La vittoria di Nicolás Maduro nelle recenti elezioni presidenziali in Venezuela non risolve certo la grave crisi non solo istituzionale, ma anche socio-economica, e quindi umanitaria, che sta attraversando il paese, vittima di un’inflazione a cinque cifre, secondo il FMI, e di una diffusa povertà.
Maduro è riuscito sì a vincere la competizione elettorale con il 67,7% dei voti contro il 21,1% di Henri Falcón, ex-governatore (ed ex-chavista), mentre gli altri oppositori sono rimasti molto indietro: 10,8% per il pastore evangelico Javier Bertucci e 0,4 per Quijada, ma è stato molto forte il fenomeno di astensionismo. Infatti l’affluenza è stata solo del 46%.
Dietro questo fenomeno c’è stata in parte la chiara campagna delle opposizioni come il MUD ed il Frente Amplio che l’anno scorso erano scese in piazza contro Maduro, ed i cui leader principali furono poi arrestati ma anche una diffusa indifferenza verso la partecipazione politica da parte di una popolazione affranta dalla crisi.
E per giunta lo stesso Falcón ha pubblicamente dichiarato non validi i risultati elettorali, accusando la presenza di brogli, ed ha richiesto nuove elezioni a ottobre.
Maduro si rende conto delle difficoltà in cui si trova, nonostante la vittoria, e nel suo discorso inaugurale ha fatto appello alla conciliazione nazionale. E lo stesso Papa Francesco ha invocato una soluzione politica ai problemi del paese.
Problemi resi ancora più gravi dall’attitudine dell’amministrazione Trump, che avvallata dalla grande maggioranza dei paesi latinoamericani, mira ad un isolamento del regime bolivariano attraverso sanzioni e, ultima notizia, attraverso il rifiuto di acquistarne il petrolio, la maggiore fonte di ricchezza per il Venezuela. A questo si aggiunge un atteggiamento negativo verso Maduro da parte dell’UE.
Discute di questo con YOUng Nicola Bilotta, junior researcher di economia presso l’IAI (Istituto Affari Internazionali) di Roma, ed esperto di America Latina. Secondo lui, a parte le problematiche interne, “il fattore principale di crisi, forse anche sottostimato, è il cambiamento radicale nella situazione politica dell’intero continente latino-americano, a cominciare dal Brasile e dall’Argentina, per cui l’opera di mediazione nella situazione venezuelana viene a mancare.”
L’INTERVISTA:
Che dire delle recenti elezioni caratterizzate tra l’altro da un pesante astensionismo?
La grossa differenza tra il regime di Maduro e quello del suo predecessore Chavez è l’appoggio popolare. Guardando ai risultati delle elezioni precedenti si può parlare di una grave erosione di tale supporto.
Ma rispetto a Chavez che errori ha fatto Maduro?
Chavez era al potere durante una congiuntura economica molto fortunata per l’America Latina in generale. Grazie alle rendite, soprattutto del petrolio, Chavez riuscì poi a portare avanti una politica di distribuzione delle rendite a favore della popolazione, soprattutto nel campo dell’educazione, della sanità e di vari sussidi. Questo servì molto a fare di lui una figura carismatica.
Quindi Maduro non riesce ad essere carismatico come Chavez?
Maduro non punta come Chavez ad essere una figura carismatica, e a questo si aggiunge soprattutto la grave crisi economica che sta attraversando il paese.
Perché il paese soffre d’inflazione e povertà così forti?
Si tratta di una di una di quelle leggi basilari di macroeconomia. E Chavez fece un errore nel non rispettarla.
Quale?
In un periodo di forte espansione non accantonò i fondi che sarebbero stati poi utili in un eventuale un momento di crisi come quello presente. Tutte le rendite, soprattutto quelle petrolifere, furono indirizzate ad investimenti immediati senza pensare al futuro.
E questa politica è continuata con Maduro?
Sì, e si è cercato di fuorviare alle nuove problematiche stampando denaro e causando una spaventosa inflazione.
Al tempo stesso le opposizioni come MUD e Frente Amplio che hanno boicottato le recenti elezioni rappresentano più le varie élites che la popolazione in generale.
Certamente dietro questo tipo di opposizione c’è quella borghesia che ha in qualche modo non ha apprezzato la politica distributiva di Chavez, vedendola come una minaccia al proprio patrimonio. Ma ora, dietro certi fenomeni di rivolta popolare, c’è anche il malessere profondo causato giornalmente dalla crisi economica e dalle politiche di Maduro incapaci a risolverla. E lo stesso zoccolo duro di supporter di Maduro spera che si ritorni ai giorni di Chavez.
Ora Maduro sembra puntare ad una conciliazione nazionale, la stessa suggerita da Papa Francesco.
Al di là delle dichiarazioni, sembra che Maduro non sia capace ad attuare una soluzione veramente democratica.
Perché?
Altrimenti avrebbe accettato la richiesta delle opposizioni di posticipare le elezioni e non avrebbe fatto arrestare i leader carismatici dell’opposizione. Ma al di là di questo c’è un altro grosso problema che complica le cose.
Quale?
L’isolazionismo del Venezuela sia a livello internazionale che a livello più locale, cioè latinoamericano.
Si può dopotutto parlare di un’ondata di revanscismo conservatore in tutto il continente sudamericano, per cui gli unici amici veri del Venezuela sono ora Cuba e la Bolivia di Evo Morales.
Certo, furono questi gli unici paesi, insieme a qualche altro paese minore, ad opporsi all’esclusione del Venezuela dal recente incontro a Lima dei paesi latinoamericani. Il Brasile non è più quello di Lula, che in questo frangente potrebbe funzionare da mediatore, e l’Argentina, una volta vicina al Venezuela, è ora nelle mani di Macrì. E questo fa a pugni con la visione chavista.
Ossia?
Uno dei grandi cavalli di battaglia di Chavez era un modello d’integrazione alternativo in Sud America che facesse da contraltare a quella che era invece l’integrazione commerciale sponsorizzata dagli USA.
Ora la politica dura di Trump verso il Venezuela potrebbe causare ulteriori problemi?
Chiaramente la politica di Trump a livello internazionale è molto aggressiva. Il presidente USA gioca a carte scoperte e questo ha funzionato parzialmente con la Corea del Nord. Penso che questa politica volta a far soffrire la popolazione in modo che si ribelli a Maduro sia scellerata, perché si gioca sulla pelle delle persone. A questo punto credo che il ruolo di Papa Francesco e della chiesa in Venezuela possa avere un ruolo più tiepido, ma forse più importante di quello trumpiano.
In che senso?
Perché potrebbe portare ad una transizione democratica meno costosa per la popolazione.
Ma a proposito di democrazia, la riforma costituzionale introdotta recentemente da Maduro è stata vista quasi come un colpo di stato.
In realtà si gioca sempre su una linea sottile tra dittatura e non-dittatura. Credo che più della riforma costituzionale conti di più la riduzione delle libertà democratiche. Maduro non permette alle opposizioni di fare il loro lavoro: mi riferisco agli arresti dei leader dell’opposizioni, a certe violenze del regime e ai brogli elettorali.
E che dire di Falcón che si è posizionato secondo nei risultati elettorali?
Falcón è un personaggio molto interessante e ci sono state varie interpretazioni della sua candidatura. Secondo certi, c’è stato un certo avvallo di Maduro nei suoi confronti, perché venendo originariamente dal partito di Chavez, pur essendosene poi distaccato, rendeva più legittime le elezioni stesse. Soprattutto considerando il supporto assai minoritario verso gli altri candidati.
Ma l’opposizione più dura (MUD e Frente Amplio) non si sono presentati perché non hanno voluto o perché Maduro non glielo ha permesso?
Di nuovo, la differenza è molto sottile. A parte l’arresto dei suoi leader, l’opposizione non si riteneva pronta a partecipare e quindi ha ritenuto opportuno di non presentarsi, invocando un processo più democratico.
A parte la possibilità di un rovesciamento di Maduro grazie alla politica di Trump, quale potrebbe essere la soluzione interna a questo grave impasse?
Le manovre economiche al momento sono molto limitate: mancano proprio i soldi.
E qualche aiuto esterno da paesi come Russia e Cina?
Beh, sia alla Russia che alla Cina è sempre piaciuto giocare il ruolo anti-americano in America Latina, ma soprattutto i cinesi hanno un approccio molto pragmatico alla politica estera. La Cina, in particolare, ha prestato delle somme ingenti al Venezuela negli ultimi anni: parliamo di 53 milioni di dollari a favore del debito venezuelano. Ma quando poi il Venezuela non è in grado di ripagare i propri debiti la Cina si fa da parte, avendo le proprie necessità.
Intanto l’Europa sembra più allineata sulla linea Trump, o c’è qualche differenziazione?
Gli USA hanno sempre avuto un ruolo più interventista, considerando l’America Latina una propria area d’influenza. L’Europa è magari più distaccata e potrebbe anche giocare un ruolo di mediazione, ma non credo lo farà, a causa delle problematiche interne alla UE, che hanno la priorità. Possiamo dire che è comparativamente poco rilevante.