Uno dei dati più scandalosi è che in un mondo caratterizzato da gravi differenze sociali, da enormi speculazioni finanziarie, dalla crisi climatica ed ora drammaticamente colpito dalla pandemia del Corona Virus la vendite di armi è aumentata. Nel periodo 2015-2019 è cresciuta del ben 5,5% rispetto agli anni 2010-2014. Le spese militari nel mondo sono pari al 2,2% del PIL mondiale, il che significa 230 dollari per ogni abitante della Terra.
Questi dati provengono dal SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute – Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma), un istituto indipendente creato nel 1966 grazie ad un’iniziativa del Parlamento svedese allo scopo di commemorare i 150 anni di pace nel paese. Questo istituto è specializzato nella ricerca sui conflitti, le armi ed il loro controllo ed il disarmo. Inizialmente è stato caratterizzato dall’attività di Alva Myrdal, scrittrice e diplomatica, che ottenne il Premio Nobel per la Pace nel 1982, e da quella di suo marito Gunnar Myrdal, economista Premio della Banca di Svezia nel 1974.
Vale la pena conoscere la classifica dei paesi esportatori di armi. Il primo rimangono gli USA che si assicura il 36% del mercato. Segue la Russia con il 21%, anche se in calo al 18%. Al terzo posto si pone la Francia, anche se distanziata rispetto ai primi due con il 7,9%. Seguono poi la Germania con il 5,8% e la Cina con il 5,5%. Notare anche che gli USA sono il primo paese al modo per spese militari, che nel 2017 ammontavano a 630 miliardi di dollari, equivalenti ad un terzo del totale mondiale.
Per il periodo 2015-2019 la maggior parte degli acquisti di armi è stata fatta in Medio Oriente, con il 35% dell’acquisto a livello mondiale, con un aumento di addirittura il 61% negli ultimi cinque anni. Il principale importatore è l’Arabia Saudita, che è anche il primo al mondo, con un aumento di acquisti del 130% in 5 anni e che ha superato in questo settore l’India, ora al secondo posto. Questo è chiaramente dovuto alla guerra in Yemen che, come ben sappiamo, non è affatto cessata.
Se da un lato la Germania ha smesso di esportare armi in Arabia Saudita dopo l’assassinio del giornalista Jamal Khassogi nell’ottobre del 2018, la Gran Bretagna, nonostante la dichiarata preoccupazione per la guerra in Yemen, ha aumentato l’esportazione di armi in Arabia Saudita, principalmente missili e blindati, fornendo al paese il 13% delle sue importazioni. Segue la Francia con un’importazione del 4,3%, principalmente di blindati. In ogni caso il maggiore fornitore di armi alla monarchia saudita rimangono gli USA con una percentuale del 73%.
Dopo l’India il terzo maggiore importatore di armi al mondo è ora l’Egitto (5,8% dell’intero mercato) che acquista in primo luogo dalla Francia, ma anche da altri paesi dai quali compra fregate. Queste vengono acquistate in Italia tramite la Fincantieri ed in Germania tramite il Thyssen Group Marine System.
Il quarto maggiore importatore è l’Australia, seguita al quinto posto dalla Cina, che però, come abbiamo precisato, è anche una grande esportatrice di armi, appunto la quinta al mondo.
La Francia giustifica l’esportazione di armi perché dice che questa assicura la sua “indipendenza militare”. Questa è l’argomentazione di Hervé Guillou, CEO di Naval Group (che vende sottomarini a Brasile ed India e fregate ad Egitto, Malesia ed Emirati), il quale afferma ciò: “Nessun paese europeo è in grado di mantenere la competitività industriale nel campo della difesa basandosi solo sul mercato interno”. Quindi deve esportare per assicurare la “difesa” del proprio paese. Notare che se mettiamo assieme Naval Group e compagnie come Airbus, Safran e Thales, l’industria militare francese dà lavoro a 200mila persone.
La Francia ha un altro buon cliente in Medio Oriente, ossia il Qatar che compra da Parigi il 14% delle sue armi. Questo paese ha ordinato infatti 36 Rafale, caccia prodotti da Dassault Aviation che ha come principali mercati esteri l’Egitto e l’India
I dati delle importazioni di India e Pakistan sono diminuiti sensibilmente e rispettivamente del -32% e del -39%. Ma dietro a questo non c’è una forma di “svolta pacifista”, bensì la decisione di produrre armi in casa propria.
In ogni caso le prime dieci compagnie che esportano armi rimangono statunitensi, raggiungendo il 52% del totale mondiale.
Vale la pena ripetere che rispetto alle gravi problematiche del pianeta Terra, questo scenario non è affatto incoraggiante.