Chi ha avuto occasione di vedere la vecchia serie televisiva originale ‘Star Trek’ si ricorderà come diverse volte il dottor McCoy annunciava al capitano Kirk la morte di un extraterrestre accolto nell’infermeria della nave spaziale Enterprise.
Ma ora, al di là della nota fiction, una squadra di scienziati guidati dall’astronomo francese Claudio Grimaldi ha da poco annunciato, attraverso un saggio, un’ipotesi inquietante: è probabile che qualsiasi civiltà extraterrestre da noi scoperta potrebbe ormai essere estinta.
Ipotesi questa che può apparire un po’ strana.
La prima domanda che ci verrebbe da porre è: come facciamo a sapere se una di queste civiltà è estinta, trovandosi tutte a parecchi anni luce dal nostro pianeta? Eppure potrebbe esserci della verità in tutto questo, soprattutto se uno pensa alle ricerche portate avanti dal noto programma americano SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence – Ricerca d’Intelligenza Extra Terrestre), la cui missione è appunto di esplorare, capire e spiegare l’origine, la natura e la prevalenza della vita nell’universo.
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Il ragionamento, in nuce, sarebbe questo: poiché qualsiasi messaggio radio che ci giunge dagli alieni viaggia alla velocità della luce, e visto che lo spazio è assai vasto, quando i messaggi giungono sul nostro pianeta, le civiltà dalle quali questi provengono potrebbero essere già estinte, proprio perché magari si trovano a milioni di anni luce da noi.
Esiste però un’argomentazione opposta: non tutte queste civiltà sono in realtà così lontane. Alcune di queste potrebbero essere solo a poche centinaia di anni luce di distanza, e quindi ancora vive e vegete.
Basti pensare all’esopianeta (un pianeta al di fuori del nostro sistema solare, ndr) Kepler-452b, la cui scoperta venne annunciata ufficialmente dalla NASA nel luglio del 2016. Considerato quello più simile al nostro, secondo tutta una serie di parametri, e quindi potenzialmente abitato, si trova nella costellazione del Cigno, ossia a “soli” 1400 anni luce da noi.
Questa tesi viene portata avanti dalla recente pubblicazione di Grimaldi e della sua squadra di collaboratori. In pratica, dicono questi scienziati, varie civiltà nascono nell’universo e finiscono poi per lanciare le onde prodotte dalle loro trasmissioni – di qualsiasi tipo esse possano essere – nello spazio. Queste si diffondono poi lungo la Via Lattea attraverso un rimbalzo sistematico di onde, raggiungendo così altri sistemi solari.
Ma al tempo viene fatta un’altra assunzione: dopo un certo periodo queste civiltà extraterrestri terminano di esistere, forse attraverso una qualche forma di autodistruzione – il che, occhio, potrebbe accadere anche a noi – e quindi, automaticamente, i segnali smettono di arrivare altrove nel vasto universo.
Ora, se una civiltà continua ad esistere per centinaia di migliaia di anni, inevitabilmente, noi sul pianeta Terra continuiamo a ricevere i suoi messaggi, e nel momento in cui li riceviamo, la civiltà in questione potrebbe magari esistere ancora.
D’altro canto, se la maggior parte di società aliene finiscono relativamente presto, allora la maggior parte dei segnali che giungono sulla Terra ora, o nell’immediato futuro, provengono probabilmente da alieni ormai morti e sepolti. Se la maggior parte delle civiltà trasmettono per 10.000 anni (noi terrestri abbiamo trasmesso per un secolo circa), allora il 99% di tutti i segnali che approdano sul nostro pianeta giungono da società estinte, o perlomeno silenti.
Per questo motivo i rilevamenti portati avanti regolarmente dal SETI potrebbero arrivare da una cultura ormai fossilizzata.
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Uno potrebbe allora anche chiedersi: fino a che punto ci potrebbe importare se queste civiltà extraterrestri sono vive o morte? Una cosa è ovvia: una vera e propria conversazione tra noi e loro sarebbe impossibile. In ogni caso, viene fatto osservare, una conversazione del genere sarebbe comunque e a dir poco tediosa, visto che qui si parla di civiltà distanti almeno 100 anni luce.
Per fare un’analogia, oggigiorno leggiamo gli scritti di Platone o di Aristotele, e sono senz’altro interessanti, anche se la civiltà ateniese, come la intendiamo noi, non esiste da più di duemila anni.
Se riceviamo un messaggio da una cultura aliena, la “grossa notizia” non implicherebbe necessariamente la possibilità di conversare con essa. Il messaggio ci direbbe semplicemente che esiste qualcuno lì fuori, ma anche molto lontano da noi.
Qualsiasi messaggio che riceviamo verrebbe da una società la cui tecnologia è molto più avanzata della nostra. Potremmo dedurre ciò dal semplice fatto che è stata in grado di trasmettere un messaggio intellegibile, ma anche abbastanza potente da viaggiare attraverso il cosmo. Perciò, indipendentemente dal fatto che una civiltà sia ancora esistente o no, rimane interessante quello che potrebbe comunicarci, ed anche, possibilmente utile nell’assicurare la nostra sopravvivenza a lungo termine.
[un’immagine della Via Lattea]
Quindi – fermo restando che rimaniamo dei “microbi” nella vastità del cosmo, il che potrebbe anche aiutarci un po’ a ridimensionare il nostro ego dilatato – siamo forse più soli di quel che speriamo di essere nell’universo, ma al tempo stesso, in questo contesto di realtà spazio-temporale, possiamo pensare positivamente e sentirci comunque meno soli.
In conclusione, indipendentemente dalla possibilità, nell’arco della nostra relativamente breve esistenza, d’incontrare un extraterrestre e di poterlo invitare per un drink ed una bella e stimolante chiacchieratina, per ora, non possiamo che dire: “Avanti tutta con la comunicazione, e grazie, SETI”.