La settimana scorsa, dopo una lunga attesa di quasi quattro mesi, e dopo trattative durate 23 ore e 46 minuti, Angela Merkel e Martin Schulz, sono giunti a un accordo per la creazione di una rinnovata Grosse Koalition tra i cristiani-democratici e i cristiano-sociali del CDU-CSU e i socialisti dell’SPD. Quest’alleanza è stata spinta dal presidente della Repubblica Federale Tedesca Frank-Walter Steinmeier, anche se in realtà era stata in qualche modo bocciata dall’elettorato, e si era cercato di portare avanti invece la cosiddetta coalizione Jamaica, dai colori della bandiera di questa bandiera che venivano riprodotti da una potenziale coalizione di democristiani, liberali e verdi.
Non sorprendentemente uno dei primi effetti che hanno seguito l’accordo Merkel-Schulz è stato l’immediato balzo in avanti delle quotazioni dell’euro, visto che, in qualche maniera, la mancanza di un governo in Germania è stato visto come motivo d’incertezza per l’Europa in generale.
La domanda più interessante è forse come, Schulz, relativamente più a sinistra rispetto ai suoi predecessori alla guida dell’SPD, e in sede di campagna elettorale apertamente contrario al rinnovo di una grande coalizione con i democristiani, con il generale appoggio nel partito, abbia alla fin fine chinato il capo e sia giunto a patteggiare con Frau Mutti. Ci si aspetta infatti un’opposizione a questo nuovo accordo durante l’imminente congresso dell’SPD che si svolgerà questa domenica, soprattutto da parte degli Jusos (l’organizzazione giovanile del partito) contrari a questo sviluppo fin da novembre.
L’accordo, che se portato fino in fondo, dovrebbe produrre un governo stabile entro Pasqua, così evitando la possibilità, chiaramente paventata dal presidente Steinmeier, di nuove elezioni il 22 aprile, è stato una vittoria per la capo-gruppo Andrea Nahles, che ha portato avanti, nel corso delle trattative, tutta una serie di punti “di sinistra”: l’estensione della pensione di base, l’abbassamento del costo degli asili nido, l’introduzione di agevolazioni per le madri, mille ricongiungimenti famigliari al mese, un nuovo programma adeguatamente finanziato per i disoccupati cronici.
E la Merkel cos’ha ottenuto in cambio? Ecco i punti chiave: nessun aumento dell’aliquota massima d’imposta, l’assegnamento di 15mila nuovi impieghi pubblici alle forze dell’ordine. Ma anche Horst Seehofer, leader della CSU ed attuale Primo Ministro bavarese, tendenzialmente più a “destra” della storica partner Merkel, ha portato a casa il suo “gruzzolo” politico: un “tetto” massimo di 220.000 richiedenti asilo all’anno, a conferma del trend già osservato durante l’ultimo governo che aveva spinto la Merkel a frenare sempre di più la sua generosità nei confronti dei migranti, al punto che, per giunta, un tot di siriani originariamente accolti sono stati mandati via in Grecia.
Intanto un recente sondaggio dell’istituto Insa, mostra un ulteriore indebolimento dei partiti tradizionali (dal 32,9% al 31,5% il CDU e dal 20,5 al 19,5% l’SPD) mentre – e questo potrebbe anche spiegare la mossa di controllo-rifugiati – cresce l’estrema destra dell’AfD (Alternative für Deutschland), con un apprezzamento del 13,5%. In positivo, si attesta sull’11% la sinistra radicale di Die Linke, mentre i Verdi, nonostante il fallimento della coalizione Giamaica, rimangono al 10%.
Insomma, l’AfD rimane la terza forza politica nel paese e, ultimo sviluppo, entra addirittura nel direttivo del memoriale dell’Olocausto. Una decisione del 2000, quando l’arrivo della destra estrema era impensabile, prevede che ogni forza politica abbia il diritto di nominare un proprio rappresentante negli organi direttivi. E la possibilità che persone neonaziste, o comunque di estrema destra, possano far parte del direttivo del memoriale, inevitabilmente, sta creando un certo allarme, al punto che si sta cercando di evitare che ciò accada.
Non ci si è dimenticati che, nel 2015, Björn Höcke, uomo forte dell’AfD in Turingia, era giunto a ribattezzare il Memoriale “il monumento della vergogna”. L’allora leader del partito, Frauke Petry ne aveva chiesto l’espulsione, senza tuttavia riuscirci, grazie all’opposizione di quelli che sono attualmente al vertice dell’AfD: Alexander Gauland ed Alice Weidel.
Parla a YOUng di questi nuovi sviluppi in Germania, Guido Caldiron, studioso delle nuove destre ed autore, tra gli altri, di “Estrema destra: destre radicali e populiste in Europa” (Newton Compton Editori) e di “WASP: L’America razzista dal Ku Llux Klan a Donald Trump (Fandango Editore).
L’INTERVISTA:
Questo nuovo accordo Merkel-Schulz è un modo di conquistare supporto nell’elettorato di destra, soprattutto vista la creazione di un “tetto” del numero di rifugiati da accogliere?
Certamente uno dei punti più importanti ottenuto dai conservatori cristiano-democratici e cristiano-sociali in queste trattative è stato appunto un “tetto” al numero degli ingressi. Questo a conferma di un trend statistico per il quale, è già in corso una stretta, e nel 2017 sono state accolte solo 186.000 domande di richiedenti asilo. Se questo è un segnale rivolto all’elettorato dell’AfD, è confermato sia dalla politica che dai fatti. Ma c’è un altro problema.
Quale?
Oltre al tetto ai rifugiati, nonché al tetto per i ricongiungimenti famigliari, voluti dai cristiano-sociali bavaresi che dovranno affrontare la prova delle urne in autunno, ponendo quindi agli alleati cristiano-democratici un problema di “emergenza elettorale”, in questo accordo c’è poco d’altro.
In che senso?
Mentre nella coalizione dell’ultimo governo l’SPD era riuscito, pur con grossi limiti, a strappare alcune concessioni nelle politiche di welfare – ad esempio il salario minimo, oltre ad altri risultati – questa volta non è riuscito a ottenere molto. Questo proprio in un momento in cui i sindacati, tra cui l’importante IG Metall (ndr Sindacato Industriale dei Metallurgici) sta lanciando una mobilitazione.
Per ottenere cosa?
La riduzione dell’orario di lavoro, ma soprattutto forti aumenti salariali: una reazione alle politiche degli ultimi anni che hanno visto una crescita basata soprattutto sul contenimento dei salari.
Quindi, alla fin fine, cosa c’è dietro questo accordo CDU-CSU-SPD?
Si ha la sensazione che serva soprattutto a tenere in piedi i maggiori partiti, a ridefinirne da qui ai prossimi anni la leadership, più che essere una vera risposta al populismo di destra, magari con la speranza che la situazione cambi in questo contesto.
Comunque la Merkel già nell’ultima fase del governo precedente aveva messo un freno alla propria generosità nel confronto dei rifugiati…
Certo, e le statistiche mostrano una graduale riduzione del numero di persone accolte: erano 890.000 nel 2015, l’anno in cui la destra gridava allo “scandalo” per il “milione di rifugiati”, 280.000 nel 2016 e nel 2017 la cifra si è ristretta di altre 100.000 unità.
Com’è giunto all’accordo Martin Schulz, che sia in fase elettorale che post-elettorale aveva perentoriamente ribadito il suo rifiuto di una nuova Grosse Koalition?
In parte è stato “tirato per la giacchetta” dal presidente Steinmeier che ha usato molto, come argomentazione, l’obiettivo della stabilità politica del paese. C’è poi un’altra analisi secondo la quale l’SPD non è più strutturato per essere un vero partito di opposizione. La coalizione precedente accompagnata da una serie di apparentamenti anche a livello locale, nei vari Land, hanno in qualche modo privato il partito del suo DNA di opposizione. Quindi questa nuova intesa può essere vista come il desiderio di continuità, in mancanza di vere alternative.
Nel corso dell’imminente congresso dell’SPD sembra che gli Jusos siano pronti a contrastare la scelta di Schulz.
Sì, e l’opposizione interna non verrà solo dai giovani socialdemocratici, ma anche da altri settori di sinistra interni al partito. D’altra parte Schulz punta molto sulla forte scelta apertamente europeista, parte dell’intesa coi conservatori. Non dimentichiamo che lui era il Presidente del Parlamento UE, ed è come se volesse continuare in qualche maniera a muoversi politicamente in un più ampio contesto, europeo appunto. Questo di fronte alle tentazioni sia tra i bavaresi del CSU che tra alcuni membri del CDU della Merkel di fare un passo indietro nel contesto europeo, anche per rispondere alle tendenze populistiche e nazionalistiche ormai diffuse nel paese.
D’altra parte la trasformazione genetica dell’SPD non è un caso isolato, ma fa parte di un trend che, con rare eccezioni – l’Inghilterra ed il Portogallo – accomuna un po’ tutti i partiti socialisti europei.
Chiaramente, e quello che è avvenuto recentemente in Francia è emblematico: la creazione di un partito come En Marche di Macron, che riunendo elementi socialisti, ma anche centristi e liberali va al potere. Ma ora, in Germania, sarà da vedere cosa succede di fronte a una stagione inedita di sfida sindacale in arrivo.
Ma quello per cui la Merkel e il suo Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble con l’appoggio aperto del socialdemocratico Gabriel, sono rimasti impressi nell’opinione pubblica europea – basti pensare al ‘caso Grecia’ – è l’ostinato attaccamento ad una politica di austerity. Questo cambierà in qualche modo con la nuova coalizione?
Il tentativo di attenuare questa politica di austerity da parte di Schulz è finora rimasto sulla carta, quindi non si può prevedere un grosso cambiamento in questo frangente. Questo confermerebbe che quello di Schulz è stato più che altro una specie di ballon d’essai.
A questo punto la sinistra radicale di Die Linke non può altro che giocare un ruolo di gruppo di pressione.
Come dicevo, è importante vedere quali sbocchi può avere questa stagione inedita di sfida sindacale che vede la richiesta di un aumento salariale del 6% e la riduzione dell’orario di lavoro a 28 ore. In questo contesto Die Linke potrebbe giocare un ruolo, altrimenti, in generale, non dico che sarebbe relegata solo a una testimonianza, ma che comunque non avrebbe grandi spazi, a parte certe zone dell’est dove il partito è ben radicato.
Intanto l’AfD sembra avere un gran successo proprio nella Germania orientale.
Sostanzialmente in alcune realtà nell’est l’AfD è addirittura il primo partito. Se l’AfD sfiora il 13% a livello nazionale, nell’est può anche arrivare fino al 27% in certe zone come la Sassonia, e a una media del 21% nei Land orientali.
Come si spiega, tenendo conto che proprio nella Germania dell’est c’è stata, anche se in parte imposta dall’alto, una tradizione di sinistra, legata al rapporto della Repubblica Democratica Tedesca con l’URSS?
Bisogna tornare indietro alla caduta del Muro di Berlino, e alla presenza di movimenti giovanili camuffati da tifosi di calcio e di altre formazioni di skinhead e punk che avevano elaborato un taglio nazionalista, se non neonazista, già ai tempi della Repubblica Democratica. Con la caduta del Muro sono poi entrate in azione le forze di estrema destra e neonaziste della Germania ovest, che hanno introdotto maggiore organizzazione in tutti questi movimenti. Ma al di là di questo c’è in primo luogo il fattore sociale.
In che senso?
Se nel complesso, a partire dalla riunificazione c’è stata una progressiva omogeneizzazione che ha ridotto il divario con la Germania ovest, soprattutto per ciò che riguarda le opportunità di lavoro per i giovani, esistono ancora delle sacche di precarietà. In Sassonia, per esempio, si è sviluppata una specie di Silicon Valley locale, ma magari, a 50 chilometri di distanza non ci sono imprese. In generale, nonostante gli sviluppi positivi, c’è stato un senso di abbandono all’indomani della riunificazione. Ma c’è anche un altro fattore.
Quale?
In queste zone, paradossalmente, le parole d’ordine xenofobe hanno ricevuto una certa attenzione. Per esempio, la campagna anti-mussulmana di Pegida aveva come centro Dresda, ed era legata anche alla memoria dei pesanti bombardamenti alleati della città durante la Seconda Guerra Mondiale, laddove il massacro di civili tedeschi veniva messo, con fervore nazionalista, sullo stesso piano della Shoah. Ma parte del paradosso è che in questa parte della Germania in realtà ci sono pochissimi immigrati, anche a causa di un relativamente inferiore sviluppo economico.
Quindi come spiegare quest’attrazione?
Sono territori in qui la gente sembra ancora alla ricerca di una sua identità nazionale: una crisi identitaria più presente tra le vecchie generazioni che tra le nuove nel loro complesso. Tutto questo anche se, col tempo, la Germania dell’est assomiglia sempre di più a quella dell’ovest.
Ma dal punto di vista ideologico, la costituzione tedesca non pone dei limiti all’espressione di idee e manifestazioni neonaziste?
Certo ed infatti, fino a poco tempo fa era proprio questa la debolezza intrinseca dell’estrema destra: l’essere rappresentata da gruppi esplicitamente radicali come l’NPD (Partito Nazional Democratico) – un po’ l’equivalente di Forza Nuova in Italia – e da altre manifestazioni eccessive che hanno incluso l’omicidio sistematico di un certo numero di migranti.
Quindi come si è arrivati al successo dell’AfD?
Innanzitutto bisogna sottolineare che l’AfD non nasce da un’affiliazione strettamente neonazista, bensì da una costola dei cristiano-democratici e da settori conservatori della borghesia e dell’industria tedesca. Poi bisogna aggiungere che questo partito, nato solo tre anni fa, comprende leader dell’est, coscienti e sensibili rispetto alle frustrazioni sociali e identitarie presenti nel loro territorio. Infine la leadership è stata molto accorta nel cavalcare non solo il sentimento anti-immigrazione, ma anche l’insoddisfazione di un certo ceto sia operaio che medio comunque slegato da pulsazioni neonaziste. Tra quelli che hanno votato per l’AfD ci sono stati anche non pochi elettori del CDU-CSU e del SPD e perfino di Die Linke in qualche maniera delusi.
Quindi come si può descrivere, in termini generali, la sua strategia?
Come una normalizzazione del discorso pubblico nazionalista.
Cioè?
Hanno gradualmente portato avanti un discorso di ricerca di un’identità nazionale forte, cominciando con la protesta contro il supposto milione di rifugiati del 2015, candidando sì anche elementi neonazisti, ma evitando di rievocare i fantasmi del passato, proprio per non essere poi accusati dai propri avversari, anche a livello europeo, di rappresentare un ritorno ad un passato rigettato dai più.
Un gioco un po’ ambiguo e, se vogliamo, anche “paraculesco”…
Sì, ma al tempo stesso sarebbe errato liquidare tutto ciò come il semplice arrivo dei neonazisti in parlamento. Ripeto, pur sfruttando il supporto di elementi estremisti, parliamo di una forza politica che cerca di raccogliere le insoddisfazioni di certe fasce della popolazione puntando su un nazionalismo quasi istituzionale e, legato a ciò, soffiando sul rifiuto dei migranti e sull’islamofobia.
Qualche esempio di questa strategia puramente nazionalista?
L’affermazione durante la campagna elettorale di Alexander Gauland, ex avvocato, che insieme ad Alice Weiland, ironicamente lesbica, ha succeduto Frauke Petry alla leadership del partito, su posizioni ancora più radicali, secondo la quale bisogna essere “fieri dei risultati dei nostri soldati durante la Seconda Guerra Mondiale. E questo pur avendo la recente storiografia accertato che, durante il conflitto, non solo le SS ed altri membri dell’élite nazista, ma anche regolari membri della Wermacht, si erano resi responsabili di non pochi crimini. Quindi questo è un tentativo di separare l’orgoglio nazionale tedesco dall’identificazione e dall’associazione mentale con le efferatezze del regime hitleriano.
C’è qualche analogia, pur con le dovute differenze, tra questo fenomeno ed il ritorno del neo-fascismo in Italia, esemplificato da Casa Pound ed altre forze simili?
Beh, il fenomeno AfD è ormai un fenomeno di massa destinato a crescere. Anche in Italia l’estrema destra è in crescita ultimamente, prendendo un po’ a modello lo stile di Alba Dorata in Grecia. In parallelo a questo in Italia c’è il diffondersi trasversale alla destra, ma non solo, del “prima gli italiani”. L’ultima uscita di Attilio Fontana sulla razza bianca ne è un esempio, quasi moderato rispetto ad altre posizioni. Ma nel clima di crisi politico-sociale generalizzata certi politici capiscono che questo slogan fa presa.
Ma a livello culturale-ideologico si vedono in Italia anche esempi estremi come quello di Forza Nuova che voleva celebrare apertamente la Marcia su Roma.
Non ci si renda troppo conto di come in realtà ci sia stato un fenomeno crescente, a partire dagli anni ’90, di banalizzazione della storia del paese, compresa la storia del fascismo. E’ come se ci sia stata quasi un’edulcorazione dell’episodio fascista nella nostra storia, slegandolo dagli aspetti evocativi più truci. Quindi sembra quasi accettabile definirsi fascisti del Terzo Millennio, fascisti per bene. Poi naturalmente bisogna distinguere tra Casa Pound e Forza Nuova.
Quindi come siamo messi rispetto alla Germania?
Molto peggio, perché in Germania una normalizzazione della vicenda storica del nazionalsocialismo, gli estremisti se la possono sognare. Rimane sì un elemento sospetto, però marginale. In Italia, senza esagerare, sembra che questo sia quasi diventato il discorso egemonico. Ancora prima della legittimazione di Casa Pound, già all’inizio degli anni ’90 c’era stata la normalizzazione dell’MSI di Fini. Venticinque anni dopo uno può tranquillamente andare in televisione e ammettere di essere fascista, aggiungendo che il fascismo ha fatto molte cose buone, mentre poi c’è gente che parla seriamente di riportare l’Italia Tripolitania.
Intanto durante un recente episodio di Piazzapulita su La7 è stata smascherata la bufala secondo la quale sotto Mussolini i treni arrivavano in orario.
Beh, questo è comprensibile: se hai un regime che gestisce tutto, questo regime ha poi anche il monopolio dell’informazione. Come, per fare un altro esempio, venne nascosto che molti gerarchi fascisti si misero in tasca milioni e milioni di lire con le loro ruberie. In confronto Mafia Capitale è nulla. Ma per tornare ai nostri giorni uno dei rischi insiti in fenomeni come Casa Pound è la trasformazione in chiave pop di tutto questo.
Ossia?
Dopo lo sdoganamento del passato storico c’è stata la trasformazione nelle forme del linguaggio di massa. Quindi i ragazzini, partendo da una tabula rasa guardano a tutto questo come fosse un discorso coerente, accompagnato da simboli aggregativi, da un’idea d’identità, da uno stare insieme, che vanno al di là del semplice discorso razzista, al limite molto più facile da smontare rispetto a quello pop.