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Appuntamenti amorosi: di cosa si dovrebbe parlare?

Postato il Marzo 17, 2019 Attilio De Alberi 0

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La più comune tendenza, quando incontriamo qualcuno in un appuntamento di tipo amoroso, è di parlare di un evento corrente o fare un po’ di gossip o raccontare qualcosa d’impressionante sul nostro lavoro. Ma se, in realtà, lo scopo di questo appuntamento è quello di cercare di stabilire una relazione duratura, allora bisognerebbe concentrarsi piuttosto nel tentativo di scoprire la parte più profonda della persona che ci sta di fronte.

Questo approccio, consigliato dal centro inglese The School of Life, specializzato nella psicologia e nella filosofia della nostra vita quotidiana, può inizialmente apparire strano ed intrusivo, quasi come se la persona che porta avanti questa forma d’indagine fosse una specie di psicoterapista. Ma dopo questa prima reazione, ci si rende conto che il nostro potenziale partner, in realtà, sta cercando di conoscere i dettagli della nostra anima, per avvicinarsi ad essa.

Ma, attenzione: anche chi fa le domande deve essere pronto a rispondere ad esse, e quindi aprire la propria anima. Altrimenti il processo diventa unidirezionale.

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Ecco quindi una serie di domande che potrebbero aiutarci, nel corso della conversazione, a portare avanti questa forma d’indagine.

La prima potrebbe essere: “Cosa ti ha fatto piangere recentemente?”. Questo è un modo per far capire che non siamo solo interessati a quello che va bene nella vita dell’altro, ma anche in quello che non funziona. E dopo aver ottenuto una risposta, potremmo anche noi stessi rivelare cosa ci ha fatto soffrire negli ultimi tempi della nostra esistenza.

La seconda domanda potrebbe essere: “Quali sono stati gli aspetti difficili della tua infanzia?”. La premessa fondamentale dietro questa domanda è che, quasi inevitabilmente, i nostri genitori ci hanno fatto soffrire in qualche maniera, anche se non intenzionalmente. E queste esperienze della nostra infanzia ci aiutano a capire perché siamo, ora, quello che siamo. Il segnale che comunichiamo è questo: vogliamo capire cosa ha attraversato la persona con cui stiamo parlando durante la sua infanzia per comprendere chi è ora. Tutto questo dovrebbe essere accompagnato da un atteggiamento di compassione per le storture presenti nel nostro potenziale partner, come, dopo tutto, anche in noi stessi.

Passiamo quindi alla terza domanda: “Di cosa ti rammarichi?”. La premessa è che il nostro percorso esistenziale è stata definito dalle nostre scelte, dalle nostre mancanze, dai nostri grandi o piccoli fallimenti. Permettendo al nostro potenziale partner di aprirsi su questo aspetto doloroso delle proprie vite, e, di nuovo, con un sano tocco di compassione, gli dobbiamo far capire al tempo stesso che tale aspetto fa semplicemente parte della condizione umana. Un regalo più grande rispetto all’idea di portarlo in un ristorante di lusso o in un bar ultra-figo.

Quarta domanda: “A chi pensi di dover chiedere scusa?”. Questo è un modo per concentrarsi sul senso di colpa che magari abbiamo accumulato nella nostra vita. Quindi si tratta di una forma di confessione che però può essere accompagnata anche da una forma di redenzione. E noi stessi, come nelle domande precedenti, possiamo rivelare questo aspetto nascosto della nostra vita.

La quinta domanda potrebbe essere: ”Per cosa vorresti essere perdonato dagli altri?”. Se chiedessimo direttamente: “Cosa c’è di sbagliato in te?” l’altra persona potrebbe anche offendersi. Invece questo approccio indiretto può funzionare meglio. E, di nuovo, anche noi dovremmo rispondere alla stessa domanda dopo che l’altra persona si è aperta.

La sesta domanda sarebbe: “Che cosa le tue ex non hanno capito di te?”. Comprendere cos’è andato male nelle relazioni passate può essere una chiave cruciale per avere successo in quelle future. Grazie a questa domanda possiamo capire se l’altra persona ha imparato qualcosa dal passato o se, invece, si lamenta e basta.

La settima domanda sarebbe: “Idealmente, cosa vorresti dire a tua madre o a tuo padre?”. L’idea è che c’è molto dolore sepolto nelle relazioni con in nostri genitori, ai quali dobbiamo tanto, ma che magari amiamo ed odiamo al tempo stesso. E’ quindi importante, nel nostro processo di evoluzione, ed in particolare, nello sviluppo delle nostre potenziali relazioni amorose, far uscire allo scoperto questi aspetti essenziali del nostro passato.

Ed ecco l’ultima domanda: “In qual modo ti senti un po’ una specie d’impostore nel tuo lavoro?”. La risposta a ciò è un modo di ammettere che, ci piaccia o no, non siamo necessariamente a quel livello professionale che ci si aspetta da noi. Al tempo stesso, ammettendo i nostri limiti, troviamo una forma di rifugio rispetto al senso d’incompetenza che forse cerchiamo di nascondere al mondo.

[sostieni]

Dopo che abbiamo fatto queste tipo di domande e, idealmente, dopo che l’altra persona ha risposto – e dopo che noi stessi abbiamo risposto – potrebbe partire un processo d’innamoramento.

Nulla di misterioso in questo sviluppo. Giungiamo a conoscere le parti più nascoste dell’altro – e permettiamo all’altro di conoscere le nostre: le nostre debolezze, i nostri difetti, i nostri traumi, le nostre paure più profonde. E se tutto questo è accompagnato da un senso di gentile compassione, invece che da un duro e punitivo giudizio, allora possiamo veramente parlare di amore, invece che di rapporti casuali e superficiali.

Autore

  • Attilio De Alberi
    Attilio De Alberi

    Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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#appuntamento amoroso#dating#relazione d'amore

Pubblicato da

Attilio De Alberi

Attilio L. De Alberi, studente in Gran Bretagna e negli USA, lavora in pubblicità a Milano. Emigra a New York e poi a Los Angeles, dove lavora nel cinema e come giornalista. Rientrato in patria continua a dedicarsi al giornalismo, scrivendo per Lettera43 e per Il Manifesto. Ultimamente collabora part-time con Don Luca Favarin, prete alternativo in un dei suoi centri di accoglienza per immigranti nel cuore del Veneto leghista.

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