Il continente africano, ed in particolare l’Africa subsahariana, affascina da sempre l’uomo occidentale. Le prime testimonianze scritte sul mondo africano non mediterraneo si trovano già nelle opere degli autori greci Senofonte ed Erodoto, che descrivono queste popolazioni “dalla carnagione scura e dal naso schiacciato“, mettendone in evidenza le differenze somatiche rispetto alle popolazioni caucasiche, senza tuttavia esprimere giudizi di alcun tipo. Il termine utilizzato in greco era “Aithiòpoi“, ovvero “Etiopi”, parola che però raggruppava tutte le popolazioni dell’Africa subsahariana senza prendere in considerazione l’effettiva provenienza geografica ed etnica (Cowherd, 1983). Erodoto fu particolarmente colpito in occasione del suo viaggio in Egitto, descritto come “la terrà più d’ogni altra ricca di meraviglie, e che più d’ogni altra offre lo spettacolo d’opere d’indescrivibile grandezza“.
Ai tempi dell’Impero Romano, Nerone si dimostrò particolarmente interessato a questa terra misteriosa, ordinando una spedizione per scoprire le fonti del Nilo. Altre esplorazioni riguardarono invece le aree del fiume Niger e del Lago Ciad. Testimonianze di queste attività ci sono arrivate grazie agli scritti di Plinio il Vecchio e Seneca, mentore dello stesso imperatore: quest’ultimo, in particolare, afferma nel trattato De Terrae Motu che il fiume Nilo “ex magno terrarum lacu ascendere” (“proviene da un lago molto grande delle terre“), indicando così che i Romani si erano spinti fino al Lago Vittoria, nell’attuale Tanzania, ma secondo altre ricostruzioni gli uomini inviati da Nerone sarebbero addirittura giunti in Uganda.
Bisogna tuttavia sottolineare come, sia gli autori greci che quelli romani dimostrino la totale assenza di razzismo basato sul colore della pelle (Dee, 2003). Per i Romani, tutte le popolazioni si dividevano tra quelle facenti parte dell’Impero, che avevano acquisito la Romanitas, e quelle che non ne facevano parte: una distinzione basata dunque sulla cultura, e non sull’etnia o sulla provenienza geografica. Secondo molti autori, il colore della pelle era un aspetto ritenuto poco importante, e per questo generalmente non viene riferito nelle descrizioni o nelle biografie di alcuni personaggi. In altri casi si ricorreva ad aggettivi come “chiaro” o “scuro”, ma certamente non venivano utilizzati termini come “bianco” o “nero”. È inoltre certo che nell’esercito romano erano presenti molti africani, provenienti sia dalle province nordafricane che dalla Nubia (un’area che attualmente corrisponde alla regione di confine tra Egitto e Sudan).
Molti personaggi nati nella sponda meridionale del Mar Mediterraneo riuscirono a scalare le gerarchie della società romana, tant’è che Settimio Severo, nativo di Leptis Magna, nell’attuale Libia, divenne addirittura imperatore dall’anno 193 fino alla sua morte, avvenuta nel 211. Tra i personaggi nati in questa regione va ricordato anche Agostino d’Ippona, nato in Algeria nel 354, importante autore letterario e successivamente proclamato santo dalla Chiesa Cattolica, senza dimenticare Tascio Cecilio Cipriano, cartaginese anche lui santificato come San Cipriano, e Papa Gelasio I, salito al soglio pontificio nel V secolo, algerino come Agostino. Si potrebbe qui aprire un lungo discorso circa l’iconografia cristiana, che riproduce erroneamente sia Agostino e gli altri santi nordafricani che i personaggi biblici con tratti somatici occidentali, a momenti addirittura nordici, cosa naturalmente errata. Ci limiteremo tuttavia a questa breve osservazione, non essendo questo il fine dell’articolo.
I rapporti tra Europa ed Africa incominciarono a divenire fortemente conflittuali solamente a partire dall’epoca coloniale, periodo nel quale nacque anche il razzismo come lo conosciamo oggi, che in questo contesto “si è sviluppato come principio cardine del pensiero e della percezione” (Chomsky, 1993). Con la conquista delle Americhe da parte degli spagnoli e degli altri imperi europei, iniziò infatti la sanguinosa tratta degli schiavi che provocherà danni ingenti al continente africano, in particolare alla regione del Golfo di Guinea, privando le popolazioni locali di milioni di uomini in età da lavoro per generazioni. A ciò si aggiungerà anche la colonizzazione diretta del continente africano, spartito principalmente tra Gran Bretagna e Francia, senza dimenticare Paesi Bassi, Belgio, Germania, Spagna, Portogallo ed anche Italia, seppur in maniera minore (una mancanza dovuta ad incapacità e non certo a magnanimità).
Questa dominazione dell’uomo “bianco” sulle popolazioni africane doveva essere in qualche modo giustificata, ed ecco dunque saltare fuori il discorso della missione civilizzatrice della quale gli europei devono farsi carico nei confronti di queste popolazioni “inferiori”, convincendo l’opinione pubblica che la strada seguita fosse quella giusta.
Al centro di opere letterarie come quelle di Joseph Conrad, per citare un solo celebre autore, l’Africa iniziò a diventare, per il grande pubblico occidentale, un insieme di luoghi comuni più che un luogo geografico. Si alternavano così gli stereotipi “positivi” del luogo incontaminato popolato da “buoni selvaggi” e quelli negativi, che vedevano negli africani dei popoli di “razza inferiore”, rozzi e primitivi.
Fu così che la relazione tra i due continenti in oggetto, l’Europa e l’Africa, divenne un rapporto di subordinazione del secondo nei confronti del primo. I Paesi occidentali hanno sottratto a quei popoli la forza lavoro, le risorse naturali, i diritti e la dignità. Come se non bastasse, il rapporto di subordinazione è proseguito anche dopo la fine ufficiale della colonizzazione e l’indipendenza dei Paesi africani. Oggi, la colonizzazione prosegue infatti sotto le forme meno appariscenti ma altrettanto criminali della neocolonizzazione e dell’accaparramento delle terre, continuando a sottrarre risorse naturali al continente africano, ma anche con guerre indotte, ingerenze politiche e situazioni lasciate in sospeso sin dai tempi della colonizzazione, a partire da quelle degli artificiosi confini nazionali.
Solamente negli ultimi decenni, gli europei – o almeno una parte di essi – hanno iniziato a riscoprire questo continente come una terra di ricchezza innanzi tutto umana e culturale, ancor prima che mineraria. Tutte le buone intenzioni ed i progetti di cooperazione messi in piedi non serviranno certo a ripagare l’Africa per i secoli di violenze subite, fino a quando non inizieremo a voler conoscere realmente questo sterminato continente, mettendoci su un piano di parità e mostrandoci disponibili ad imparare. Non dobbiamo infatti dimenticare che, quando utilizziamo il termine “Africa”, stiamo riassumendo in sole sei lettere un insieme variegato di 54 Paesi (senza contare quelli non riconosciuti) e di 1.1 miliardi di abitanti, suddivisi in centinaia di etnie e sparsi su oltre 30 milioni di chilometri quadrati, una superficie superiore a quelle di Europa, Stati Uniti e Cina messe insieme.
BIBLIOGRAFIA
CHOMSKY, Noam (1993), The Prosperous Few and the Restless Many
COWHERD, Carrie (1983), Roman and Carthaginian Spain: The Black Presence, in Afro-Hispanic Review 2 (2): 23-25
DEE, James H. (2003), Black Odysseus, White Caesar: When Did ‘White People’ Become ‘White’?, in The Classic Journal 99 (2): 157-167
ERODOTO, Storie
SENECA, Lucio Anneo, De Terrae Motu
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