L’Italia ha trovato sotto l’albero di Natale un regalo non esattamente fra i più graditi. La trattativa fra il nostro Paese e Bruxelles si è chiusa, ma a carissimo prezzo. Vale la pena chiarire, da subito, che le scelte della strana coppia Salvini–Di Maio si inseriscono perfettamente nel solco dei governi precedenti:una continuità lontana anni luce da quell’inversione di rotta già data per acquisita e ampiamente propagandata. Il punto più discusso e discutibile verte intorno alle ormai tristemente note clausole di salvaguardia. Ma cosa sono e quali effetti producono? Da un punto di vista prettamente tecnico, sono degli strumenti di finanza pubblica che hanno fatto la loro prima comparsa nel lontano 2002, e che sono definitivamente entrate nel dibattito tra il 2011 e 2013, anni turbolenti segnati dalla crisi economica. Come spiegato nell’ottimo focus dell’Istituto Bruno Leoni, lo scopo delle clausole era “vincolare il legislatore all’obbligo di copertura delle spese pubbliche anche in presenza di oneri difficilmente quantificabili, tramite la previsione di eventuali mezzi ulteriori che sarebbero stati a disposizione per coprire maggiori spese non preventivabili”. In sostanza, si tratta di un meccanismo che si attiva automaticamente sotto la forma di aumenti delle imposte indirette – IVA e accise – nel caso di mancato reperimento delle coperture alla spesa pubblica.
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Tuttavia, lungi dal produrre un effetto di tutela della stabilità e di maggiore trasparenza dei conti pubblici, la prassi applicativa ha finito col trasformare questo istituto finanziario in una sorta di cambiale nazionale, di pagherò da rinviare ad un non meglio precisato futuro; in altre semplici parole, una patata bollente della quale nessuno desidera occuparsi nel presente e che si preferisce passare di mano. In questo modo, i governi che si sono via via succeduti hanno potuto giocare d’azzardo e dilettarsi nella tanto amata finanza creativa, scaricando i costi delle coperture sulla legislatura seguente e vanificando il tentativo di salvaguardia dei conti pubblici e di certezza nelle previsioni di spesa che costituivano la ratio originaria delle clausole. Una consuetudine pilatesca, che le ha rese un vero e proprio alibi per aumentare i debiti – autorizzandone, paradossalmente, sempre di nuovi – rinviando di volta di volta il momento del redde rationem in cui tali debiti dovranno essere saldati. Inoltre – e questo, forse, è l‘aspetto più grave – si è creato un vulnus molto pericoloso nel sistema democratico, in quanto lo scostamento temporale prodotto dal pagherò ha alimentato una generalizzata de-responsabilizzazione della classe dirigente, che nei sondaggi del giorno passa all’incasso ma che si lascia alle spalle pesanti eredità e le relative, impopolari scelte politiche ad essa connesse.
Proprio come un ludopatico necessita di scommettere una somma sempre più alta per placare momentaneamente la propria dipendenza, allo stesso modo gli esecutivi hanno finito coll’azzardare provvedimenti sempre più audaci per appagare il proprio elettorato desideroso di vedere realizzate promesse spesso irreali. Così, se da un lato sono state “disinnescate” le clausole di salvaguardia relative al 2019, dall’altro il governo giallo-verde ha forgiato un’altra spada di Damocle, ancora più pericolosa della precedente. Le clausole di salvaguardia sono state rigenerate e rese ancora più salate delle precedenti. In caso di mancata “sterilizzazione”, infatti, il conto da pagare sarà salatissimo: nel 2020 l’aliquota IVA ridotta che colpisce i beni di maggiore consumo passerà dal 10% al 13%, mentre l’aliquota ordinaria balzerà dal 22% al 25,2%: tali variazioni si quantificano in un aumento previsto delle entrate pari a circa 9,4 miliardi di euro. Nel 2021, l’aliquota ordinaria subirà un ulteriore aumento sino a toccare il 26,5%, pari a ulteriori 13,2 miliardi di euro di nuove entrate. A tali aumenti dell’IVA si andrà ad aggiungere una maggiorazione delle accise per 400 milioni di euro: un punto, questo, particolarmente controverso, considerata la promessa estiva di eliminare sette accise sui carburanti al primo Consiglio dei Ministri utile.
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La sensazione è di essere di fronte ad un drammatico all-in: perché l’ipoteca accesa – che va a coprire elemosine di Stato, assistenzialismo e finestre previdenziali di dubbia convenienza a scapito di investimenti e sviluppo – questa volta sembra essere davvero un salto nel vuoto, considerato altresì che difficilmente sarà rispettata la previsione di crescita dell’1%, – già ribassata dall’1,5%. Il rischio è di trovarsi a varare una legge di bilancio per il 2020 da oltre 50 miliardi di euro, di cui 23 per la sola sterilizzazione degli aumenti IVA e circa altri 20 per rifinanziare il reddito di cittadinanza e quota 100. Rien ne va plus.
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