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Le conseguenze socio-economiche del Coronavirus

Postato il Maggio 6, 2020 Attilio De Alberi 0

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Una delle maggiori conseguenze negative della pandemia coronavirus, a parte i decessi, la quarantena e l’isolamento in casa, è stata di natura socio-economica. Molte persone hanno perduto il loro lavoro, vari settori dell’economia sono andati in crisi, ed in particolare quelli della ristorazione, dello spettacolo e del turismo. In Italia si prevede un drammatico calo del PIL, ed anche quando la pandemia sarà terminata la ripresa dell’economia sarà lenta e difficile.

In questo contesto, vale la pena guardare l’analisi attenta portata avanti dal famoso economista progressista americano Robert Reich. Questa analisi è applicata alla situazione USA, ma offre spunti che potrebbero applicarsi alle società di tutto il mondo, compresa quella italiana.

La prima cosa che fa notare Reich è come la pandemia abbia accentuato ed approfondito la divisione tra le varie classi. Secondo lui stanno emergendo quattro nuove classi.

La prima l’ha chiamata “I Remoti”. Si riferisce, con questo termine, ai lavoratori professionisti, manageriali e tecnici – che rappresentano il 35% della forza lavorativa USA – i quali impiegano molte ore al computer, in video-conferenze, nella scannerizzazione di documenti elettronici, continuando a ricevere lo stesso salario. Molti di questi possono annoiarsi ed essere ansiosi, ma si trovano in una situazione positiva rispetto alle altre tre classi.

La seconda classe è quella che Reich chiama “Gli Essenziali”. Rappresentano il 30% dei lavoratori ed includono infermieri/e, badanti, persone che si occupano dei bambini, agricoltori, processori di cibo, camionisti, magazzinieri, farmacisti, lavoratori nel campo della sanità, ufficiali di polizia, pompieri e militari. Secondo Reich, a questi lavoratori possono mancare gli strumenti necessari per la protezione contro il virus. Inoltre non ricevono un contributo quando si ammalano. Potrebbero non godere di un’assicurazione per la salute. Non possono fruire di servizi di assistenza all’infanzia, specialmente vista la chiusura di asili e scuole. Infine la loro paga può essere a rischio.

La terza classe viene chiamata quella de “I Non Pagati”. Si tratta di una classe più vasta rispetto ai disoccupati – che negli USA potrebbero a breve arrivare al 25%, la stessa cifra relativa alla Grande Depressione degli anni ’30. Alcuni di questi sono stati congedati senza paga o hanno già usato i soldi ricevuti dopo il congedo. Finora in questa crisi 43% degli adulti segnalano che loro stessi o qualcuno nella loro famiglia hanno perso il lavoro.

Si stima poi che 9,2 milioni di persone hanno perso l’assicurazione medica garantita dal loro datore di lavoro. I Non Pagati hanno bisogno di denaro per nutrire le loro famiglie e per pagare l’affitto. Meno della metà di questo gruppo hanno abbastanza risparmi per andare avanti nei prossimi tre mesi. Finora il governo non li ha aiutati. Gli assegni inviati dal Ministero del Tesoro sono pochissimi. Dei benefici extra potrebbero essere utili, ma finora gli uffici che si occupano di disoccupazione sono così carichi di richieste che non riescono a spedire denaro. I prestiti concessi agli imprenditori sono finora andati ad aiutare i grossi business, con i giusti contatti, e le banche incassano grossi interessi. La disperazione che risulta da tutto ciò spinge a chiedere una riapertura dell’economia. Di fronte alla scelta tra il rischiare la propria salute e mettere cibo sulla tavola, molti opterebbero per la prima.

La quarta ed ultima classe secondo Reich è quella de “I Dimenticati”. Tale gruppo include tutti quelli per i quali mantenere le distanze con gli altri è quasi impossibile, perché sono ammassati in posti affollati che la maggior parte della gente non vede: prigioni, luoghi dove vengono tenuti gli immigrati senza documentazione, campi per lavoratori della terra migranti, riserve dei Nativi Americani, posti di accoglienza per i senza casa e case di riposo per anziani.

Per esempio, mentre la maggior parte degli abitanti di New York si rifugia in casa, più di 17.000 uomini e donne, molti già in un cattivo stato di salute, stanno dormendo in circa 100 rifugi per adulti single. Chiaramente tutti i posti del genere potrebbero divenire zone di diffusione del virus. Questa gente ha bisogno di difese sanitarie, di adeguato distanziamento sociale, di tamponi per il virus e di isolamento da quelli che l’hanno contratto. Pochi possono godere di tutto questo.

Bisogna aggiungere che secondo i dati raccolti il 33% di quelli morti a causa del Covid-19 sono afro-americani, pur rappresentando questi il 14% della popolazione nelle aree sotto studio. La Nazione dei Navajo ha perso più persone a causa del coronavirus che 13 stati messi assieme. Inoltre 10 delle maggiori fonti d’infezione negli USA sono state le prigioni.

Gli ultimi tre gruppi non ottengono ciò di cui hanno bisogno perché non hanno lobbisti e comitati di azione politica che li sostengono a Washington e nelle capitali dei vari stati.

Secondo Reich I Remoti dovrebbero essere preoccupati vista la divisione di classe che il Covid-19 ha provocato. Se gli Essenziali non sono sufficientemente protetti, i Non Pagati sono costretti a tornare al lavoro prima di quando sarà sicuro, e se i Dimenticati rimangono tali, nessuno è al sicuro. Quindi il Covid-19 continuerà a diffondere malattia e morte per mesi, se non per anni.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#coronavirus#pandemia

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.


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