Mentre a Bruxelles Carles Puidgemont e si suoi ministri “in esilio” si sono consegnati alla giustizia belga, per essere poi subito rilasciati dietro cauzione, rimanendo comunque in uno stato di libertà vigilata, in Catalogna ci si comincia a preparare per le elezioni indette ufficialmente dal governo di Madrid per il 21 di dicembre.
Il primo ministro spagnolo Rajoy è andato in visita ufficiale in Catalogna questa domenica, per lanciare il capolista del Partito Popolare Xavier Albiol, il giorno dopo la manifestazione di 750.000 persone contro la carcerazione degli 8 membri del governo catalano.
Al tempo stesso, Ada Colau, sindaco progressista di Barcellona si è espressa negativamente sia contro la repressione di Rajoy che contro l’ostinazione di Puidgemont, confermando la posizione del suo partito En Comù, alleato di Podemos, come possibile ago della bilancia tra unionisti ed indipendentisti.
Ultimamente anche Carmen Forcadell, presidente del parlamento catalano è stata arrestata, per poi essere rilasciata con una cauzione di 150.000 euro. Al tempo stesso Puidgemont ha annunciato la creazione di una struttura di “governo in esilio” in Belgio.
Anche se la richiesta di estradizione per Puidgemont e compagni di avventura dovesse essere concessa, il rientro in Spagna, con conseguente carcerazione in attesa di processo non potrebbe avvenire prima di 45 giorni. Tuttavia Puidgemont intende candidarsi comunque alle elezioni.
Ma al di là di tutte queste complicazioni – o semplificazioni – legali e legalistiche, la querelle catalana rimane tuttora tesa e non è detto che la soluzione elettorale scelta dal governo centrale di Madrid conduca a una conclusione della diatriba secessionista. Questo soprattutto perché, soprattutto dopo la politica repressiva di Rajoy, la coalizione secessionista nel parlamento catalano potrebbe conquistare una maggioranza ancora più solida, e ciò chiaramente non aiuterebbe a risolvere la problematica in corso.
Intanto, la situazione economica in Catalogna, secondo molti indici, ha subito un sussulto non da poco, mentre molte compagnie catalane hanno deciso di abbandonare la regione, almeno dal punto di vista legale.
Le conseguenze di tutto questo si fanno sentire in Spagna e, anche se Rajoy ha conquistato qualche punto in termini di gradimento politico grazie alla sua politica dura nei confronti dell’indipendentismo catalano.
Secondo Marco Trombetta, docente di economia manageriale presso l’IT (Instituto de Empresa), nota business school di Madrid, che ha scritto ampiamente sul soggetto, la Catalogna è obiettivamente entrata in una fase decisamente critica dal punto di vista economico a causa della crisi istituzionale. “Puidgemont e il suo partito potrebbe finire per pagare un prezzo molto alto per aver portato la Catalogna verso il baratro economico”. Trombetta nota anche questo: “La Spagna, che era in piena ripresa dalla crisi economica e con il più alto tasso di crescita in Europa, a causa della crisi catalana sta vivendo ora una fase di grande incertezza.”
L’INTERVISTA:
Crede che Madrid otterrà l’estradizione di Puidgemont e dei suoi ministri?
E’ un po’ difficile saperlo: la decisione è nelle mani del Belgio, che, non dimentichiamo, ha una problematica simile a causa del suo secessionismo, ossia quello fiammingo.
Quindi non è facile fare previsioni?
Esatto, e in ogni caso, anche qualora fosse concessa l’estradizione, il processo rimane comunque lungo.
Il Ministro della Giustizia Belga ha dichiarato che la decisione avrà un carattere legale piuttosto che politico, e quindi, in qualche modo neutrale.
Beh, da un lato certi elementi nel governo belga hanno espresso posizioni contrarie rispetto a quelle del governo spagnolo, mentre dall’altro la decisione finale non verrà dal governo di Bruxelles, ma da un singolo giudice.
In ogni caso Puidgemont potrà candidarsi alle elezioni di dicembre?
Secondo il recentissimo parere di un giurista spagnolo, non solo Puidgemont, ma anche gli altri leader politici catalani attualmente in carcere, potranno, legalmente parlando, candidarsi. Rimane però un problema.
Quale?
E’ da vedere se, qualora venissero rieletti, potranno poi presentarsi in parlamento. Non è mai successo qualcosa di simile in Spagna, almeno secondo i dettami della costituzione del 1978.
Sono già usciti dei sondaggi sui risultati delle imminenti elezioni?
Secondo il più recente le forze indipendentiste otterrebbero una maggioranza, anche se molto risicata.
Quindi in questa corsa a ostacoli si ritornerebbe al punto di partenza.
Infatti si potrebbe ritornare alla situazione del 2015, nella quale, in pratica, la Catalogna si spaccò in due. Come allora, secondo la legge elettorale, potrebbe esserci di nuovo una ripartizione di seggi a favore degli indipendentisti, anche se, per numero di voti, la maggioranza degli elettori non era a favore di questi.
Ma allora, visto che il recente referendum sulla secessione è stato illegale, queste nuove elezioni potrebbero avere una funzione in qualche modo referendaria.
Beh, legalmente non possono esserlo, ma è chiaro che saranno viste da molti come una specie di plebiscito pro o contro la secessione: inevitabilmente la campagna elettorale si concentrerà su questo punto chiave.
Rimane il fatto che Puidgemont sembra essere disposto a qualche forma di dialogo, mentre Rajoy non lo è.
Da un certo punto di vista questa contrapposizione è un po’ superficiale.
Perché?
Dopo tutto Puidgement ha continuato a prendere delle iniziative illegali e quindi c’è da chiedersi se Rajoy dovesse veramente essere aperto al dialogo: incontrarsi con qualcuno che ha deciso di mettersi fuori dalla legge è una cosa un po’ complicata.
In un suo articolo lei ha detto che il referendum non è stato un atto di libertà bensì una forzatura.
Pur rispettando una posizione nazionalista, credo che definire i catalani un “popolo oppresso” ed etichettare la politica di Madrid fino ad agosto come “franchista” sia un’esagerazione. Dopo tutto i catalani non sono come, per esempio, i tibetani o i curdi, avendo una buona dose di autonomia nel campo linguistico, nella rappresentanza istituzionale, nella sanità e nell’istruzione e nelle forze di polizia.
Non bisogna però dimenticare che alcuni punti chiave dello statuto di autonomia erano stati rimossi nel 2008.
Chiaramente la situazione odierna non è nata da un momento all’altro, e certamente i tagli allo statuto che era stato approvato nel 2006 sotto Zapateros ha portato alla nascita ed alla crescita della spinta indipendentista.
Una soluzione potrebbe quindi essere quella di recuperare quello statuto nella sua totalità originaria.
Certo: ampliare il più possibile gli spazi di autonomia mantenendo un dialogo aperto nell’ambito della legalità costituzionale che, ricordiamo, fu a sua volta approvata dagli stessi catalani, potrebbe permettere un’uscita dall’attuale impasse.
Come si pone in Spagna l’opposizione di Unidos Podemos che con il patto di Zaragoza si era dichiarata molto meno dura di Rajoy e i suoi alleati sulla questione catalana, tutti d’accordo, socialisti compresi, sull’applicazione dell’articolo 151?
La situazione nell’ambito di Unidos Podemos, perché al suo leader Pablo Iglesias è stata rinfacciata la posizione più possibilista sul tema dell’indipendenza e più flessibile sul tema dell’unità nazionale.
Chi ha criticato Iglesias?
Non pochi membri e militanti del partito. In particolare c’è stata una dichiarazione di Carolina Bescanza, una delle fondatrici originarie di Podemos, galiziana, secondo la quale il partito dovrebbe parlare a tutti gli spagnoli e non solo ai catalani.
Questa divisione interna sta avendo delle conseguenze su Podemos?
Secondo i sondaggi quest’ambiguità di Iglesias sta indebolendo il partito.
Lei si è concentrato molto ultimamente sulle conseguenze economiche in Catalogna della crisi istituzionale.
Queste conseguenze erano prevedibili: i mercati non amano l’incertezza. I viaggi in Catalogna sono decisamente diminuiti mentre c’è una caduta nei prezzi sul mercato immobiliare, che proprio recentemente aveva cominciato a mostrare segni di ripresa. E poi naturalmente c’è la fuga di ben 2000 imprese dalla regione.
Ma questo non dovrebbe condurre Puidgemont e il suo partito a ripensare un attimo le proprie posizioni ostinatamente secessioniste
Sì, il partito di Puidgemont ha fondamentalmente delle basi borghesi, pur essendosi paradossalmente alleato con il CUP, forza di sinistra radicale ed anti-capitalista, e stranamente non si rende conto che rischia di portare la Catalogna verso il baratro economico.
Si dice che buona parte della classe operaia in Catalogna sia contraria ad una secessione.
Questo è un elemento da prendere in considerazione, ma a parte ciò, quello che noto è il fattore generazionale.
In che senso?
La secessione trova un forte appoggio tra i giovani e questo crea molte divisioni negli ambiti famigliari. Molti giovani sono cresciuti in un ambiente nel quale la classe dirigente ha comunicato un forte messaggio nazionalista e questo messaggio ha tendenzialmente attecchito tra di loro. E questo si nota nelle immagini delle dimostrazioni a favore dell’indipendenza rispetto a quelle favorevoli all’unionismo.
Come vede la situazione in Spagna in generale, come conseguenza di questa crisi?
C’è un clima di confronto, di divisione, a livello nazionale- A Madrid, dove vivo, si vedono appese alle finestre e ai balconi molte bandiere spagnole, cosa impensabile fino a poco tempo fa: la gente sta prendendo posizione.
Quanto solido è il governo Rajoy?
Pur avendo guadagnato qualche punto nell’opinione pubblica, il PPE rimane pur sempre un partito di minoranza che va avanti grazie all’appoggio non solo di Ciudadanos, ma del Partito Socialista il quale ha sua volta è diviso. Quindi rimane un clima d’incertezza.