L’enantiosemia è un interessante fenomeno linguistico che conduce, risalendo per macro-categorie, a quella più estesa della polisemia. Esistono parole che indicano un determinato concetto e, allo stesso tempo, il suo opposto. L’etimologia del termine, greca, è illuminante: enantiosemia deriva infatti dall’unione di enantíos “contrario” e di sema “segno”.
Nel breve spazio di una parola sembrano sconvolte le principali leggi della semantica che vogliono un legame netto e ineludibile tra significante e significato. Ad esempio, come può l’ospite essere sia colui che ospita che colui che viene ospitato? Come possiamo con un semplice “ciao” dare il benvenuto ma anche dire arrivederci o addirittura addio? Un prodigio lessicale che come un virus si insinua tra i meandri della parola per cambiarne abilmente i connotati e poi confonderci.
Inammissibile, se consideriamo che uno degli scopi primari del linguaggio è quello di creare una comunicazione univoca e non fraintendibile tra i due comunicanti. Questo ci fa capire una cosa tra tutte: il contesto e la relazione con altri elementi giocano un ruolo chiave. D’altronde, per dirla con Watzlawick, “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”.
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Ma se io ti caccio, ti sto inseguendo o ti sto allontanando da me? E se ti racconto la storia, alludo al susseguirsi rigorosamente cronologico e documentato di eventi, o ad una leggenda, un fatto inventato? Sarebbe interessante passare da un piano puramente linguistico ad uno più ampio relativo alla comunicazione, quella verbale e non verbale, chiamando in causa anche la psicologia. Nello specifico la teoria del doppio legame di Bateson. Non vorrei perdermi in eccessivi tecnicismi quindi cercherò di illustrarla brevemente.
Bateson sostiene che molti problemi relazionali siano dovuti all’inadeguatezza nell’interpretare i messaggi metacomunicativi. Il doppio legame indica una situazione in cui, tra due persone legate a livello emotivo (non esclusivamente da un punto di vista sentimentale) la comunicazione può esprimere due concetti dove il piano del contenuto e quello non verbale sono in contrasto tra loro. L’esempio più classico è il “Ti amo” detto a chi sta di fronte, guardando altrove e magari a bassa voce. La persona comunica amore a parole, ma con la mimica e la voce veicola distacco. Il ricevente in questo caso – così come in innumeravoli altri – non comprende quale dei due livelli sia più veritiero dell’altro, né riesce ad esternare questo disagio cognitivo. Questo avviene praticamente ogni giorno, poiché il doppio legame esiste di fatto nell’intera struttura sociale.
Ecco, noi siamo proprio, chi più chi meno, enantiosemici, come le parole che escono dalla nostra bocca. Parole che pur ponendosi come lo specchio di ciò che vediamo, sentiamo, proviamo, mantengono sempre una componente un po’ astratta, nella misura in cui questa risulta collegata al nostro costante divenire.
La mia non è un’apologia dell’ambiguità. Constato solo quanto spesso, anche inconsciamente, portiamo a galla un universo emozionale che è il contrario di quello che abbiamo dentro. O più plausibilmente, ed è questa la versione che piace a me, noi siamo doppi e mai univoci. Siamo quella cosa e il suo opposto, ma non in un’accezione negativa. Il “copione” non è sempre lo stesso: abbiamo la possibilità di riadattarlo, aggiungerci qualcosa, sottrarvi qualcos’altro, svincolarci dalla ripetitività, rivisitarlo e rivisitarci. Non siamo mai tutto bianco o tutto nero, tutto triste o tutto felice, tutto compassionevole o tutto distaccato. E ancora una volta sta all’altro (ma gli altri siamo noi, cit.) avere la volontà, ancor prima della capacità, di sintonizzarsi sulla nostra stessa frequenza d’onda. Dobbiamo però noi avere la premura di capire, fino in fondo, che siamo fatti anche di contraddizioni. E nel contempo farlo capire a chi abbiamo affianco, a chi ha scelto di condividere con noi un pezzo, o magari tutti i pezzi, della sua vita. Come? Fornendolo degli strumenti necessari per decifrarci, accompagnandolo per mano se necessario.
Quella persona sceglierà, in ogni caso, di fuggire da noi: ma via, lontano o tra le nostre braccia?