Situata all’estremo occidente del continente africano, a sud del Senegal, la Guinea-Bissau è un piccolo stato di un milione e mezzo di abitanti, dalla storia repubblicana relativamente giovane. A lungo colonia portoghese, infatti, la Guinea-Bissau divenne uno stato indipendente solamente nel 1974, circa un decennio dopo la maggioranza degli stati africani. Come retaggio del dominio lusitano, fa anche parte dei cinque PALOP (Países Africanos de Língua Oficial Portuguesa), i Paesi africani la cui lingua ufficiale è proprio il portoghese, assieme ad Angola, Mozambico, Capo Verde e São Tomé e Príncipe.
Se ne parliamo quest’oggi è perché in questi giorni la Guinea-Bissau sta attraversando una profonda crisi politica, tale da portare alla dissoluzione del governo da parte del presidente della repubblica, il cinquantasettenne José Mario Vaz, potere che gli è conferito dalla costituzione. In carica dal 2014, Vaz appartiene al PAIGC (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde), forza socialista che nacque proprio per portare la Guinea-Bissau e Capo Verde all’indipendenza, e che da allora ha quasi sempre guidato il Paese. Dall’altro lato della barricata c’è invece l’oramai ex primo ministro Domingos Simões Pereira, anche lui membro del PAIGC e sostenitore di Vaz alle elezioni del 2014. Proprio negli ultimi tempi, però, il rapporto tra i due è venuto ad incrinarsi, ed il presidente ha preso la decisione estrema di sciogliere il governo, forse temendo una presa di potere eccessiva da parte del primo ministro.
Il disaccordo tra le due cariche sarebbe nato quando Pereira ha deciso di disfarsi di alcuni ministri che invece facevano parte della cerchia dei fedelissimi di Vaz. Quest’ultimo ha dunque accusato il suo avversario di gestire in modo poco consono il governo, mentre l’ex premier ha risposto parlando di “colpo di stato costituzionale”, in quanto Vaz avrebbe utilizzato un’eventualità che effettivamente è prevista dalla carta costituzionale del Paese ma in un caso nel quale non ve ne sarebbe stato alcun bisogno: “Abbiamo constatato che esiste una reale volontà di provocare una crisi per giustificare la decisione di sciogliere il governo”, aveva dichiarato Pereira pochi giorni priva che l’avvenimento predetto si verificasse.
Dopo delle trattative che si sono tenute ad Abidjan (Costa d’Avorio) con la mediazione del presidente ivoriano Alassane Ouattara, Vaz ha dunque annunciato la sua decisione lo scorso 12 agosto: “È pubblicamente noto che esiste una crisi che mette a repentaglio il buon funzionamento delle istituzioni. Si sforzi di conciliazione non sono riusciti a risolvere le difficili relazioni tra il presidente ed il primo ministro”, ha dichiarato. “Anche se tutti i ministri si fossero dimessi dalle proprie funzioni, un rimpasto di governo non avrebbe risolto la crisi di fiducia”, ha poi aggiunto, giustificando così la necessità di procedere allo scioglimento dell’esecutivo.
All’annuncio del presidente Vaz, sono arrivate reazioni molto contrariate da parte di alcuni esponenti della società civile del Paese, tra i quali il presidente delle organizzazioni della società civile Jorge Gomes ed il leader della forza intersindacalista Filomeno Cabral. Paese povero, con un PIL PPA di circa 520 dollari pro capite annui, ed al centro del traffico internazionale di droga, la Guinea-Bissau si trova dunque ad affrontare una nuova crisi politica dopo le tante che ha già vissuto sin dalla sua indipendenza del 1974. Ricordiamo, infatti, che solo tre anni fa il Paese era stato guidato, seppur per un breve periodo, da una giunta militare sotto la leadership di Mamadu Ture Kuruma. La nuova crisi arriva proprio quando, con le elezioni del 2014, sembrava essere tornata una situazione di apparente normalità e stabilità, mentre a tenere banco nel Paese è anche il dibattito sulla chiusura delle frontiere meridionali con la Guinea, per evitare il propagarsi dell’epidemia di ebola.
Secondo il presidente Vaz, la crisi sarà presto risolta con la nomina di un nuovo primo ministro, che dovrà essere proposta dal Parlamento, nel quale il partito maggioritario è ancora il PAIGC (57 deputati sui 102 seggi). La storia del Paese, ricca di colpi di stato tentati o riusciti, impone però prudenza.