Negli ultimi giorni si è riacceso più che mai il contenzioso immigrazione. A cominciare dalla sindaca di Roma che offre resistenza al flusso di migranti nella capitale, anche se i numeri le danno torto, per finire alla bagarre in parlamento contro lo ‘ius soli’, in dirittura d’arrivo per l’approvazione.
A parte i “soliti sospetti” della Lega violentemente opposti a questo epocale passaggio della legge, si è visto da un lato una dimostrazione di Casa Pound fuori Montecitorio e il silenzio astensorio del M5S, equivalente a un’opposizione a un progetto che vede il Bel Paese in ritardo rispetto ad altre nazioni europee.
Secondo Don Luca Favarin, il Don Gallo veneto che gestisce con successo 12 centri per migranti a Padova e dintorni, “ormai la parola ‘accoglienza’ che originariamente e idealmente crea spazio, amore e armonia, in realtà è stata rovinata, uccisa e crea invece divisione al punto che spesso si ha quasi paura a pronunciarla”.
Come vede la recente uscita della Raggi?
Qui si continua a parlare di “invasione”, mentre in realtà il problema è quello di gestione e quindi, in fattispecie, si vuole coprire quella che è una mala gestione dei flussi immigratori.
C’è anche però un sottofondo di xenofobia?
Certamente, per quanto velato. Ora, questo mix di xenofobia strisciante e di semplice, obiettiva incapacità gestionale di fronte a un’emergenza in fondo risolvibile, numeri alla mano, è altamente pericoloso.
Qual è il punto chiave allora?
O si vuole gestire o non si vuole gestire questo flusso storico: se decidiamo di volerlo gestire in maniera razionale, pur con tutti i rischi che può comportare, quindi con un obiettivo chiaro, per quanto complesso, è una cosa. Se manca invece la volontà politica di farlo, è un’altra.
Una delle argomentazioni del PD è che si sta in realtà facendo una pressione sui sindaci per portare avanti l’accoglienza diffusa. E tale pressione, ironicamente, ha avuto buon esito anche con amministrazioni di destra.
Questa è una cosa volgare. Perché bisogna fare pressione? In uno stato civile e di diritto, insieme, si affronta il problema: stato, regioni e comuni dovrebbero lavorare per risolvere il problema con un’attitudine di co-responsabilità. Purtroppo, invece del senso di co-responsabilità, spesso è dominante la reazione: “non nel mio cortile”, per usare un’espressione americana.
Lei, obiettivamente, se ci fosse una motivazione valida, cosa ne pensa dei rimpatri?
Posto che si possano fare, i rimpatri devono contenere due garanzie.
Quali?
La prima è la sicurezza della persona, la seconda è la sicurezza del paese.
Cosa intende esattamente per “sicurezza del paese”?
Se una persona scappa dal proprio paese ci sarà un motivo. In altre parole, il rimpatrio, senza una seria politica di re-inserimento dell’individuo nel tessuto sociale, senza un serio programma di sviluppo economico – e qui stiamo parlando di paesi, sfruttati e depauperati – non serve a un fico secco.
E qui si ritorna alla distinzione tra rifugiato politico e rifugiato economico, così chiara almeno per una certa destra…
Sì, il che è un’immane sciocchezza. E’ come dire: se rischi di finire sotto le bombe, ti accogliamo, se invece rischi di morire di fame, no.
Bisogna però riconoscere che magari ci sono certe persone che vengono in Europa per motivi puramente personali e slegati sia dalla politica che dall’economia.
Certo, ma quanti saranno rispetto alla maggioranza di quelli che cercano accoglienza? Qualche centinaio? Mentre qui ne arrivano regolarmente a migliaia.
Lei sta dicendo che non è questo il vero problema.
Sì, perché questi individui, forse gente che viene qui perché dove abitano fa caldo e qui fa più fresco, per dirne una, rappresenteranno forse il 10% del totale. Il problema è più generale ed è di natura geopolitica.
E come vede il violento contenzioso sullo ‘ius soli’?
E’ il classico ritratto di un paese ritardato: l’Italia arriva sempre dopo, come se le mancassero le vitamine o addirittura il cromosoma giusto. Di fronte a un equivalente in molti stati europei, per quanto temperato, qui da noi manca una legge che implica semplicemente un processo d’integrazione, un divenire: si diventa italiani.
L’argomentazione del PD è che lo ‘ius soli’ facilita appunto l’integrazione e previene criminalità e la tentazione al terrorismo di certi soggetti che magari si sentono esclusi.
E’ questo, ma anche altro: lo ‘ius soli’ è la certificazione di un’integrazione.
In che senso?
Tu prima dimostri di essere integrato e poi ottieni la certificazione ad hoc. E’ la certificazione di un processo già avvenuto.
Con la loro astensione i pentastellati cosa dimostrano?
E’ la prova che una forma di xenofobia quasi neofascista si sta insinuando sempre più subdolamente nella politica italiana. Poi potrà essere negata o mascherata, ma intanto sta ribollendo e si fa strada. Quello che è avvenuto in parlamento rappresenta solo rabbia, il peggio del peggio che può esserci nella mente umana.
Beh, almeno su una cosa sarà d’accordo con il M5S: sono per l’abolizione dell’Accordo di Dublino.
Sì, questo trattato è ormai superato ed è un chiaro ostacolo in questa situazione chiaramente emergenziale. Come, in caso di emergenza si deve sospendere Schengen, in questo caso di emergenza migratoria si deve sospendere l’accordo di Dublino.
La complicazione è che il cosiddetto gruppo di Visegrad (ndr Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Slovenia) continua a opporre resistenza verso una distribuzione equanime dei migranti.
Questa divisione conferma un ritardo morale spaventoso dell’Europa: ci troviamo di fronte a delle lentezze pachidermiche non solo in Italia, ma nell’intero continente.
Si parla anche di blocco e arresto degli scafisti.
Anche qui, non si risolve il problema: cosa vogliamo fare? Rimandare quelli che cercano di attraversare il Mediterraneo in quelli che sono praticamente dei lager in Libia?
Gli ultimi dati dell’ISTAT confermano che la popolazione italiana non sta crescendo, ma sta invece invecchiando. Quindi i migranti ci rubano il posto di lavoro, o abbiamo bisogno delle loro giovani braccia?
Ci servono e non solo nei campi, ma anche sulle strade, per la protezione del verde e del territorio in generale. Ma per concentrarci sull’agricoltura, ci troviamo a volte a dover importare certi beni perché non abbiamo sufficiente manodopera per produrli. Usiamo quindi queste nuove risorse umane, naturalmente con un regolare contratto.
Una delle conquiste positive del governo Renzi è stata la legge che combatte il caporalato. Sta funzionando, visto che lei si batte operativamente contro di esso?
Sta funzionando, ma con la lentezza tipica dell’Italia: perché funzioni veramente bisogna avere il coraggio di andare a fare dei controlli seri e sistematici. Se me ne sto in un ufficio a non far nulla in questo contesto, questa legge serve a poco o niente.
Vuole fare il punto della situazione anche sul decreto Minniti?
Innanzitutto bisogna tenere a mente che questo decreto sarà operativo, tecnicamente, ad agosto. Trovo inaccettabile l’abolizione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo. A questo va aggiunto lo scandalo dei centri di detenzione per i migranti. E’ un decreto castrante del diritto di accoglienza che porterà a maggiore clandestinità.
Come potrà avvenire ciò?
Tutti i soldi spesi per gli eventuali rimpatri e per la creazione e gestione dei centri di detenzione potrebbero essere tranquillamente spesi per organizzare un serio programma d’integrazione. Prevedo invece qualche rimpatrio spot, tanto per farsi belli, e una sanatoria che scaricherà i detenuti in strada e quindi creando più clandestini. E’ la mens politica, tutta volta a mostrare quanto si è forti e duri, che è bacata in partenza.