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Le compagnie petrolifere convincono gli stati a considerare le proteste anti-oleodotti un reato

Postato il Settembre 4, 2019 Attilio De Alberi 0

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Non molto tempo fa un gruppo agguerrito di protestatori aveva agito contro la costruzione di un oleodotto nel Nord Dakota. I membri di questo gruppo si erano addirittura incatenati al materiale di costruzione ed avevano tirato su delle tende lungo il percorso. Ma ora le compagnie petrolifere e chimiche hanno trovato un modo per impedire che un’iniziativa del genere si ripeta, semplicemente facendo di essa un crimine.

Le compagnie in questione, tra le quali Koch Industries Inc., Marathon Petroleum Corp. ed Energy Transfer Partners LP, il cui progetto noto come Dakota Access era stato attaccato tre anni fa, hanno fatto lobbying con le legislature statali USA, allo scopo di rendere effettivamente fuorilegge qualsiasi dimostrazione nei pressi di oleodotti, impianti chimici ed altre infrastrutture. Finora nove stati hanno aderito a questa iniziativa, in alcuni casi classificando le attività di protesta come un reato. Altri stati stanno considerando misure simili.

Questa attività lobbistica ha destato non poche preoccupazioni sull’attività corporativa nel tentativo di mettere a tacere la libertà di espressione tout court.

“I raffinatori di olio, specialmente le Koch Industries e Marathon Petroleum, hanno orchestrato questa iniqua alleanza di compagnie petrolifere, del gas ed elettriche per schiacciare la resistenza contro le industrie inquinanti,” ha dichiarato Connor Gibson, un investigatore che lavora per Greenpeace e che ha monitorato tali sforzi.

I rappresentanti dell’industria oggetto delle dimostrazioni descrivono i loro sforzi come una contromisura necessaria per opporsi alle tattiche sempre più aggressive adottate dagli attivisti, compresa quella di riprendere in video gli scontri con la polizia per poi diffonderli sui social media.

“Non vi è nulla di più importante per le industrie dei carburanti e per quelle petrochimiche della sicurezza della nostra gente, delle nostre comunità e delle nostre strutture, ed una deliberata e pericolosa interferenza con un’infrastruttura critica mette a rischio quella sicurezza,” ha detto in una dichiarazione l’associazione American Fuel and Petrochemical Manufacturers (Produttori Americani nel campo dei Carburanti e della Petrolchimica, aggiungendo: “La nostra difesa ha lo scopo di proteggere la sicurezza pubblica e la proprietà privata, non di reprimere i diritti del Primo Emendamento, che non autorizzano una persona a distruggere la proprietà o a creare pericoli pubblici”.

Dei progetti di legge che criminalizzano lo sconfinamento nei pressi di oleodotti, di attrezzature per il trattamento del gas ed altre “infrastrutture critiche” designate sono passati quest’anno in Indiana, Nord Dakota, Sud Dakota, Tennessee and Texas, basandosi su misure simili previamente adottate in Oklahoma ed altri stati. I sostenitori di questo tipo di mosse legali stanno spingendo per mandare avanti simili leggi anti-protesta in Illinois, Ohio e Pennsylvania.

Queste nuove leggi statali variano, ma in generale creano una più seria categoria di sconfinamento o d’invasione della proprietà privata quando avvengono vicino ad un’infrastruttura energetica ed interferiscono con la costruzione di essa. Si parla di sentenze fino a cinque anni di carcere e di multe che possono arrivare a $10.000. In alcuni casi, questa legislatura può includere la punizione di attivisti che hanno ottenuto il permesso di sconfinamento da proprietari terrieri per montare proteste nei campi vicini ad infrastrutture energetiche critiche. Inoltre, alcuni stati hanno esteso le penalità contro organizzazioni che hanno “cospirato” nell’attività di protesta.

Queste iniziative statali sono una risposta ad un’ondata di attivismo da parte degli ambientalisti che si oppongono al petrolio, al gas ed al carbone, perché bruciare questi combustibili fossili genera emissioni di diossido di carbonio che causano il cambiamento climatico. Gli attivisti in questo campo si focalizzano nell’attaccare quelle infrastrutture necessarie a trasportare e processare tali combustibili fossili.

Le misure legislative hanno ottenuto impeto dopo le note proteste contro l’oleodotto Dakota Access della Energy Transfer Partners nel 2016 e nel 2017 che portarono ad un confronto con la polizia e a più di 700 arresti. Gli attivisti guidati dalla tribù Sioux di Standing Rock si erano accampati lungo l’oleodotto in Nord Dakota e a volte si erano incatenati all’equipaggiamento necessario per la costruzione. Ad un certo punto la polizia era intervenuta lanciando acqua, gas lacrimogeno e proiettili di gomma contro i dimostranti, come i video poi diffusi ampiamente sui social raffigurarono.

Dopo mesi di protesta, e dopo che il neo-presidente Trump aveva ribaltato il rifiuto del suo predecessore Obama nei confronti del progetto, Energy Transfer riuscì a completare l’oleodotto nel 2017.

Bisogna considerare che l’amministrazione Trump si sta muovendo contro i nemici degli oleodotti cercando d’indebolire il potere dei singoli stati nel tentativo di bloccare simili progetti energetici. Addirittura, sotto Trump, l’amministrazione federale addetta agli oleodotti ed alla sicurezza dei materiali pericolosi (federal Pipeline and Hazardous Materials Safety Administration) ha chiesto al Congresso di permettere sentenze di 20 anni di prigione contro chi “danneggia o distrugge” oleodotti.

Ma, come ha fatto notare Gibson di Greenpeace, le misure statali anti-protesta sono state spinte dall’industria, non da una rimostranza pubblica. “E’ l’industria del combustibile fossile che vuole mettere in prigione i suoi oppositori, non il cittadino medio che vota,” ha detto Gibson. “Non abbiamo mai visto dimostrazioni diffuse per fare della costruzione di oleodotti petrochimici una priorità nazionale. Questo fenomeno illustra il vasto problema che abbiamo con l’inappropriata influenza corporativa sulla politica americana, laddove le rivendicazioni di una ricca minoranza dettano i risultati per la maggioranza.”

Come ha fatto notare Pam Spees, avvocato presso il Center for Constitutional Rights (Centro per i Diritti Costituzionali) “Se la preoccupazione era quella di proteggere l’infrastruttura fisica, esistono già delle leggi vigenti che lo fanno”. Invece, queste nuove misure “hanno come chiaro obiettivo le proteste e le espressioni che sono chiaramente focalizzate sugli oleodotti e sull’opposizione agli oleodotti”.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#oleodotti Usa

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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