L’avvento del nuovo governo giallo-rosso ha evitato la possibilità di nuove elezioni e quindi il potenziale insediarsi di una coalizione governativa di destra a trazione leghista, almeno in base agli attuali sondaggi sulle preferenze elettorali del popolo italiano. Al tempo stesso, una delle caratteristiche di questo nuovo governo, almeno finora, è stata una certa litigiosità tra gli alleati di governo, con l’aggiunta di una nuova complicazione: la nascita del partito Italia Viva creato da Matteo Renzi. La domanda che spesso ci si pone è fino a quando la coalizione tra il Partito Democratico ed il Movimento Cinque Stelle potrà durare.
Ma c’è stata anche una novità piuttosto importante: la nascita del Movimento delle Sardine, che si pone per scelta ragionata al di fuori della politica partitica, ha portato una ventata di ossigeno democratico e popolare nelle nostre piazze.
Discute di tutto questo con YOUng Nadia Urbinati, titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York, e visiting professor presso diverse prestigiose istituzioni (in Italia presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e la Bocconi di Milano), e recente autrice di “Io, il popolo – Come il populismo trasforma la democrazia” (edizioni Il Mulino).
L’INTERVISTA
Qual è la tua percezione di questo nuovo governo piuttosto litigioso?
Non è una novità. Anche quello precedente era litigioso, ed i governi di coalizione che abbiamo avuto nei nostri settant’anni di democrazia erano litigiosi. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del governo democratico retto sul parlamento e un sistema pluripartitico che consente, secondo la Costituzione, di formare diverse maggioranze di governo. E’ chiaro che sarebbe preferibile se non fosse litigioso, però è anche vero che la litigiosità è in proporzione alla chiassosità che piace all’audience.
In che senso?
I media – privati e commerciali, e quindi molto sensibili al gradimento del pubblico – contribuiscono a esaltare la litigiosità quando c’è, ed anche a crearla artificialmente quando non ce n’è a sufficienza. C’è un circolo vizioso tra governo e sistema di audience, per cui conviene a quest’ultimo aizzare politici e partiti. L’armonia non farebbe notizia.
Comunque è meglio un governo giallo-rosso che un governo giallo-verde…
Decisamente sì. Io sono una laica della politica e non sono mossa dal desiderio di trovare “un’anima” nei governi, come si legge anche in maniera piuttosto noiosa nei commenti più o meno di sinistra. I governi parlamentari non hanno anima e devono fare un lavoro anche un po’ noioso, idealmente senza tanto clamore, a differenza dei governi populisti e soprattutto fascisti. Dobbiamo prendere le cose come sono. Pragmaticamente un governo utile può produrre un disastro se questa sua utilità non viene coniugata al meglio, ovvero se non produce qualcosa di positivo, oltre la visibile litigiosità. Questo governo è come un’arma a doppio taglio: può esser un’opportunità per deprimere la popolarità della destra, ossia il salvinismo e il melonismo, oppure può diventare, a causa della sua incapacità, ignavia e inconcludenza, uno strumento di facilitazione del successo della destra. Questo è il rischio vero. E la stampa purtroppo sembra a volte contribuire a rendere questo rischio reale.
E’ stato interessante e preoccupante che tre membri del parlamento pentastellati siano passati alla Lega.
Certo, ma non è una novità. Noi sapevamo che il Movimento Cinque Stelle, in quanto movimento “gentista” trasversale contenesse destra e sinistra nel momento in cui rivendicava di stare oltre la destra e la sinistra. Non c’è di che stupirsi. Invece la cosa preoccupante è che ci sia quest’abitudine generalizzata a saltare il fosso all’interno del parlamento. Nessuno dice niente di Italia Viva, che si è portata via un pezzo di PD e che sta facendo una continua campagna acquisti di deputati e senatori, tradendo così il voto popolare, dato che quando si va a votare si vota per un partito, e facendone uno nuovo in parlamento non si va a chiedere agli elettori se questi sono d’accordo con quel salto. Quindi, il problema non è purtroppo circoscritto al M5S.
Ma la mossa di Renzi non è forse, dal punto di vista psicologico, una di carattere narcisistico?
Non sono una psicologa e non riesco ad analizzare psicologicamente i politici. Non so quale sia l’obiettivo di Renzi, al di là della sua evidente volontà di stare al potere il più a lungo possibile; un fatto consueto in chi sceglie di fare politica di professione, di vivere di politica. Il fatto che ci deve interessare sono invece le scelte per nulla chiare e lineari di Renzi. Da un lato sembra voler espandere il centro, e quindi si rivolge a Forza Italia, e dall’altro lato fa anche l’occhiolino a Salvini, con la possibilità di altre alleanze di governo, ovvero contro il Pd. Sarà interessante vedere come si comporterà in parlamento Italia Viva quando si tratterà di decidere se togliere l’immunità a Salvini. Mi pare che ci siano già dei tentativi dei renziani di aiutare Salvini.
Ma per tornare all’attuale governo, da un lato abbiamo un Partito Democratico che in qualche maniera, anche grazie a Zingaretti, si è messo in una posizione più chiaramente di sinistra, e dall’altro un M5S che proprio grazie alla sua trasversalità populista rifiuta una distinzione tra destra e sinistra. Quindi è un’alleanza un po’ strana o no?
Lo sapevamo che era strana fin dall’inizio. Non dobbiamo nasconderci dietro un dito. Tuttavia dobbiamo vedere gli aspetti positivi e non solo quelli negativi. Per esempio, il tema della sanità, che molto importante, viene trattato molto bene, come viene trattato molto bene il tema dei confini, rispetto a quella caricatura del governo-poliziotto che voleva imporre Salvini, con una modalità un po’ carnevalesca. Ci sono delle cose positive in questo governo. Aggiungiamo la capacità del ministro Gualtieri di gestire i rapporti con l’Europa. Quindi è chiaramente un governo ben diverso rispetto al precedente, nonostante la continua presenza del M5S.
Ma si può dire che in questo momento storico l’unico governo veramente di sinistra in Europa sia quello del Portogallo?
Sì, probabilmente lo è, anche se questo paese ha una storia diversa, ha una struttura economico-sociale diversa. Non si può generalizzare. Le analisi politiche vanno sempre contestualizzate.
Per te cosa vuol dire la sinistra?
Per me la sinistra è associata alla difesa della dignità sociale di cittadinanza. E questo è un problema serissimo. Noi abbiamo in Italia un problema enorme: l’evasione fiscale vergognosa che toglie risorse allo stato, ovvero a noi tutti, ai nostri servizi, alla ricerca, all’università, agli stimoli per l’occupazione, alla sistemazione delle infrastrutture e dei sistemi viari. Si parla di un centinaio e più di miliardi annui. Questi sono fatti gravissimi come ha sentito il bisogno di dire anche il Presidente Mattarella… E tutti sono lì, invece, da Renzi a Salvini ai pentastellati a corteggiare i cittadini evasori (proprio perché sono tanti) distinguendo tra grandi e piccoli evasori o opponendosi all’uso ordinario delle carte di credito, anche per acquisti piccoli, come avviene in tutti i paesi europei.
Cosa dire del Movimento delle Sardine?
Si tratta di un movimento molto interessante: nato da una stanchezza insopportabile di una cittadinanza costretta da anni al silenzio da leader così onnipresenti nella sfera pubblica, così ingombranti e rozzi e logorroici da togliere spazio ad ogni parola od opinione che non fosse la loro. Quindi è un bell’esempio di cittadinanza attiva, quasi un volere andare alle radici, all’ABC delle regole democratiche: per ricordare che non è possibile usare la rappresentanza in una maniera asfittica ed asfissiante come viene fatto oggi. Si tratta quindi di una grande opportunità; e di un segno di ammirevole maturità democratica del nostro paese. Settant’anni di democrazia si vedono, con cittadini che sentono di dover dare una spallata alle pretese populistiche.
Cosa diventerà questo movimento?
Questo non lo so e nessuno lo sa. Certo è che i suoi promotori sono consapevoli di aver messo in atto un movimento, consapevoli di non essere e di non voler diventare un partito; hanno chiara la divisione del lavoro di cui la politica rappresentativa deve avvalersi: c’è chi attiva il giudizio politico e c’è chi prende decisioni. Il loro è un richiamo a chi fa un lavoro di rappresentanza politica nelle istituzioni, che faccia quel lavoro e non ne faccia un altro. Le Sardine non vogliono fare il lavoro dei politici, ma chiedono anche che nemmeno i politici facciano tutto il lavoro dei cittadini.
Ossia?
A me sembra che le Sardine abbiano messo una sveglia al sovrano dormiente, che è il sovrano democratico, in quel suo potere cruciale che consiste nella voce, nel controllo, nella sorveglianza di coloro che in suo nome governano. La non identificazione tra popolo e suoi rappresentanti è per questo importante. Da una certa distanza si vedono meglio le cose; se invece ci si identifica per fede con un leader non si vede nulla: ci si affida.
Comunque, tendenzialmente, il Movimento delle Sardine rimane un movimento di sinistra.
Non lo so, certamente è un movimento democratico che ha un forte senso della Costituzione, dell’anti-fascismo, e dei principi della democrazia rappresentativa. Ciò è per me fondamentale perché in questi anni si sono erose queste basilari verità. Le Sardine non fanno un discorso populista ed anti-establishment, e quindi riportano il pendolo della democrazia dove deve stare: tenere un rapporto dialettico le istituzioni e l’opinione della cittadinanza, lo stato e quello che sta fuori dello stato; distinzione, per meglio giudicare e decidere, rifiutando discorsi reboanti contro l’establishment.
Questo movimento può stimolare una riorganizzazione dei partiti?
In realtà quello che le Sardine mettono in evidenza è che la debolezza, il fallimento della rappresentanza politica è dettato da una pratica plebiscitaria che ogni leader ha ormai adottato da anni, a destra come a sinistra. Pongono quindi il problema serio di dare ai partiti uno spazio ed un’organizzazione che non hanno più. Non partiti liquidi, fatti su misura per dare spazio a leader populisti e plebiscitari. Quindi le Sardine offrono l’opportunità, in particolare al PD, di ridisegnare sé stesso come un partito che abbia la capacità dell’antagonismo, e per questo si armi di una visione del paese e una visione dell’Europa, non di un leader solo al comando che tutto fa e provvede. Si tratta in pratica di applicare l’articolo 3 e l’articolo 49 della Costituzione.
Cosa dire della crescita esponenziale, almeno nei sondaggi, di Fratelli d’Italia, che avrebbe una percentuale doppia rispetto a Forza Italia?
Questo è senz’altro un altro tema importante; ma le Sardine hanno messo in evidenza anche il bisogno di un antifascismo che sia più consapevole, meno retorico e rituale. Nel nostro paese non abbiamo mai fatto i conti con il passato fascista come hanno fatto in Germania, dove c’è un attacco feroce della destra estrema, ma anche un contrattacco altrettanto duro da parte delle istituzioni e dei partiti costituzionali. Noi purtroppo soffriamo di una mollezza nella considerazione del fascismo che viene dal pensare che questo non sia stato in fondo così pessimo; questa presunta mediocrità del male attribuita al regime di Mussolini ha come impedito una coerente defascistizzazione della nostra cultura politica. Questo è un altro vero problema, anche frutto dell’analfabetizzazione politica progressiva che il declino dei partiti organizzati ha lasciato sul terreno: abbiamo molti, troppi, cittadini segnati da un’ignoranza civile e costituzionale paurosa, facili da conquistare, da manipolare.
Attraverso la demagogia?
Sì, attraverso parole semplicistiche, capaci di aizzare emozioni invece che pensieri. E per reagire contro questo degrado di ragionevolezza le parole non sono sufficienti: occorre fare delle politiche sociali adeguate, perché la povertà e il degrado sociale sono terreno di coltura del fascismo. Diciamo così: il ponte Morandi crollato è simbolo di altri tipi di ponti crollati, ponti politici e civici. Occorre rimettersi a ricostruire, a fare un lavoro di risistemazione delle nostre infrastrutture politiche e civiche. Le Sardine ci dicono questo: spetta a noi farlo, come anche ai partiti. Non dobbiamo accettare quella del fascismo come una condizione fatale di successo. Il nemico è anche in questa assuefazione al vento di destra, con la sbagliatissima convinzione che non sia, dopotutto, un vento pericoloso. E invece lo è.