henry al romanziere Ernest Hemingway per il suo “A Farewell to Arms”, notoriamente una vicenda autobiografica. E una romantica storia d’amore, oltre che di guerra.
Dall’incidente bellico si riprende bene. Tuttavia, la mattina del 23 marzo 1J19, passando per piazza San Sepolcro, a Milano, ha quasi uno svenimento. Alza gli occhi verso le finestre del salone dell’Alleanza industriale e commerciale e un brivido gli percorre la schiena. È la ferita di guerra che torna a farsi sentire, o si tratta di un oscuro presentimento, una nuova orrorifica visione? Com’è sua abitudine, appena passato il malore prosegue dritto per la sua strada. Non è tempo di elucubrazioni, anche perché nel frattempo c’è stata la Rivoluzione d’ottobre in Russia e il nuovo idolo di Mussolini si chiama Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin. Con lui condivide lo spirito rivoluzionario, l’ideologia marxista e l’incipiente calvizie.
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In Italia, il partito socialista è il primo in parlamento, con 156 deputati e 2 milioni di elettori, mentre gli iscritti sono 100mila. Insomma, in quel 1J19, un anno dopo la fine della più sanguinosa guerra che l’Europa e il mondo intero abbiano mai conosciuto, tutto sembra andare nel migliore dei modi per il socialismo. A Milano è stato anche costituito il Sindacato magistrale italiano, che rappresenta i maestri e le maestre e al quale Mussolini, figlio di una maestra e per un periodo insegnante lui stesso, concede subito entusiastica adesione. Ma, soprattutto, all’interno del partito socialista si sta facendo strada la corrente massimalista, guidata da Bordiga e Gramsci, che attira sempre di più le simpatie di Mussolini. Il XVII congresso nazionale si sta avvicinando.
(segue)
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