Ormai da tempo si cerca di stabilire la verità su Giulio Regeni, come molti manifesti sparsi un po’ in tutta Italia ci hanno ricordato. Giulio Regeni, giovane ricercatore di 28 anni, iscritto all’Università di Cambridge, viveva in Egitto e si occupava dei sindacati indipendenti. Ma alla fine del gennaio 2016 venne sequestrato, barbaramente torturato e poi ucciso dai servizi segreti del generale golpista Al Sisi, tuttora capo dello stato egiziano. Ma mentre si chiedeva verità sul suo caso, al tempo stesso il comportamento dello stato italiano è stato, a dir poco, contraddittorio.
Se da un lato si cercava di ottenere delle risposte chiare dal governo egiziano, i vari governi che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno avuto un atteggiamento quasi “amichevole” nei confronti del regime di Al Sisi, che tra l’altro, non dimentichiamo, in Libia sostiene Haftar nei suoi attacchi contro il capo dello stato ufficiale Serraj, sostenuto dall’Italia.
Per primo, il Presidente del Consiglio Renzi cercò di sdoganare Al Sisi, invitandolo come “uomo nuovo del Medio Oriente” in Italia e tentando di farlo passare come “innocente” attraverso varie interviste.
Poi arrivò Gentiloni, che già come Ministro degli Esteri aveva fatto delle promesse per ottenere la verità sul caso, e continuò a farle come Primo Ministro. Promesse però mai mantenute.
Col governo giallo-bruno della Lega e M5S vale la pena osservare la posizione di Salvini che pur essendo Ministro degli Interni, guidava a suo modo anche gli affari esteri. Secondo lui le relazioni con l’Egitto erano più importanti della verità su Regeni, che pensava riguardasse solo la sua famiglia e non la democrazia italiana, insistendo pure che l’ambasciatore in Egitto non si doveva toccare, nonostante le richieste della famiglia Regeni. Contro questa posizione era molto attivo il Presidente della Camera Roberto Fico, che rimane tuttora uno dei maggiori e più coerenti sostenitori della causa in questione e che ha incontrato diverse volte la famiglia Regeni.
Poi è arrivato il governo Conte-bis, sostenuto dal Partito Democratico, dal M5S, da Liberi e Uguali, ma anche da Renzi. Mentre la posizione del M5S e di Liberi e Uguali è sempre stata molto chiara sul caso Regeni, con la continua richiesta di verità al governo egiziano, le altre due forze hanno mantenuto un atteggiamento a dir poco ambiguo.
Ma una delle cose da tenere in mente è la continua e crescente vendita di armi da parte dello stato italiano al regime di Al Sisi. Si è passati da 7,1 milioni di euro nel 2016 a ben 871,7 milioni nel 2019. Tutto questo mentre continuava la repressione interna in Egitto, che conta 60.000 prigionieri politici e dove, sempre dal 2016 al 2019 ci sono stati almeno 2400 condannati a morte. Vale anche la pena ricordare, in particolare, l’arresto e la tortura dello studente presso l’Università di Bologna Patric Zaki, tuttora detenuto dalle autorità egiziane.
E poi bisogna tenere a mente un ultimo sviluppo: la vendita di due fregate italiane allo stato egiziano, avvenuta negli ultimi giorni, per un valore di 1,2 miliardi di euro. Su questa iniziativa il Partito Democratico si è spaccato. In particolare, Matteo Orfini ha cercato di mandare avanti un ordine del giorno in cui si richiedeva la fine della vendita di armi all’Egitto da parte dell’Italia.
Insomma, di fronte alla gravità dell’uccisione di Giulio Regeni, rimane un atteggiamento ambiguo del governo italiano, che sembra più interessato a fare business attraverso la vendita di armi, piuttosto che insistere che si faccia completa luce sull’efferato avvenimento di quasi quattro e mezzo anni fa. Dal punto di visto della democrazia e della difesa dei diritti questa è una posizione a dir poco insostenibile.
[foto copertina © La Stampa]