‘Grazie’ ai disastri provocati dall’uragano Mathew si ritorna a parlare di Haiti ma in pochi conoscono la ricchezza storica e umana di questo piccolo paese.
Haiti è la Grande Dimenticata. Si parla di questo paese solo quando viene colpito da qualche disastro naturale (un uragano, un terremoto, il colera) o umano (un colpo di stato). Eppure Haiti vanta tre dati storici non da poco: nasce dalla prima ribellione di schiavi che abbia mai avuto un successo duraturo; è la prima repubblica nera nella storia e divenne il primo stato indipendente nelle Americhe dopo gli Stati Uniti, riuscendo a sconfiggere Napoleone nel 1804.
Da questa tradizione storica nasce un grande orgoglio nella popolazione e una consapevolezza politica che ho potuto testare sia visitando il paese diverse volte o semplicemente discutendo con un qualsiasi tassista haitiano con il quale mi è capitato di discutere a New York. Questo orgoglio, oltre a una naturale joie de vivre, tipica nei Caraibi, si può notare nella gente comune che, diversamente da quella, per esempio della Giamaica, che ottenne la sua indipendenza più di 150 anni dopo, non nutre risentimento o aggressività verso i bianchi. Aggiungiamo a tutto questo la ricchezza culturale di questo piccolo pezzo d’Africa che ha prodotto e continua a produrre tanti artisti e poeti.
Purtroppo Haiti, da secoli vittima sia delle ingerenze straniere (per esempio, dal 1914 al 1934 il paese subì la tutela dei marines americani, mentre gli interi fondi del tesoro nazionale erano stati trasferiti a Wall Street), che della corruzione delle élite locali, rimane il paese più povero dell’emisfero occidentale e tra i più sottosviluppati nel mondo.
Prima dell’indipendenza c’era un fiorente traffico tra Haiti, la Florida e la Francia. Tutto questo venne interrotto da un embargo imposto dal buon vecchio Jefferson, che non dimentichiamo era proprietario di schiavi. La ribellione era un affronto prematuro, una minaccia inaccettabile, a un dogma, quello della schiavitù, ancora indiscusso all’inizio del secolo 19mo.
Troppo spesso ci si dimentica che Haiti, dal punto di vista dello scacchiere geopolitico, è in una posizione cruciale: ci troviamo davanti a Cuba, il Venezuela è a poca distanza, e Miami dista cinquanta minuti di aereo. Ci si muove su due direttrici speculari: da Nord a Sud per il traffico di armi che dagli Stati Uniti attraverso Haiti giungono in tutta l’America Latina e da Sud a Nord invece per il traffico di sostanze stupefacenti, che dalla Colombia fanno tappa sull’isola e raggiungono la vicina Repubblica Domenicana (che rappresenta un ponte per l’Europa) oppure approdano verso gli Stati Uniti.
A seguito del terremoto del 12 Gennaio 2010, che provocò 230 mila vittime e un milione e mezzo di sfollati, i riflettori di tutto il mondo si sono accesi su Haiti, e in breve sono confluite sull’isola diecimila Ong, pronte a risollevare le sorti di un paese che sembrava caduto nel baratro.
Il 15 maggio del 2011, dopo un lungo e faticoso processo elettorale accompagnato da molti dubbi per ciò che ne riguarda la correttezza, si è insediato come nuovo presidente di Haiti Michel Martelly, noto anche come “Sweet Mickey”, popolare cantante di kompa, ma assolutamente privo di esperienza politica. Si è subito recato a Washington per incontrare quelli che, secondo certi osservatori, sono i suoi veri sostenitori: il Fondo Monetario Internazionale, la World Bank, la Camera del Commercio USA ed il Dipartimento di Stato. D’altra parte è interessante ricordare che, nel bel mezzo della rivolta egiziana, Hillary Clinton era andata a Port-au-Prince per dare il suo appoggio al candidato Sweet Mickey, che come presidente rappresentava in realtà solo il 16,7 % dell’elettorato.
Se da un lato il terremoto del 2010 poteva rappresentare l’occasione per una vera rinascita di Haiti, la ricostruzione non è decollata del tutto: il paese si trova tuttora in un limbo. L’aiuto internazionale, raramente disinteressato, non ha aiutato Haiti ad uscire dalla sua secolare ghettizzazione economica e sociale.
E’ indicativo il numero delle vittime del recente uragano Mathew, con il conseguente pericolo di colera. Ed è interessante paragonare il modo in cui questa stessa calamità naturale è stata affrontata nella vicina Cuba, dove, nonostante i danni non c’è stata una sola vittima, grazie a un ottimo e ben rodato sistema di prevenzione e di protezione civile.
E questo c’insegna una lezione: la natura non si può controllare ma il modo di reagire a essa rimane una questione tutta umana legata all’organizzazione sociale presente.