Le immagini dell’incendio che ha devastato la cattedrale di Notre-Dame hanno colpito la sensibilità di molte persone, a prescindere dall’appartenenza politica e religiosa. Certo, non c’è stata unanimità – ma quando si verifica? – nell’individuazione delle cause; e come spesso accade per eventi di tale portata ognuno vi ha visto anche la conferma delle proprie personali convinzioni. Eppure, questa chiesa ha involontariamente reso, almeno per un istante, tutti concordi: perché davanti alla televisione, o nei frenetici aggiornamenti dei quotidiani online, la speranza è stata una sola, collettiva e condivisa: apprendere al più presto che quelle fiamme erano state estinte. Anche quando l’incendio sembrava indomabile e già si prevedeva che non sarebbe rimasto nulla se non un cumulo di macerie fumanti, l’interno della cattedrale è stato salvato; e una comune sensazione di sollievo ha reso meno amaro questo evento. È proprio partendo da questa comune sensazione che vorrei proporre una riflessione di più ampio respiro.
Nell’ormai lontano 2001, il Consiglio europeo riunito a Laeken creava la Convenzione europea sul futuro dell’Europa: l’obiettivo di questo organo straordinario e provvisorio era di progettare delle soluzioni per risolvere i problemi delle istituzioni europee e di redigere un trattato per una Costituzione europea. Come noto, la stesura di tale Costituzione è stata particolarmente problematico e la bozza finale, firmata a Roma il 29 ottobre 2004 dagli Stati membri, non passò le forche caudine dei referendum di approvazione in Francia e nei Paesi Bassi. La Costituzione venne poi abbandonata e non è sbagliato individuare in questo fallimento l’inizio della crisi di progettualità, che perdura tuttora, dell’integrazione europea.
Vale la pena ricordare e sottolineare che una delle discussioni più accese verteva sul riconoscimento e sull’inserimento nella Costituzione europea delle “radici cristiane” dell’Europa. Non è possibile qui riassumere il vasto dibattito – anche accademico – che ne scaturì: in sostanza prevalse la volontà di epurare ogni riferimento alle radici giudaico-cristiane del continente, optando per formulazioni più vaghe. Da più parti si chiese, come ragionevole soluzione di compromesso, l’inserimento di tali riferimenti almeno nel preambolo: ma anche questa proposta venne bocciata. Nel preambolo si legge, solamente: “Ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, e dello Stato di diritto”. L’articolo 2, ancora, si presenta così: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compressi i diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Il problema, ancora attualissimo, non è tanto il riconoscimento di una società caratterizzata dal pluralismo, ma la negazione di radici comuni e di identità storiche nel nome di tale pluralismo. Cristiani cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani, buddhisti, atei: europei di fede diversa, e anche quelli che ne sono privi, hanno guardato bruciare Notre-Dame con il medesimo dispiacere e con la medesima speranza. Allo stesso tempo, non si può certo negare che Notre-Dame sia uno dei simboli della cristianità cattolica in Europa. Perché, dunque, non riprendere i fili di quel discorso abbandonato nel 2007? Non tanto nella riproposizione di un’inutile quanto utopistica Costituzione europea, bensì nel ricercare un rinnovato spirito di comunità sul quale edificare una nuova Unione europea.
La contrapposizione tra l’idea di un’Europa laica e una cristiana è semplicemente ridicola. Nessuno immagina un’Europa cristiana guidata da un Papa dotato di potere temporale. Al contrario, sarebbe salutare il riconoscimento dell’apporto del cristianesimo proprio dell’edificare un’Europa laica. Il cristianesimo è parte della storia continentale e ha introdotto, con efficacia decisamente maggiore rispetto all’Islam, una netta distinzione tra religione e sistemi politici. L’Europa che si è unità intorno a Notre-Dame è un’Europa che si è inconsapevolmente riscoperta cristiana ma si vergogna, quasi, di ammetterlo. Un’Europa cristiana a sua insaputa. Per colpa, forse, di una secolarizzazione e di una sistematica rimozione della memoria storica e della tradizione che nulla ha a che vedere con un’irrinunciabile laicità, ma è solo l’espressione più bassa di un dannoso laicismo.
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