Da inizio luglio, ha avuto inizio il semestre dell’Austria alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea. Il calendario delle turnazioni viene programmato con diversi anni di anticipo (al momento è già tutto determinato fino al 2030), e quando fu stilato nessuno poteva immaginare che al potere nel Paese alpino sarebbe andato Sebastian Kurz, non ancora trentaduenne, cancelliere federale di Vienna dal dicembre del 2017.
Il leader del Partito Popolare Austriaco (Österreichische Volkspartei, ÖVP), al potere in coalizione con i conservatori di estrema destra del Partito della Libertà Austriaco (Freiheitliche Partei Österreichs, FPÖ), quello che fu un tempo del neonazista Jörg Haider, ha raccolto parecchi apprezzamenti in Italia, in gran parte dagli elettori dell’attuale governo gialloverde. Simpatie derivanti dal fatto che Kurz sarebbe uno degli esponenti della nouvelle vague nazionalista in Europa, quella il cui leader ispiratore viene riconosciuto nell’ungherese Viktor Orbán.
[newsletter]
Pur facendo parte di un partito del centro-destra tradizionale come l’ÖVP, Kurz ha in effetti modificato le posizioni politiche di questa forza su alcuni punti, avvicinandolo alle posizioni di Orbán e degli altri leader della destra “populista” europea, tra i quali si può inserire a pieno titolo anche Matteo Salvini. Allo stesso tempo, però, il cancelliere austriaco ha mostrato la propria doppiezza sotto non pochi aspetti, proprio come gli stessi Orbán e Salvini.
Cosa hanno in comune questi uomini politici? Come abbiamo già messo in evidenza più volte nel caso magiaro, anche Kurz è salito al potere promettendo un cambiamento capovolgente rispetto alle politiche del passato, sbandierando un antieuropeismo di maniera, aiutato anche dalla sua giovane età, nonostante avesse già ricoperto l’incarico di ministro federale degli affari esteri sotto il precedente governo di Alexander Van der Bellen.
La verità, proprio come nel caso di Orbán e Salvini, è che, subito dopo aver preso il potere, Kurz ha spostato l’attenzione quasi unicamente sulla questione migratoria, facendo leva sui sentimenti più istintivi e primitivi del suo popolo, ed accantonando gran parte delle ambiziose promesse fatte in campagna elettorale. Per quanto riguarda le vere questioni europee, il cancelliere si limita ora a parlare di riforme che bilancino il peso tra i Paesi più grandi e quelli più piccoli, senza tuttavia andare a mettere in evidenza le contraddizioni strutturali dell’entità sovranazionale.
Nemico giurato dei migranti e favorevole alla chiusura delle frontiere, Kurz non è altro che l’ennesimo rappresentante della classe dominante che è riuscito a prendere il potere illudendo le classi dominate di essere un portatore degli interessi di quest’ultimi, i quali, sprovvisti di una coscienza di classe, non hanno più le armi per evitare questo raggiro. Ebbene, Kurz ha speso parole a favore di un rafforzamento dell’Unione Europea e degli investimenti al fine di “modernizzarla” e di “renderla più competitiva sul mercato”: tipico mantra neoliberista.
All’orizzonte, dunque, non si vede nessun cambiamento strutturale, semmai si prospetta un contrasto proprio con quei governi che sulla carta dovrebbero essere più vicini alle posizioni dello stesso Kurz, vale a dire quello italiano ed i quattro del gruppo di Visegrád (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia). I governi più duri d’Europa sul tema migratorio, per loro stessa natura, tendono al conflitto nonostante posizioni simili: visto che l’interesse di ognuno di questi è la difesa dei propri confini, il risultato finale non può che essere uno scontro. Ed il punto più caldo di tutti è proprio il confine italo-austriaco, sul quale le posizioni di Vienna hanno creato non poco imbarazzo nel governo italiano, al punto che proprio Kurz ha invitato l’Unione Europea ad applicare la Convenzione di Dublino “finché non ci saranno soluzioni alternative”. Come a dire, problemi dell’Italia e degli altri Paesi mediterranei, tanto l’Austria non ha neppure un metro di costa e non ci riguarda.
Al peggio, però, non c’è mai fine. Kurz ha infatti deciso di levare definitivamente la maschera del finto “populista”, promuovendo una riforma del lavoro che farebbe impallidire persino Margaret Thatcher, e che nemmeno uno come Emmanuel Macron si sognerebbe mai di proporre: l’aumento della durata della giornata lavorativa a dodici ore, per un totale di sessanta ore settimanali. Probabilmente il più grande attacco sferrato dalla classe dominante ai danni dei lavoratori nella lotta di classe condotta dall’alto verso il basso.
[coupon id=”21138″]
Proprio in questi giorni, almeno ottantamila persone (fino a centomila secondo i sindacati) hanno protestato per le strade di Vienna, chiedendo quanto meno lo svolgimento di un referendum popolare per passare al vaglio la legge. La legge attuale austriaca, del resto, prevede una giornata lavorativa di otto ore per quaranta ore settimanali, ma già è in vigore la possibilità di allungare le due durate a dieci e cinquanta ore rispettivamente. Secondo i dati dell’Eurostat, l’Austria dispone già della terza settimana lavorativa più lunga dopo Regno Unito e Cipro: allungarla ulteriormente significherebbe di fatto accentuare ulteriormente l’aspetto schiavile del sistema neoliberista.
Fatte queste brevi considerazioni, non capisce come tanti italiani si siano lasciati ammaliare dal fascino del giovane Kurz: non ne avete nessun interesse, né come italiani, né come appartenenti alla classe lavoratrice.