Secondo un recente studio portato avanti da un gruppo di ricercatori presso l’Università di Oxford sta crescendo il numero di paesi nel mondo nei quali vengono portate avanti campagne di manipolazione coordinate tramite i social media. Se nel 2017 erano 28, poi nel 2018 erano 48, ora nel 2018 si è arrivati a ben 70.
Per capire meglio di cosa si tratta bisogna tener conto che in tutto questo sono coinvolti partiti politici o agenzie governative che utilizzano i social media per plasmare le attitudini dei cittadini. In questo scenario sono anche coinvolti regimi autoritari che reprimono i diritti umani e che cercano di soffocare le opinioni dissenzienti. Esiste un trend chiaro ed innegabile: le campagne di disinformazione, volte ad ingannare deliberatamente le persone attraverso informazioni false, sembrano destinate a rimanere.
A quanto pare Facebook è la piattaforma più scelta in queste operazioni. Non dimentichiamo che due miliardi di persone a livello mondiale la utilizzano e che è oggetto di un crescente scrutinio.
Sette stati, secondo lo studio dell’Università di Oxford, stanno usando la disinformazione per influenzare altri paesi. Ecco la lista: Cina, India, Iran, Pakistan, Russia, Arabia Saudita e Venezuela. In ogni caso si sottolinea che la Cina è il maggiore attore in questo “ordine globale di disinformazione”, usando la terminologia dei ricercatori. Fino alle proteste del 2019 a Hong Kong, la propaganda cinese era per lo più confinata a piattaforme domestiche come Weibo e WeChat. Ora vengono usate in maniera aggressiva altre piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube. Secondo i ricercatori di Oxford questo dovrebbe preoccupare le democrazie.