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La politica bellica USA in contrasto con quella cinese

Postato il Aprile 28, 2020 Attilio De Alberi 0

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Recentemente l’ex presidente americano Jimmy Carter ha ricevuto una telefonata da Donald Trump che ha espresso la sua preoccupazione per la crescita del potere cinese nel mondo in rapporto a quello delle altre super potenze. Dopo aver ricevuto questa telefonata Carter ne ha parlato nel corso della sua regolare “lezione” domenicale presso la Marathana Baptist Church a Plains, nello stato della Georgia, la cittadina in cui vive.

Carter ha riferito che Trump era preoccupato perché la Cina sta superando come potenza gli Stati Uniti, ed ha ammesso che il presidente ha ragione ad esserne preoccupato. Ha raccontato alla congregazione che Trump teme la crescente forza economica della Cina. Secondo certi modelli di indagine la Cina sarebbe destinata a superare gli USA come la più forte economia mondiale entro il 2030, e molti esperti hanno detto che stanno vivendo in quello che è stato definito “il secolo cinese”.

Carter ha poi dichiarato che non è in realtà impaurito da questa nuova fase, senza in realtà sapere perché, ma anche aggiunto che non è critico di Trump, provocando le risate del pubblico a cui parlava.

Carter, che, non dimentichiamo, aveva normalizzato le relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino nel 1979, ha suggerito che questa impetuosa crescita della Cina è stata facilitata da sensibili investimenti ed aiutata da una politica essenzialmente pacifica. Ha specificatamente chiesto. “Dal 1979 sapete quante volte la Cina è stata in guerra con qualcuno?”, ed ha poi risposto: “Nessuna volta. Mentre noi siamo rimasti in guerra.” Gli USA, ha fatto notare, hanno goduto solo 16 anni di pace nella loro storia di 242 anni, rendendo il paese “la più bellicosa nazione nella storia del mondo”. Questo, ha specificato, è a causa della tendenza americana di forzare altre nazioni “ad adottare i nostri principi americani.”

In Cina, intanto, i benefici economici della pace sono stati chiaramente visibili. Carter ha chiesto: “Quante miglia di ferrovie ad alta velocità abbiamo in questo paese?”. Mentre la Cina ha intorno a 18.000 miglia di ferrovie ad alta velocità, gli USA hanno sprecato 3 trilioni in spese militari. Carter ha aggiunto: “E’ molto più di quanto voi possiate immaginarvi. La Cina non ha speso un singolo centesimo nella guerra, ed ecco perché è più avanti di noi. In quasi ogni modo.”

Carter ha quindi specificato alla congregazione: “Penso che la differenza consista in questo: se si prendono 3 trilioni di dollari per investirli nelle infrastrutture americane ci sarebbe probabilmente un avanzo di 2 trilioni. Avremmo ferrovie ad alta velocità. Avremmo ponti che non crollano, avremmo strade che vengono mantenute in modo appropriato. Il nostro sistema educativo sarebbe buono come quello, per esempio, della Corea del Sud e di Hong Kong.

Chiaramente l’amministrazione Trump rimane impantanata in una costosa guerra commerciale con la Cina, sebbene il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin ha recentemente detto a dei giornalisti che la fine di questo potrebbe non essere lontana, dichiarando: “Penso che speriamo di avvicinarci al round finale di questioni conclusive”.

Al tempo stesso bisogna notare che alcune tensioni militari rimangono in merito alle rivendicazioni territoriali cinesi nel Mar Cinese del Sud ed alla continua insistenza che la nazione isola indipendente di Taiwan alla fine ritornerà sotto il controllo di Pechino. Comunque questo è praticamente poca roba in contrasto, per fare esempi recenti, al coinvolgimento americano in Vietnam, in Iraq ed in Afghanistan. Senza poi dimenticare la passione di Trump di investire in spese di tipo militare

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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