Manca ormai pochissimo all’insediamento ufficiale alla Casa Bianca di Donald Trump come 45mo presidente degli Stati Uniti. A netto del fatto che The Donald, se ci si basa sul numero di cittadini che lo ha votato, in realtà avrebbe perso per qualche milione di voti, sulla base di alcuni nuovi sondaggi non sembra essere molto apprezzato dagli americani che dovrà guidare per i prossimi quattro anni.
Secondo un sondaggio del Washington Post/ABC News, Trump è il presidente con il più basso livello di approvazione negli ultimi 40 anni. Prima di lui Ronald Reagan aveva il primato, ma a rendere le cose peggiori Trump è indietro di 20 punti rispetto all’ex presidente repubblicano. Questo sondaggio mostra che il livello di approvazione è solo del 40%, metà di quello di Obama nel periodo di transizione all’inizio del 2009.
Altri sondaggi (NBC e CNN) mostrano tassi di approvazione simili e addirittura secondo quello della Monmouth University solo 34% dei cittadini USA apprezza il presidente eletto. In tutti i sondaggi il tasso di disapprovazione si attesta attorno al 53%.
E mentre un Obama in uscita promette di dare battaglia al miliardario newyorkese, il famoso attivista per i diritti civili afro-americano John Lewis, membro del Congresso per la Georgia, e contrario alla nomina del razzista Sessions come Segretario per la Giustizia, ha già dichiarato che non parteciperà alla cerimonia d’inaugurazione di Trump. E non sarà il solo.
Intanto Our Revolution, il movimento nato con Bernie Sanders, ha organizzato la scorsa domenica attraverso tutto il paese un Day of Resistance (Giornata della Resistenza) una serie di dimostrazioni contro il presidente eletto, con una particolare attenzione alla cancellazione dell’Obamacare, il sistema sanitario contro il quale stanno già lavorando alacremente i repubblicani nel congresso. Un evento del genere, prima dell’insediamento di un presidente, è il primo nella storia degli Stati Uniti.
Non bisogna poi dimenticare la marcia delle Donne a Washington questo sabato, specificatamente per la difesa del diritto di aborto e alla quale parteciperanno, secondo le stime, almeno 200.000 persone. La domanda è quindi: quale potrà essere nei quattro anni a venire l’opposizione, negli USA e fuori, di fronte a un presidente decisamente iconoclasta, narcisista, circondato da una squadra di banchieri, generali e razzisti.
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Ne parla a YOUNG Mark LeVine, storico, ricercatore radicale alla University of California, Irvine.
Come vede, in generale, l’opposizione a Trump, almeno in questo periodo di transizione?
Mi pare che l’imminente arrivo di Trump alla Casa Bianca stia energizzando molta gente, soprattutto quelli che si oppongono allo smantellamento dell’Obamacare e le donne a difesa dei loro diritti. Ma devo confessare che non sono molto ottimista.
Perché?
Abbiamo già visto una serie di dimostrazioni, e molto più grandi, quando s’insediò George W. Bush, che sotto certi aspetti, pur essendo un po’ più “carino” di Trump, non era ideologicamente dissimile da lui, eppure nulla è cambiato.
A livello più istituzionale sembra che si stia organizzando una forma di opposizione. Sanders sembra puntare molto su Keith Ellison, mussulmano nero, come nuovo presidente del DNC (Democratic National Committee).
Certamente Ellison, a parte il fatto simbolico di essere nero e mussulmano, è senz’altro meno legato all’ala corporativa del partito rispetto a Obama e alla Clinton.
E quando potrebbe insediarsi?
Se tutto va bene nel giro dei prossimi due mesi.
Potrebbe quindi essere questo un grosso passo avanti nell’opposizione al trumpismo?
E’ un passo avanti, ma mi domando fino a che punto. L’establishment democratico rimane comunque legato a certi interessi corporativi, quelli dai quali arrivano le donazioni, ed è proprio ciò che ha fatto perdere le elezioni al partito.
Ma nel Partito Democratico ci sono anche persone come John Lewis che si oppone fortemente a Trump.
Sì, lui è una vecchia icona dei liberal americani, un uomo che ha marciato con Martin Luther King. Ma in generale il Partito Democratico come è adesso dovrebbe scomparire o almeno dividersi.
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In che senso?
Dovrebbe forse dividersi in due partiti: uno socialdemocratico o soacialista, à la Bernie Sanders e uno più moderato.
Cosa ne pensa dell’opposizione promessa da Obama?
Mi domando cosa possa fare in realtà. Non può candidarsi ufficialmente come senatore, per esempio. Potrebbe al massimo finire come Jimmy Carter, tuttora molto attivo, soprattutto in politica estera.
D’altra parte, per quanto anti-Trump, rimane sempre un moderato.
Infatti. Obama rimane un centrista, un “democratico di Wall Street”. Insomma: una versione nera dei Clinton.
Rimane in ogni caso il difensore dei diritti civili.
Sì, certo, è un liberal che difende i diritti dei gay e, ovviamente degli afro-americani, l’aborto, ma ormai il paese è molto diviso su altre questioni di carattere sociale ed economico.
Sanders intanto dichiara di non essere il “proprietario” del movimento Our Revolution, lasciando a questo di agire in qualche maniera indipendentemente da lui.
Bernie sa di avere una certa età e si domanda fino a che punto potrà essere attivo. Rimane però in generale il problema di come certi movimenti progressisti possono conquistare il potere.
Qual è esattamente il problema?
Da un lato si predica una forma di orizzontalità amorfa. Bella come idea, ma che può funzionare bene solo nel contesto di una lotta specifica. Nel tentativo di conquistare il potere politico ci vuole un leader. Mi vengono in mente gli esempi di Syriza e Podemos.
Quindi ci vorrebbe una versione giovane di Sanders?
Sì, una versione molto meno moderata di Obama otto anni fa: un quarantenne energetico attorno al quale si possano coalizzare tutte le forze veramente progressiste, compresi quei lavoratori bianchi traditi dal Partito democratico. Però rimango preoccupato.
Preoccupato per cosa?
Perché la Storia ci dice che quando qualcuno vota per un personaggio sociopatico come Trump, quando in pratica molti diventano fascisti e razzisti, è difficile farli cambiare, almeno fin quando il mondo attorno a loro crolla. Proprio perché si sono dedicati a una visione così irrazionale, basata sull’odio. Questa è una cosa che non possono ammettere con se stessi. Basti pensare a Mussolini o a Hitler: la gente li appoggiava fin a quando persero la guerra.
Quindi come può materializzarsi una vera opposizione a Trump?
Non a livello elettorale, temo, ma a livello di lotta, magari anche violenta, per le strade, attraverso un tentativo di rottura al di fuori delle istituzioni.
Ma questo tipo di opposizione non stimolerebbe una contro-reazione ancora più violenta?
Nel breve termine sì, ma poi di fronte a tutto questo potrebbe intervenire lo Stato Profondo, che si deciderebbe ad agire contro lo stesso Trump per salvare il Sistema, ossia i propri interessi, dall’anarchia. In altre parole Trump, e l’opposizione violenta che potrebbe stimolare, rappresenterebbero un costo insopportabile.
Sussiste però un’opposizione a Trump anche tra i membri dell’establishment repubblicano. Molti di loro, per esempio, non vedono di buon occhio la sua “amicizia” con Putin.
Quest’opposizione al rapporto speciale con Putin è limitata. Da un lato molti repubblicani sono in realtà vicini ideologicamente a lui: è un personaggio autoritario, illiberale e tradizionale. E poi hanno in comune con lui la lotta contro l’Islam, che va indietro ai tempi della repressione in Cecenia.
Ma al tempo stesso una rappacificazione con Putin va contro gli interessi del complesso militare-industriale.
Sì, questa è una grossa sfida. Per un po’ ci si potrà concentrare nella lotta contro l’Islam, ma poi? Sarà interessante vedere come reagirà il complesso militare-industriale al dichiarato isolazionismo di Trump, a cominciare dalla sua posizione anti-NATO, anche se a volte contraddittoria.
Rimane comunque il contenzioso con la Cina.
Chiaramente Trump sta abbassando il volume contro la Russia e lo sta alzando contro la Cina. Il problema è che dal punto di vista economico la Cina rimane cruciale per gli USA. Quindi è difficile prevedere cosa esattamente farà Trump.
L’unico atteggiamento prevedibile in Trump, per citare il New York Times, è proprio l’imprevedibilità.
Sì, sembrerebbe che questa sia una sua tattica: tenere gli avversari in uno stato di tensione e confusione continua, sia attraverso questa imprevedibilità che attraverso le sue palesi contraddizioni verbali.
E se un giorno Trump si svegliasse e decidesse di non essere più amico con Putin?
Bisogna dire che sia la Russia che la Cina hanno una grande qualità: la pazienza. Quindi non prevedo reazioni inconsulte di fronte alla “patologia” trumpiana.
E comunque la Cina e la Russia ultimamente si sono riavvicinati.
Infatti credo che in qualche maniera si muovono segretamente in maniera coordinata, laddove uno fa il cosiddetto poliziotto buono e l’altro fa il poliziotto cattivo.
Un’opposizione a Trump dall’Europa?
Ironicamente, visto Theresa May sta diventando un lacchè di Trump e che non si sa dove stia la Francia, l’unica vera opposizione a Trump possa venire, paradossalmente, visto il suo ostinato neo-liberalismo da Angela Merkel. Il problema rimane che l’Europa non ha ancora acquisito una politica estera indipendente.