Un anno e mezzo fa il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro rilasciava alla stampa una dichiarazione che, col senno di poi, avrebbe cambiato per sempre il corso della storia politica di questo paese: “So di legami tra Ong e trafficanti, ma non ho le prove.” Neppure Pierpaolo Pasolini si era spinto tanto in là. Solo che PPP di mestiere faceva l’intellettuale, il pensatore. Carmelo Zuccaro è un procuratore della Repubblica italiana. Uno che allo Stato (e, solo molto dopo, alla stampa) dovrebbe portare prove, non sospetti. Atti, non sparate sensazionalistiche. Certezze, non paure. Ma, in realtà, quello che stava facendo Zuccaro in quel momento andava persino oltre: con quelle sue parole, pronunciate con la spensieratezza di un caffè al bar, stava mandando in soffitta in un solo gesto almeno tre principi giuridici e costituzionali: la separazione dei poteri, l’onere della prova, la stessa presunzione d’innocenza. Ma, soprattutto – e questo non glielo perdonerò mai – stava offrendo su un piatto d’argento a milioni di italiani un alibi, una giustificazione morale per continuare ad essere razzisti, in pace con la propria coscienza.
Oggi, a distanza di un anno e mezzo, sappiamo che nessuno di quegli oscuri anatemi è mai stato anche solo in parte dimostrato. Tutto evaporato, tutto passato in cavalleria.
Il tempo è galantuomo. Sfortunatamente la politica no.
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Col senno di poi, possiamo identificare in quella conferenza stampa il turning point della storia recente di questo paese. Il punto di non ritorno. Il momento fondativo dell’asse giallo-verde. L’attimo in cui due galassie politiche, sociali e culturali all’apparenza lontanissime si sono incontrate in una fusione a freddo costruita sulla paura. Quel giorno è nato il governo Di Maio-Salvini.
Ma quel giorno è successa anche un’altra cosa: è stata partorita, e in seguito legittimata, l’espressione forse più violenta che sia mai stata pronunciata pubblicamente (e orgogliosamente) da un politico italiano: “Taxi del mare”. Ricordo ancora dov’ero e cosa facevo quando l’ho letta per la prima volta sul Blog delle Stelle, a firma Luigi Di Maio, perché sono quei momenti che cambiano la storia e la geografia di un Paese, spostano di chilometri il suo asse verso l’ignoto. C’è un prima e un dopo. Come le monetine a Bettino Craxi. E ogni singolo frammento di quel passaggio epocale si basava, essenzialmente, sulle illazioni e i sospetti di un pm con troppa fantasia e una smisurata mania di protagonismo. Sono passati 18 mesi, sembra un secolo.
Per questo oggi il rumoroso ritorno sulle scene dell’ineffabile Zuccaro puzza di tardiva rivincita personale. Un colpo di reni troppo goffo e svirgolato per sfuggire alla farsa. La nave Aquarius – quella che ha salvato decine di migliaia di uomini, donne e bambini nel Mediterraneo, secondo almeno cinque organizzazioni internazionali diverse, tra cui Amnesty International – è stata sequestrata per un presunto caso di smaltimento illecito di rifiuti. Tutto, ancora una volta, da provare, da verificare, ma intanto la macchina del fango innescata dalle parole di Zuccaro è già partita, in una gogna mediatica che ci vuole un secondo per incendiare e mesi – forse, anni – per spegnere.
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E, mentre consuma la sua vendetta, il pm catanese sta dando uno strappo forse definitivo a una certa idea di umanità, di solidarietà, di cui le Ong sono l’ultimo baluardo iconico. Il messaggio che passa ha una grammatica spaventosa nella sua semplicità: “Avevamo ragione noi“. Oppure: “Sveglia, anime belle!“. O l’immarcescibile: “E adesso cosa dicono i ‘buonisti, eh?‘”. E poco importa se tra i due fatti non ci sia il benché minimo legame, l’importante è soffiare ancora un po’ sul fuoco dell’intolleranza.
Come in una partita di calcio, le sparate a mezzo stampa di un pm dall’ego ipertrofico sono festeggiate come un gol in rovesciata, un colpo di tacco, un salvataggio sulla linea. Diventano fiato e ossigeno per un intero fronte politico che sulla paura, sulla delegittimazione, sulla cultura del sospetto ha costruito una Spa del consenso. Di più: sono interi bracci di Mediterraneo che diventano terre di nessuno, cimiteri senza croci, né lapidi.
Quando, un giorno, questo castello di carte crollerà sulle sue stesse contraddizioni e raccoglieremo le macerie culturali di questo paese, ricordatevi come tutto è iniziato, nell’oscuro ufficio di una altrettanta oscura procura di provincia di un procuratore che voleva vedere il proprio nome sul giornale.
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