I paradisi fiscali nascono con la finalità di evitare il pagamento di tasse ai governi. In questo meccanismo tipico del capitalismo odierno sono coinvolte parecchie corporazioni, coadiuvate da ditte addette alla contabilità.
A dare il via ai paradisi fiscali, che rappresentano un vero e proprio sistema di corruzione fiscale, è stata in particolare la City di Londra, uno dei maggiori centri finanziari nel mondo, accompagnata poi dall’equivalente americano con centro a Wall Street a New York.
Con la fine dell’impero britannico, un gruppo agguerrito di avvocati e contabili della City londinese crearono una ragnatela di segrete giurisdizioni oltremare che catturarono la ricchezza mondiale per poi incanalarla proprio a Londra. Questo fu un sistema che finì per creare un secondo impero, non più territoriale in natura, bensì finanziario. Basti pensare a tipici paradisi fiscali come l’isola di Jersey, nella Manica, e poi ad altre classiche località come Bermuda e le isole Cayman nei Caraibi.
Uno dei problemi principali dietro a questo sistema è la mancanza d’intervento da parte dei governi che, in qualche maniera, riescono ad entrare in collusione con questo sistema, invece di proibirlo e reprimerlo.
Una delle conseguenze più nefaste di tale collusione è che i governi non riescono ad incassare denaro proveniente dalle grosse corporazioni e che potrebbero essere investiti positivamente nel sistema sociale delle infrastrutture, della salute, della sicurezza per i disoccupati e dell’educazione.
Secondo certi osservatori preoccupati per questa ragnatela di interessi esistono delle soluzioni al problema che potrebbe essere messa in atto. Ed ecco qui i cinque suggerimenti specifici atti ad opporsi a questo sistema decisamente corrotto.
Il primo è quello di impedire alle istituzioni pubbliche di generare contratti, a loro volta pubblici, che permettono a certe compagnie di operare proprio dai paradisi fiscali.
Il secondo è quello di creare dei registri pubblici relativi ai proprietari di compagnie, trust funds e fondazioni.
Il terzo è quello d’introdurre una piena trasparenza relativa agli accordi più o meno segreti tra governi e compagnie.
Il quarto è di esigere dei rapporti chiari ed informativi da parte delle compagnie in ogni stato.
Il quinto è di introdurre in automatico tutta una serie di informazioni su questa delicata problematica tra vari stati.
Chiaramente dietro a tutte queste potenziali mosse benefiche atte a smantellare la corruzione esistente dietro la ragnatela dei paradisi fiscali deve esserci in primo luogo una volontà politica ben precisa e possente.