Quello del Canale del Nicaragua è un ambizioso progetto che, sfruttando la via fluviale del San Juan, punterebbe alla costruzione di un nuovo canale artificiale per collegare l’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico. Ad oggi, infatti, l’unico modo per evitare la circumnavigazione delle Americhe è quello di passare per il Canale di Panama, nonostante il progetto del Canale del Nicaragua sia stato pensato per la prima volta addirittura nel 1825 (quello panamense fu invece aperto nel 1914).
La proposta di costruire il nuovo canale è tornata in auge in tempi recenti e, nel giugno 2013, l’Assemblea Nazionale del Nicaragua ha accettato il progetto presentato dal gruppo cinese HKDN Nicaragua Canal Development con una netta maggioranza (sessantuno voti favorevoli contro ventotto contrari). Il costo stimato dell’opera sarebbe di circa cinquanta miliardi di dollari, e l’apertura del canale, lungo 278 km, è prevista nel 2020, anche se negli ultimi tempi ci sono stati alcuni rallentamenti nei lavori. La nuova via di comunicazione dovrebbe collegare le località di Brito sulla costa pacifica e Punta Gorda sulla sponda atlantica, attraversando il fiume San Juan ed il lago di Nicaragua.
Numerose sono state anche le voci contrarie alla costruzione del canale, soprattutto da parte delle associazioni ecologiste, che hanno sottolineato i rischi di inquinamento e di destabilizzazione dell’ecosistema del lago di Nicaragua, dove regna una grande biodiversità. Inoltre, ben venticinquemila persone dovrebbero essere evacuate per permettere la costruzione del canale. Dall’altra parte, però, vi sono le considerazioni economiche, con il canale che porterebbe sicuramente nuove entrate alla piccola repubblica dell’America Centrale, anche se in realtà la maggioranza degli introiti andranno alla società cinese che costruirà e gestirà il canale per la durata di cinquant’anni (costruzione compresa), come dall’accordo con il governo nicaraguense. Solamente dal 2064, dunque, il Nicaragua potrebbe beneficiare direttamente della nuova infrastruttura, anche se il governo punta su entrate indirette grazie alla maggior frequentazione dei porti del Paese.
Se le opposizioni interne non sembrano preoccupare molto il governo sandinista, molto più rilevanti sono le voci contrarie che si sono levate da Washington. Gli Stati Uniti, infatti, hanno avuto in gestione il Canale di Panama fino al 31 dicembre 1999, per poi cedere il timone del comando alla Autoridad del Canal de Panamá, gestita da un ministero ad hoc del governo panamense. Ma Washington ha comunque mantenuto ottimi rapporti con Panama (anche attraverso ingerenze più o meno nascoste nella politica interna del Paese, dopo averne già favorito la funzionale scissione della Colombia), mentre il Nicaragua fa parte del fronte antistatunitense del continente, quello, per intenderci, voluto dall’ex presidente venezuelano Hugo Chávez attraverso l’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América – Tratado de Comercio de los Pueblos). Per questo, secondo alcuni osservatori, gli USA avrebbero tutto l’interesse ad evitare la costruzione del nuovo canale, lasciando a Panama il monopolio dei collegamenti tra i due oceani, ed evitando anche che la Cina assuma un ruolo importante nel continente, rispolverando dunque la vecchia dottrina Monroe secondo il principio de “l’America agli americani“.
L’eventuale costruzione del Canale del Nicaragua, aumenterebbe dunque la presenza della Cina (ed in parte anche della Russia) all’interno del continente americano, intrattenendo strette relazioni con i Paesi dell’ALBA, ed in generale quelli che si oppongono alle politiche egemoniche di Washington. I cinesi potrebbero stringere stretti rapporti con il Venezuela, ad esempio, aumentando le proprie importazioni di petrolio da Caracas: sebbene la stampa occidentale abbia sottolineato la vittoria elettorale della destra liberista (peraltro con un margine molto ridotto nonostante gli incredibili mezzi di propaganda a disposizione e l’appoggio degli USA), in molti si sono infatti dimenticati di sottolineare che il Venezuela è una repubblica presidenziale, e che dunque la maggioranza dei poteri sono ancora in mano al capo di stato Nicolás Maduro, erede di Hugo Chávez. La costruzione del Canale del Nicaragua, inoltre, aumenterebbe il significato della posizione strategica di Cuba, scalo quasi obbligato sulle rotte caraibiche, tant’è che L’Avana si è già prodigata nella costruzione del fulcro logistico di Puerto Mariel. In poche parole, assumerebbero un’importanza cruciale proprio quei Paesi che non amano gli Stati Uniti e le loro politiche invasive in America Latina: non è un caso, dunque, che Barack Obama si sia tanto prodigato di recente per ristabilire le relazioni diplomatiche con Cuba, come abbiamo sottolineato in un recente articolo (clicca qui per leggerlo). In ballo non c’è solo il petrolio venezuelano, ma ci sono le tante ricchezze minerarie del Sud America, dal litio boliviano al rame cileno, passando per il ferro brasiliano ed il carbone ecuadoregno.
Alla “battaglia navale” tra il Canale di Panama e quello del Nicaragua, poi, si aggiunge anche quello delle vie ferrate. Brasile, Bolivia e Perù, infatti, hanno deciso di realizzare una via ferroviaria, denominata Canal Seco, che colleghi Santos, città atlantica del Brasile, ad Ilo, città che si affaccia sulle acque del Pacifico, in Perù. Anche in questo progetto, la Bolivia, altro Paese dell’ALBA, ha un ruolo fondamentale, visto che attraverso il Canal Seco avrebbe la possibilità di far arrivare sulle due sponde del continente le proprie ricchezze del sottosuolo. Ed anche qui, non è un caso che sia iniziata la costruzione di un’altra rete ferroviaria con la stessa prerogativa in Colombia, il Paese più fedele a Washington tra quelli del Sud America, nonché l’unico dell’America Meridionale ad essere bagnato da entrambi gli oceani.
SULLE RELAZIONI TRA STATI UNITI E AMERICA LATINA:
ARÉVALO, J.J. (1956), Fábula del tiburón y las sardinas. América Latina estrangulada
PERKINS, J. (2004), Confessions of an Economic Hit Man
ROUQIÉ, A. (1997), Amérique Latine. Introduction à l’Extrème-Occident