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Tutto chiaro sulla Crisi dell’Europa?

Postato il Dicembre 15, 2017 Attilio De Alberi 0

Per leggere questo articolo ti servono: 5 minuti

Sembra chiaro che il progetto “Stati Uniti d’Europa”, o in ogni caso, quella che è comunemente nota come Unione Europea, stia attraversando una fase di crisi, e non soltanto a causa della recente Brexit.

Indipendentemente dalle frange estremiste – e populiste – che, dalla Francia di Le Pen alla Polonia, ormai in mano alla destra più becera, passando per il nostrano Salvini, invocano un’uscita dalla UE, serpeggia per il continente un’atmosfera d‘insoddisfazione latente, accompagnata da fenomeni di disaccordo su politiche comuni, a cominciare da quella sull’immigrazione. La formazione del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) che si oppone categoricamente alle politiche di accoglienza ne è esempio lampante.

Parla di questa crisi a YOUng, Francesco Gui, docente di Storia dell’Europa presso l’Università Sapienza di Roma, il quale si lamenta per una mancanza di educazione sull’Unione Europea a cominciare dalle scuole.

crisi-europea-2

L’INTERVISTA:

Come vede la crisi dell’Europa in questo momento?

Che questa unione fatta da così tanti stati sia molto difficile da gestire è un fatto obiettivo. Bisogna ammettere che ha fatto molti progressi in termini di allargamento. Si pone però il problema istituzionale, e qui ci sono varie ipotesi.

Quali?

Alcuni parlano di allentamento dell’unione, per cui ognuno finisce per fare quello che vuole, ma questo potrebbe essere pericoloso e portare a delle crisi. Altri invece, quelli che credono nella UE, parlano di uno sforzo per rendere più efficienti le istituzioni, e questo non potrebbe che rafforzarle.

Un esempio di difficoltà di gestione?

Come si può andare avanti con 28 diritti di veto su questioni magari sostanziali? Per esempio, non si è ancora riusciti ad avare una normativa europea per il congedo di maternità delle donne perché due stati hanno messo il veto.

A proposito di veti la UE non è riuscita a fare passare il progetto per la distribuzione dei rifugiati in vari paesi dell’unione a causa della ribellione del gruppo di Visegrad.

Appunto, mostrando così di non avere ancora raggiunto una sua decisionalità istituzionale. Credo che certi stati, incapaci ad accettare questa decisionalità, dovrebbero starsene ai margini. Anche se bisogna considerare che alcuni di questi hanno raggiunto una certa democrazia da poco tempo. La responsabilità ricade sugli stati fondatori, tra cui l’Italia.

Responsabilità in che senso?

Già Garibaldi credeva in un’Europa unita e raggiungere questa unione per me è un po’come completare il Risorgimento. Ma per portare fino in fondo tutto questo ci vogliono una carica e una volontà che non riesco a vedere.

Negli Stati Uniti d’America, se la Virginia o l’Alabama hanno dei problemi economici, gli altri stati devono aiutarli. In Europa è un po’ diverso.

Fino a un certo punto: negli USA è comunque ipotizzabile il fallimento della finanza pubblica in un singolo stato, quindi le responsabilità individuali non possono essere trascurate. In Europa credo che, al netto dell’idea dell’aiuto reciproco, poi bisogna cercare di seguire le regole e mostrare, individualmente, una minima efficienza nella gestione dell’economia e delle finanze.

Si è legata la recente crisi politica in Germania alla crisi dell’Europa, come se la UE fosse alla fin fine sotto una leadership tedesca, che, almeno momentaneamente, viene a mancare.

Una certa forma di leadership è in effetti, sotto certi aspetti, auspicabile, e da questo punto di vista il nostro paese, ammettiamo, non offre una grande credibilità.

In che senso?

Il nostro sistema è frantumato, spezzettato: non possiamo offrire credibilità con un ceto politico in queste condizioni. Anche in Francia e in Germania si comincia ad assistere a un fenomeno simile – basti pensare all’indebolimento dei partiti socialisti – ma la nostra problematica è di ben più lunga durata e dobbiamo esserne consapevoli.

Al tempo stesso c’è una crescente spinta populista, dalla Francia alla Polonia, per un’uscita dall’Europa.

Per me, alla fin fine, quello che conta, è il blocco dei paesi fondatori, nella misura in cui riesce a imporre una sua solidità, cosa difficile, ora, di fronte a questo trend “sovranista” in parte presente anche negli USA. Ma al tempo stesso il fenomeno Trump dovrebbe spingersi a unirci più che mai tra di noi per evitare il peggio.

Quale mossa potrebbe aiutare al rafforzamento della UE?

Bisognerebbe muoversi per la creazione di un senato degli stati europei, come avviene nelle organizzazioni federali come gli USA e Svizzera, laddove ogni stato viene rappresentato da due senatori.

Quale sarebbe la novità positiva?

Che ogni stato verrebbe rappresentato equamente, indipendentemente dalla specifica grandezza e popolazione.

Che cos’altro bisognerebbe fare?

Dovrebbe essere introdotta una clausola che elimini il diritto di veto.

Quale potrebbe essere l’effetto di tutto questo?

Un rafforzamento dell’Europa a livello mondiale – non dimentichiamo che anche senza l’Inghilterra la UE conta quasi 500 milioni di persone – e una maggiore capacità di gestire, per esempio, il fenomeno dei flussi migratori.

Da questo punto è interessare notare un recente articolo di The Economist secondo il quale i migranti ci servono, mentre, degli studi statistici dicono che, entro il 2050, l’Italia, per esempio, senza l’importo dei migranti scenderebbe a una popolazione di circa 50 milioni.

Beh, la decisione di non fare figli è nostra, mentre, per ciò che riguarda i migranti, si può dire “Venite a lavorare qui, ma la pensione ve la paghiamo a casa vostra”. In altre parole, non dobbiamo necessariamente parlare di un insediamento fisso. Non sono contrario allo ius soli di per sé, ma bisogna forse stare un po’ più attenti alla nostra sovranità politica come cittadini.

Un’altra delle critiche fatte all’Europa è che in qualche modo è sempre stata asservita agli USA soprattutto attraverso la NATO.

Non sono contrario ad una certa convergenza politica, economica e culturale con gli USA, e anche coi paesi del Commonwealth, e questa potrebbe anche essere istituzionalizzata

Perché sarebbe positiva questa convergenza?

Perché potrebbe dare una grande contributo allo sviluppo mondiale ma tutto questo cambia quando non siamo uniti, perché ciò sarebbe veramente pericoloso.

Pericoloso in che senso?

Se, per esempio, gli USA ci dicono che siamo un mercato troppo grande che potrebbe danneggiare la loro economia, ciò potrebbe portare a uno stato di umiliazione e diverremo veramente una colonia.

Lei si lamenta della mancanza di educazione sull’Europa. Cosa propone?

Ci vorrebbe una formazione sull’ABC dell’Europa fin dalle scuole. Oggigiorno, quando succede qualcosa si danno sempre delle risposte molto vaghe. Dopo tutto, come cittadini europei, tutti andiamo a votare e determiniamo una maggioranza all’interno di un parlamento.

Cosa ne pensa dell’unione fiscale?

Se fatta in maniera intelligente, sarebbe la benvenuta, ma dovrebbe essere poi accompagnata da un piano di investimenti comuni, magari nella ricerca: mostriamo insomma che l’Europa è ancora un posto di sviluppo e di creatività. Non basta solo pareggiare i conti, ma ci vogliono anche una spinta, una motivazione forte.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin,
    prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#europa#Francesco Gui

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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