Dei buoni genitori capiscono bene che la vita per i loro bambini potrebbe o dovrebbe essere eccitante, ma solo fino ad un certo punto. Dopo che degli amici sono venuti ad una festa di compleanno coi loro regali e si sono messi a fare facce buffe, dopo che si è mangiata la torta e si sono fatte delle coccole e magari si sono cantate delle canzoni si giunge ad un limite. Il bambino oggetto di celebrazione comincia ad apparire un po’ austero e forse comincia anche a piangere. I genitori capiscono che non vi è nulla di sbagliato in questo, nonostante il pianto del proprio figlio. Il segnale è che il bambino è pronto per un pisolino. In pratica, il cervello ha bisogno di processare, di digerire, di suddividere l’ammasso di esperienze che sono state ingerite e quindi vengono tirate le tende, il bambino viene messo su un soffice lettino insieme ai suoi giocattoli ed allora scende la calma. Tutti sanno che la sua vita sarà di nuovo molto più gestibile dopo un’ora.
Secondo la visione espressa da The School of Life, il centro inglese di ricerche filosofiche e psicologiche, noi adulti non adottiamo questo tipo di cautela con noi stessi.
Magari programmiamo una settimana durante la quale vediamo gli amici ogni sera, organizziamo 12 meeting (tre dei quali richiedono molta preparazione), ce ne andiamo velocemente all’estero il mercoledì, ci guardiamo tre film, leggiamo 14 giornali, cambiamo le lenzuola sei volte, mangiamo una cena pesante cinque volte dopo le otto di sera e ci beviamo 30 caffè. Ma poi ci lamentiamo perché le nostre vite non sono così calme come potrebbero essere e perché ci sentiamo vicini ad un collasso mentale.
Questo è un modo di prendere sul serio quanta della nostra infanzia è rimasta nel nostro essere adulto, e quindi di quanto dobbiamo impegnarci per mantenere le cose semplici e molto, molto calme. Quella che viene registrata come ansietà è, tipicamente, non un fenomeno bizzarro. Si tratta in realtà la logica supplica della nostra mente di non venire sovreccitata continuamente ed in maniera estenuante.
Ecco quindi una serie di cose che possiamo fare per semplificare le nostre vite.
La prima potrebbe essere vedere meno gente e ridurre il numero di impegni. Teoricamente è un privilegio avere molta gente da vedere ed avere molte cose da fare. Ma può anche essere, dal punto di vista psicologico, spossante e quindi, alla fin fine piuttosto pericoloso. Vale la pena a questo punto citare il filosofo Friedrich Nietzsche: “Oggi, come sempre, gli uomini si dividono in due gruppi: gli schiavi e gli uomini liberi. Chiunque non dedica due terzi della giornata a sé stesso è uno schiavo – sia egli uno statista, un uomo d’affari, un funzionario o un accademico.” Dobbiamo riconoscere che quello che ci è fisicamente possibile ottenere nel corso di una giornata non è psicologicamente saggio o plausibile. E’ magari possibile fare una scappata in una capitale straniera e portare avanti una compagnia di affari, oltre a gestire una famiglia, ma al tempo stesso non dovremmo essere sorpresi se questo tipo di routine contribuisce fondamentalmente a procurarci un esaurimento nervoso.
Il secondo aspetto della nostra vita da tenere in considerazione è il sonno. Abbiamo bisogno di almeno sette ore di sonno, o, se non riusciamo a raggiungere questo numero dobbiamo almeno riconoscere quanto siamo deprivati in modo da non aggravare i nostri dolori cercandone un’astrusa spiegazione di essi. Non dobbiamo necessariamente divorziare, riqualificarci per una professione totalmente nuova o spostarci in un paese straniero: abbiamo solo bisogno di ottenere più riposo.
Il terzo aspetto è quello dei media. Quello che assorbiamo in continuazione attraverso i nostri cellulari è forse il singolo maggiore contributo alla nostra mancanza di salute mentale. Nel corso di buona parte della storia era inconcepibile che ci potessero essere così tante notizie: le informazioni provenienti da circoli politici o da paesi stranieri erano rare, preziose e costose. Era inconcepibile che uno potesse abbuffarsi con queste come se fossero tavolette di cioccolato. Ma a partire dalla metà del ventesimo secolo le notizie si sono modificate, e, nel processo, sono diventate un maggiore rischio alla nostra sopravvivenza mentale – anche se ciò non è molto noto. Ogni minuto della nostra giornata ci offre l’opzione di riempire le nostre menti con le manie, le imprese, i disastri, le furie, i capovolgimenti, le ambizioni, i trionfi, la follia e i cataclismi di persone a noi estranee sul nostro arretrato pianeta. Sempre, le organizzazioni che diffondono notizie parlano del nostro bisogno di sapere e di sapere immediatamente. Ma quello che hanno lasciato da parte è il nostro bisogno, forse anche maggiore, di non sapere: perché non possiamo cambiare nulla, perché le storie che giungono alla nostra attenzione sono troppo violente, demoralizzanti e tristi, perché le nostre menti sono fragili, perché abbiamo responsabilità più vicine alla nostra esistenza, perché dobbiamo portare avanti le nostre vite invece di venire devastati da storie relative alle vite di altre persone che sono lontane ed irrilevanti per noi come possono essere quelle dei sudditi del faraone egiziano Sneferu nel 2613 A.C.
Il quarto aspetto è il pensare. L’insonnia e l’ansietà sono la vendetta della mente per tutti i pensieri che rifiutiamo di aver consciamente preso in considerazione. Allo scopo di trovare riposo dobbiamo ritagliare spazi temporali in cui non abbiamo altro da fare che starcene stesi a letto, magari con una penna ed un taccuino, a pensare e basta. Ci sono tre soggetti da prendere in considerazione: Cosa ci rende ansiosi? Cosa ci causa dolore e come? Cosa ci eccita? Abbiamo bisogno di setacciare i contenuti caotici delle nostre menti. Ogni ora di vita richiede almeno dieci minuti di setacciamento.
Il quinto aspetto è legato alle aspettative. Naturalmente potrebbe essere piacevole essere straordinari, famosi, vincitori, ma forse una conquista più grande può essere sani di mente e gentili. Possiamo scegliere di non conquistare il mondo a favore di una vita più lunga e più serena. Questo non significa fuggire da una sfida, ma semplicemente di spostare il nostro senso di quella che potrebbe essere la vera sfida, e, cosa più importante, di capire dove le vere ricompense possono giacere.
Una vita tranquilla non è necessariamente fatta di rassegnazione o fuga, ma può costituire un riconoscimento supremamente saggio che le cose veramente soddisfacenti sono a disposizione lontano dai riflettori e dalle grandi città, basandosi su un salario modesto ed il più lontano possibile dalla maniacale competizione senza sonno per “vincere” la corsa per uno status professionale. Come si sta scoprendo, l’eccitazione può essere divertente per un certo periodo di tempo, ma uccide anche.
La semplicità è la vera saggezza. Abbiamo bisogno di più pisolini.