I risultati delle elezioni in Abruzzo confermano la crescita esponenziale della Lega e il balzo in avanti di Fratelli d’Italia. L’area cosiddetta “sovranista” si avvia, dunque, in ottima salute verso le elezioni europee. Rispetto alle ultime regionali i numeri parlano chiaro. Nel 2014 il partito di Salvini non si presentò neppure. Il primo risultato di rilievo è il 13,8% registrato alle elezioni politiche dell’anno scorso. Il balzo, dunque, è impressionante: la Lega è passata da zero al 27,4% in quattro anni in un territorio che non è mai stato un suo bacino storico. Vale la pena sottolineare come, ancora una volta, i sondaggi della vigilia si siano rivelati solo parzialmente veritieri: nessun istituto demoscopico, infatti, attribuiva alla Lega una percentuale così alta, mentre il Movimento 5 Stelle – che si è fermato intorno al 20% – era accreditato di consensi oltre il 30%. Sono proprio i grillini, ancor più del Partito Democratico ridotto a festeggiare il raggiungimento di un misero 11%, i veri sconfitti di questo appuntamento abruzzese, che invece secondo alcuni osservatori doveva rappresentare la prima vittoria regionale del Movimento.
La verità è che la strategia del “Capitano” sta riuscendo alla perfezione: questa Lega, infatti, ha inaugurato con successo la formula dell’opposizione di governo. Mentre Silvio Berlusconi non si capacita dell’incompetenza grillina e sbraita contro gli italiani «tutti fuori di testa» che si rifiutano di votarlo come in passato, Salvini non smette di sfiancare l’“alleato” Di Maio contrapponendogli costantemente un’agenda in grado d’intercettare il malumore del Paese. La questione della TAV è, in tal senso, emblematica: la Lega si rivolge alle categorie produttive e se ne intesta le istanze. Parallelamente prende le distanze dal reddito di cittadinanza – scomodo cavallo di battaglia del Movimento –, dal provvedimento sulla chiusura domenicale dei negozi, e continua a non retrocedere da un politica di fermezza nei confronti dei migranti, al contrario mal tollerata dall’area più “ortodossa” dei grillini che fa rifermento, tra gli altri, a Roberto Fico.
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Ma la lista dei dissidi è lunga. Si pensi, ancora, alla questione venezuelana, con i 5 Stelle in prima fila a perorare la causa di Maduro rifiutando il riconoscimento di Guaidò, e i leghisti – sostenuti anche da Giorgia Meloni – che si affrettano a correggere la posizione del governo; oppure al recente incontro tra un entusiasta Luigi Di Maio e Christophe Chalençon, uno dei leader più discussi dei gilet gialli francesi, dai quali Salvini si è affrettato a prendere le distanze. Per non parlare delle posizioni diametralmente opposte su materie come la legalizzazione della cannabis o sulla TAP, in merito alla quale ancora una volta l’ala ambientalista del Movimento è entrata in agitazione. Ultima in ordine di tempo è la spaccatura sulla concessione dell’autonomia regionale rafforzata a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, con le ministre Bezzi e Stefani a darsi battaglia. In sostanza, non c’è un dossier che metta d’accordo i giallo-verdi.
In teoria è il Movimento 5 Stelle ad essere azionista di maggioranza di questo governo: eppure, la posizione di vantaggio portata in dote dalle elezioni politiche, che gli avevano attribuito quasi il doppio dei voti leghisti, sembra essersi dissolta. Il problema, per i “ragazzi fantastici”, è che dopo neppure un anno di legislatura queste percentuali si sono, di fatto, invertite. La vittoria strategica di Salvini è duplice. Da un lato, ha scommesso – contro ogni pronostico – su questa bizzarra e innaturale esperienza di governo, rinunciando al ruolo più comodo e naturale di leader di opposizione in pectore del centrodestra “storico”, la cui riedizione a livello nazionale appare di giorno in giorno sempre più difficile. Dall’altro lato, da questa apparentemente scomoda posizione sta riuscendo a drenare consensi sia all’alleato, sia all’ex dominus del centrodestra, ovvero Silvio Berlusconi. Forza Italia continua, inesorabile, la sua discesa, finendo in Abruzzo sotto la doppia cifra, in calo di cinque punti percentuali rispetto alle politiche e di sette rispetto alle ultime regionali.
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Se le elezioni europee dovessero certificare questa inversione dei rapporti di forza all’interno del governo è difficile immaginare un proseguo della legislatura senza scossoni: sarà probabilmente necessaria una revisione del “contratto”. Sempre che il Movimento 5 Stelle, dopo la votazione-farsa su Rousseau in merito all’immunità per il ministro dell’Interno, non sia stanco di veder emigrare i proprio voti verso la Lega e decida di staccare la spina. In ogni caso, Salvini potrà continuare a giocare comodamente la propria partita, proseguendo la costruzione di un nuovo polo sovranista insieme a Giorgia Meloni.
(foto copertina by Ansa)
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